Ferdinand Von Schirach e Il caso Collini: la Germania tra memoria e oblio

Ma a Caspar Leinen accadde qualcosa di ancora diverso: per anni era stato ad ascoltare i suoi professori, aveva studiato le leggi e le relative spiegazioni, aveva cercato di capire il processo penale, ma solo oggi, solo presentando la propria istanza, capì che in realtà (il processo) riguardava qualcosa di completamente diverso: l’essere umano offeso.

La citazione è tratta da Il caso Collini, appena uscito per Longanesi, primo romanzo di Ferdinand von Schirach (no, non mi sono sbagliata: il precedente Un colpo di vento era una raccolta di racconti). Von Schirach è un avvocato penalista tedesco “prestato” alla letteratura.
Il protagonista di Il caso Collini è Caspar Leinen, avvocato appena abilitato che viene nominato difensore d’ufficio in un caso di omicidio. I giovani avvocati, si sa, non hanno molta scelta e a Leinen tocca difendere Fabrizio Collini, un italiano accusato di omicidio. Un caso di colpevolezza lampante: l’accusato, arrestato in flagranza e reo confesso, non tenta nemmeno di difendersi. Per di più Leinen realizza quasi subito di aver conosciuto molto bene la vittima, il famoso industriale Hans Mayer, negli anni dell’adolescenza: Mayer era il nonno del suo migliore amico, Philipp, morto in un incidente d’auto. E la sorella di Phillip, Johanna, è stata il grande amore della vita di Caspar. È anche per lei, e non solo per scrupolo di coscienza, che Leinen affronta il caso con il massimo rigore: la ricerca di un movente lo porta a indagare nel passato della vittima.
La fase processuale, che vede Leinen contrapposto alla pubblica accusa e a un formidabile difensore di parte civile, l’avvocato Mattinger, riserva dei colpi di scena. Ciò nonostante Leinen riesce a portare in aula una versione della verità completamente diversa da quella che appariva.

Pochi personaggi ottimamente caratterizzati (per una bizzarra coincidenza l’avvocato di parte civile, il celebre Mattinger, è privo di un arto, proprio come il nostro Ministro della Giustizia, Paola Severino, brillante avvocato e professore di diritto) per raccontare una storia che ha almeno due piani di lettura. Da una parte il romanzo individuale, quello di Caspar Leinen, del percorso che lo ha portato a diventare avvocato e dei dubbi relativi al suo “essere tagliato” per questo lavoro. Su un piano di più ampio respiro c’è invece la storia di un popolo, quello tedesco, che ha dovuto fare i conti con l’Olocausto prima e con la “seconda colpa” dopo. Di tutto questo ho parlato con Ferdinand von Schirach. Lui nipote di un gerarca nazista, io di un militare italiano internato, entrambi con studi giuridici alle spalle, entrambi convinti assertori di principi fondamentali quali “la responsabilità penale è personale”.

AB – Qual è la genesi di Il caso Collini?
FvS – Il punto centrale di Il caso Collini è la cosiddetta “seconda colpa”, cioè il modo in cui la Repubblica Federale si è rapportata con il Nazionalsocialismo, il modo in cui sono stati trattati i crimini di guerra dagli anni Cinquanta in poi. Il personaggio di Eduard Dreher è realmente esistito e la modifica al codice penale di cui si parla nel romanzo è un fatto storico realmente accaduto. La premessa è che per la giurisprudenza tedesca solo ai vertici del partito (Hitler, Himmler e pochi altri) poteva essere contestato il reato di “omicidio volontario aggravato”; tutti gli altri erano imputati di concorso nello stesso reato. La modifica approvata nel 1968 grazie a Dreher ha fatto sì che il concorso in omicidio volontario aggravato dovesse essere punito come omicidio semplice. In questo modo i reati caddero in prescrizione. Fu come un’enorme aministia, ma nessuno se ne accorse. E una volta approvata la legge non era possibile revocarne gli effetti. In questo modo, personaggi controversi poterono tornare ad avere una vita normale, in certi casi anche pubblica. E nella società è aumentato il senso di colpa: non solo bisognava gestire i crimini di guerra, ma anche la successiva impunità. Il caso Collini tratta del modo in cui intere generazioni di tedeschi si sono rapportate con un passato carico di orrore.

AB – Prendo a prestito una considerazione che è stata fatta ieri da Carlos Ruiz Zafon e che si adatta bene anche al tuo romanzo. A proposito della Guerra Civile, Zafon raccontava che in Spagna c’è ancora un dibattito aperto sulla contrapposizione tra memoria e oblio. La memoria fa sì che dalla storia si possa imparare, ma tiene aperte ferite sanguinose; l’oblio permette di chiudere i conti con il passato ma ci fa dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Qual è, secondo te, la soluzione da proporre alle nuove generazioni?
FvS – Credo che la soluzione stia nell’assunzione di responsabilità. Adesso nessuno di coloro che all’epoca erano colpevoli si trova in posizioni di potere, quindi non si può più parlare di colpe dirette o anche indirette. Il ricambio generazionale si è completato e coloro che adesso sono al potere non possono essere definiti colpevoli. Però il riconoscimento della responsabilità, unito alla comprensione delle cause, fa sì che ciò che è accaduto non possa più ripetersi.

AB – C’è una figura, nel romanzo, l’avvocato Mattinger, persona di grande sensibilità e intelligenza. Hai avuto anche tu un mentore come Mattinger?
FvS – Sì, era socio di un importante studio legale e mi ha molto incoraggiato all’inizio della carriera. La figura di Mattinger è a metà tra lui e un mio zio che, dopo aver perso entrambe le braccia in guerra, era diventato giudice. Anche lui è stato una figura importante nella mia vita.

