Detective Lady (X) – Le lunghine di Fabio Lotti

Sono stato colpito da una copertina blu che presenta aperta una orchidea. È la copertina del libro di Michelle Wan La maledizione dell’orchidea, Garzanti 2007, il cui contenuto è così esplicitato: “Dordogna nel Sudovest della Francia. Mara Dunn sta coordinando i lavori di ristrutturazione nell’antica magione di Christophe de Bonford, discendente di una prestigiosa famiglia francese, quando si imbatte in una scoperta agghiacciante. In una cavità segreta, dietro un muro secolare giace il cadavere mummificato di un bambino di poche settimane. È avvolto in uno scialle blu su cui è ricamata l’immagine di una specie rarissima di orchidea selvatica. I risultati dell’autopsia confermano i sospetti degli inquirenti: l’orrendo delitto risale a più di un secolo prima. Scoprire il colpevole pare impossibile, soprattutto di fronte alla mancanza di collaborazione di Christophe che cerca in tutti i modi di dissipare i sospetti sulla sua nobile casata.
C’è tuttavia un particolare che la polizia ritiene insignificante e che invece Mara e l’amico Julian Wood, esperto di orchidee, non possono ignorare: il fiore sconosciuto, ricamato sullo scialle che avvolge il cadavere di cui restano rare segnalazioni che forse possono offrire un indizio. Quando la violenza erompe di nuovo, Mara e Julian capiscono che proprio l’orchidea è la chiave di un mistero che lega il passato e il presente della Dordogna in una rete di bugie e ricatti, manipolazioni e tradimenti, odio e brutalità”.
Abbiamo anche diversi omicidi da parte di una Bestia, non si sa bene se un lupo, o un cane, un lupo mannaro o un licantropo e due vicende parallele in tempi diversi sottolineate dai capitoli costituiti da date: la vicenda del passato inizia dall’ottobre 1870 e finisce al 23 febbraio 1872; quella attuale dal 28 aprile 2004 al 2 giugno dello stesso anno.
Veniamo a Mara Dunn: minuta, esile, sulla quarantina, capelli corti, sopracciglia dritte e mento volitivo, mancina, un paio di jeans e una T-shirt con una frase di Groucho Marx ”Dopo il cane, il migliore amico dell’uomo è un libro. Ma dentro un cane è troppo buio per leggere”. È una ristrutturatrice di costruzioni (interior design) “sveglia e impaziente per natura”. Originaria del Canada francese, più precisamente di Montreal, ha aperto uno studio in Dordogna da otto anni. Padre scozzese, madre di Quebec, ha perso una sorella e si sente in colpa. Separata dall’ex marito Hal (ormai una costante fissa) “un architetto di talento con il vizio dell’alcool ed un ego smisurato”. Ha una relazione da quattordici mesi con Julian Wood “un uomo alto, magro che andava sui cinquanta, con una faccia lunga, baffi e barba tagliati malamente, e capelli brizzolati sempre spettinati”. In seguito verremo a sapere che ha le braccia lunghe e muscolose, le mani come due forconi, profilo leggermente a pera della pancia, gambe nude, pallide, scarne e pelose. Come a dire che c’è gloria per tutti. Già sin dall’inizio sottolineate le loro diversità: lei entusiasta e piena di energia, lui segue la corrente. Ma, soprattutto, lei non condivide il suo entusiasmo per i fiori. In modo particolare la sua ossessione per le orchidee sulle quali il compagno sta scrivendo un libro. Sente che il loro rapporto sta diventando solo routine. Risponde in modo poco gentile, si sente colpevole e irritata allo stesso tempo. Gelosa di Denise che ha un incontro sessuale con Julian al quale sembra di avere fatto l’amore con un pitone. Ha un cane, Jazz, che le dà conforto “I cani, pensò lei mentre gli dava da mangiare, sono semplici