AB – Ho letto che nel tuo passato c’è qualcosa di simile a ciò che accade nel romanzo. Tuo nonno era tra i fondatori della Gioventù Hitleriana.
FvS – È qualcosa con cui ho fatto i conti per tutta la vita e con cui convivo. Però ho scritto un libro per non dover ripetere sempre le stesse cose. La risposta è nello scambio di  battute tra Caspar e Johanna. Lei chiede: “Sono anch’io sono tutto questo?” e lui risponde “Tu sei la persona che sei“. Dopo tanti, tanti anni passati a fare i conti con il mio passato, la mia risposta oggi è che io sono la persona che sono.

AB – Qualcosa di più personale e meno triste: quando scrivi? Perché? Ti aspettavi questo successo?
FvS – Quando scrivo non è determinante, scrivo soprattutto di notte ma perché dormo poco. Il successo non era in preventivo e anche questo non è importante. Se fosse arrivato quando ero giovane forse mi avrebbe cambiato, ma adesso non è fondamentale: non aspiro a giocare a golf, ad avere una fuoriserie o uno yacht. La cosa davvero stupefacente invece è essere diventato famoso in paesi come il Giappone o Taiwan: non sono nemmeno sicuro di cosa c’è scritto nei libri pubblicati in quei paesi, e sì che ho anche vinto un premio importante…

AB – Se tornassi indietro, faresti ancora l’avvocato penalista?
FvS – No. Negli ultimi venti anni la visione del diritto penale è molto cambiata. Quando ho iniziato si dibatteva di temi molto importanti: il terrorismo, l’aborto, la riunificazione con la Germania dell’Est. Adesso il grosso dibattito si è spostato sull’opportunità di utilizzare norme diverse per reati diversi, vanificando così il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge. Ma siamo arrivati a questo, sarà una questione da affrontare nel prossimo futuro. Oltretutto nuove teorie comportamentali postulano che i nostri comportamenti siano necessitati, che non possiamo comportarci diversamente da come facciamo. Ma il presupposto della colpa, e della responsabilità, è il libero arbitrio. Come si può condannare una persona se questa non ha scelto, ma è condizionata/necessitata ad avere certi comportamenti?

AB – Pensi che giustizia dei tribunali e giustizia umana potranno mai coincidere?
FvS – Il desiderio di giustizia è una continua tensione, un’aspirazione, come la fortuna, come la felicità. Le desideri, ma non le raggiungi mai veramente. Inoltre nessuna giustizia potrà mai essere perfetta perché ci sono tanti, troppi aspetti dell’essere umano che la giustizia non può prendere in considerazione. Ma d’altra parte se si abolissero i processi verrebbe meno il fondamento su cui si regge il patto sociale. La giustizia è necessaria anche se nessun giudizio, per quanto equo, potrà mai tenere conto di tutto.

Perché leggerlo:
– perché ogni tanto fa bene ricordarsi da dove si viene;
– perché è breve, poco più di 150 pagine, e denso, compatto, malinconico;
– perché la frase “piccoli pacchetti arancione caddero nella neve” mi ha fatto esultare (basta poco, me ne rendo conto, ma sapere che c’è ancora qualcuno che non declina “arancione” mi rende felice. Anche se il merito in questo caso è del traduttore e non dell’autore).

Ah, io ho anche chiesto lumi su un eventuale finale alternativo e ho avuto una valida risposta. Ma non posso scriverla qua. Quindi se vi domandate “ma cosa sarebbe successo se…?” scrivetemi in privato 🙂

Ferdinand von Schirach
Il caso Collini
Longanesi
Traduzione di Irene Abigail Piccinini
Pagine 176
Prezzo 14,00 euro

In libreria da marzo 2012

 

10 Comments

  1. Ci fosse il facebookiano “like”, lo cliccherei. Interessante la risposta sulla sua professione, l’assunzione di colpa e i comportamenti necessitati. Si va davvero in quella direzione? Ginepraio.

    (Non sapevo avessi studiato legge, ma avrei dovuto arrivarci.)

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  2. Questo post mi era sfuggito, sono contento di averlo recuperato. Intervista molto interessante, ci sono delle considerazioni sulle “nuove teorie comportamentali” e sul “libero arbitrio” che meritano delle riflessioni non solo dal punto di vista sociale e giudiziario ma anche letterario.
    Complimenti a te, Ale, e al tuo intervistato.

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      1. Ale, l’ho letto. Ho rubato tempo al tempo e l’ho finito. Non è lungo e non è stato difficile, nonostante avessi il tempo davvero risicato. E n’è valsa la pena. Sono contento di aver fatto un’eccezione alla regola che tu sai.
        A parte alcune forzature e nonostante la prima parte (ad eccezione dell’ avvio che è dirompente), un buon 50 %, abbia una serie lunghissima di descrizioni da economo del ministero, la seconda parte fa perdonare anche la prima e fa meritare un giudizio piuttosto alto a tutto il romanzo.
        Ho trovato quattro punti di forza: 1) il punto d’osservazione di un tedesco sulla questione dei crimini nazisti, e non è poca cosa; 2) L’incapacità di elaborazione del lutto di fronte alla giustizia negata (tema che mi sta particolarmente a cuore); 3) il tema della giustizia privata (che insieme al secondo meriterebbe una lunga riflessione); 4) i danni collaterali e indesiderati di un atto criminale, ovvero le ripercussioni sulla propria famiglia (anche qui si potrebbe dire tanto).
        Lo consiglio a mia volta.

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      2. Posso esprimere grande piacere e soddisfazione per le tue parole? 🙂
        Il senso di quello che faccio da anni è proprio questo. Individuare libri (e a volte film, serie tv) la cui fruizione dia contenuto, spessore, accrescimento.
        Sono felice che tu condivida il mio giudizio 🙂

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