rispetto alle persone. Sono felici di mangiare le stesse cose ogni giorno. Sono leali, ti accettano per quel che sei, e non si infuriano mai”. Per lei è vero il detto che più si conoscono le persone più si amano i cani. Viene corteggiata e poi aggredita da Jean-Claude Fournier, lo storico della famiglia Bonford ma sa difendersi bene. Ginocchiata all’inguine, schiaffo e borsettata in testa. Non male. Peccato che venga ritrovato morto dopo essere volato dalla finestra. Scoppia in lacrime quando si accorge che anche Julian crede che sia stata lei a buttarlo di sotto. Non riesce a dormire nemmeno con il sonnifero. Poi rappacificamento fra i due con notte d’amore e bevute di Domaine de la Source. Guida veloce. Se c’è bisogno di spingere sull’acceleratore lo fa tranquillamente mettendo un po’ in crisi il suo compagno di viaggio “Di tanto in tanto una buca li faceva sobbalzare con violenza. Per evitare di sbattere la testa, Julian si reggeva al tettuccio dell’auto con entrambe le mani”. Un ritratto di Mara viene fornito da Julian proprio in fondo al libro “Sei testarda e cocciuta e sempre pronta a giudicare. E peggio ancora, non riesci a lasciare che le cose vadano come devono andare. Vuoi sempre sistemarle. Dici che non voglio affrontare la realtà. Forse è solo che a te la mia realtà non piace. Hai le tue regole ferree e vuoi che tutti gli altri le rispettino, finché ti conviene. Ti aspetti una lealtà condizionata dagli amici, ma se la si chiede a te non ne sei capace”. Staranno ancora insieme?

Sangue di mezz’inverno di Mons Kallentoft, Nord 2010.
Malin Fors, detective della polizia di Linköping (Svezia), trentatré anni, “figura snella, atletica e vigorosa”, “capelli biondi tagliati a paggetto”, sopracciglia dritte, occhi color fiordaliso, naso corto e un po’ all’insù. Divorziata vive con la figlia Tove tredicenne, bravissima a scuola (legge pure Austen e Ibsen), l’ex marito Jame trasferito in Bosnia. Indossati jeans, camicetta bianca, maglia nera, stivali caterpillar, giaccone nero in finta piuma, preso il cellulare e la pistola è pronta per entrare in servizio. Suo compagno di lavoro Zacharias “Zeke” Martinsson, quarantacinque anni, testa rasata, corpo piccolo e asciutto, collo lungo, attivo e sicuro di sé. Solito gruppo di poliziotti a fare da contorno per il caso da seguire.
Ed il caso è rappresentato da un uomo obeso che penzola da un ramo di un albero: nudo, ferito, bruciato e congelato (miezzeca!). Trattasi di Bengt Andersson, un povero psicopatico soprannominato “Pallone” che in passato ha tentato di uccidere il padre donnaiolo e violento. Alcuni indiziati: i ragazzi che lo tormentavano, una famiglia terribile e di mezzo c’è pure la possibilità di un sacrificio pagano, una specie di stregoneria norrena per cui le vittime venivano appese agli alberi.
Non manca il solito giornalista in contrasto con Malin (e dunque salterà sul letto insieme a lei), l’analista anamopatologa (corpo elegante con movimenti ineleganti) e perfino il morto che segue e commenta la vicenda (ma non è certo una novità).
Al centro la Nostra con i suoi ricordi (avrebbe voluto rimanere a Stoccolma ma da sola non se la sentiva), la malinconia dell’amore finito a cui sembra in qualche modo aggrapparsi ancora, il rapporto con la figlia e i suoi primi slanci sentimentali, le riflessioni su una società apatica e disinteressata. L’ alcol, la solitudine.
Scrittura veloce, incisiva, capitoletti brevi, frasette in corsivo (una marea), amalgama di pensieri, ricordi, descrizioni, notazioni, dolore, violenza, brutalità, stupri. Solito freddo bestia che taglia le gambe.
La mia cocciuta idea è che con cento pagine in meno si può ottenere un risultato migliore. Ma va bene così.

Marpalò e l’assassinio nella città murata di Luisa Conz, Robin 2007.
“Aminta Marpalò, ritrovandosi gli operai in casa per alcuni lavori idraulici, decide di passare una breve vacanza presso un agriturismo nella suggestiva cittadina murata di Casteldese. Qui vivono due suoi cari amici, i coniugi Vernani. Una volta arrivata, Aminta viene a sapere che il figlio della coppia, uno stimato cardiologo, è appena morto. La versione ufficiale parla di polmonite, ma il padre insiste in una tesi apparentemente folle, l’omicidio. Nel frattempo un’altra morte agita la piccola comunità: una hostess, che da poco aveva acquistato un’antica residenza nella cittadina, viene rinvenuta cadavere nella sua abitazione per un’overdose di cocaina. Dal ritrovamento della sua agendina emerge la figura di uno steward brasiliano su cui pendono infamanti accuse di pedofilia, ma anche un presunto legame tra la ragazza e il medico deceduto. Aminta, incuriosita, decide di vederci chiaro e ben presto per lei non sarà più possibile rimandare la scoperta di una verità sconvolgente e insospettabile”.
Ha cinquanta anni. Subito alle prese con l’esistenza “Le pareva che l’altalena di positivo e negativo, di favorevole e contrario, che rappresenta la norma del vivere quotidiano, fosse una condanna ostinata al punto da non farle trovare, in quel momento, motivo per alzarsi e mettere fine all’incipiente congelamento del suo corpo”. E sul passare del tempo “Perché non lasciarsi morire nello stato e nella forma di quando si è raggiunta la maturità?”. Non si vedrebbe il decadimento di tutto il corpo. Frecciate sui politici ignoranti e maleducati, bravi solo nell’insulto e sul “premier goliardico e giocherellone che si divertiva a tirare il sasso per poi nascondere la mano, o fare le corna in una riunione internazionale di capi di stato”. Indovinate chi è. Pudica nel parlare di sesso. Si lascia prendere dall’ottimismo della giovane Carola accolta con il figlio Bibì sotto la sua protezione “Le aveva trasmesso ottimismo, l’immagine di un mondo che, pur trasformandosi in modo caotico e vorticoso, apriva spazi d’indipendenza, d’emancipazione e di libertà dalla paura del diverso”. Ostinata anche verso se stessa nel voler risolvere il caso e piena di speranza e di orgoglio “Passeresti per monsieur Poirot agli occhi di tutti”. Citato anche il solito, scontato dottor Watson. Che sia testarda lo conferma anche la domestica Attilia “Perché tu sei peggiore dei muli degli alpini che quando decidono di fermarsi o di andare avanti per conto loro neanche le botte gli fanno cambiare idea”. Onesta ma se c’è bisogno di scoprire qualcosa usa anche le frottole. E se c’è bisogno di farsi bella per “sedurre” lo fa “Adesso, infatti, con la redingote di panno nero, gli stivali a tacco alto e la pelliccia che le ornava le spalle, dava davvero l’impressione di una dama un po’ fanèe ma di sicura eleganza”. Brevi flash-back della sua vita quando si becca sulle spalle la bacchetta della maestra. Ricordo di suo padre ingegnere. Tra loro amore e contrasto, ma soprattutto stima. Ne sente la mancanza. Alla fine avverte il bisogno del capitano dei carabinieri Andrea Felsini verso il quale nutre una discreta simpatia. Una donna ritornata alla vita. Ricordo ai lettori che ne “L’impiccato” era lei che doveva impiccarsi e si imbatte in uno che l’ha già fatto!
In questo libro abbiamo le solite descrizioni del luogo, i soliti riferimenti storici, i soliti accenni ai cambiamenti della società. La solita solfa, insomma. Il tutto condito con una scrittura modesta. Uno dei tanti, troppi gialli dozzinali in circolazione.

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