Letture al gabinetto di Fabio Lotti – Gennaio 2019

Buon anno a tutti!
Me li sono portati tutti. Uno per uno. Non per leggerli ma per rileggerli, con la calma tipica di chi siede sulla tazza. Voglio dire I miei grandi predecessori di Garry Kasparov, pubblicati dalla benemerita Ediscere di Verona, partendo dall’anno 2003 per finire al 2007. Una carrellata di campioni, di sfide, successi, sconfitte, di vita dedicata alle magie sulla scacchiera. Libri ricchi di partite, di analisi, di foto che ricreano, nella loro concretezza, vicende e momenti passati alla storia. Da Steinitz ad Alekhine, da Euwe a Tal, da Petrosjan a Spasskij, da Fischer alle stelle dell’Occidente, da Korcnoj a Karpov. Una miriade di sussulti ed emozioni per un vecchietto sempre appassionato. Intanto venite a trovarmi anche qui.

Ma veniamo all’altra passione…
Il gioco del delitto di Paul Halter, Mondadori 2018.
Iniziamo dai primi due personaggi che incontreremo all’inizio e alla fine della storia: il corpulento Archibald Hurst, ispettore di Scotland Yard e il suo amico consigliere, “alto e magrissimo” Alan Twist. Sono di fronte a un caso enigmatico (incidente, omicidio, suicidio?), per risolvere il quale bisogna leggere ben sette storie, sette casi criminali nei quali sette personaggi furono un tempo coinvolti. Tutti risolti tranne uno, secondo il dottor Lenoir, “che fu vittima di un errore giudiziario” al posto del vero assassino.
Sette storie, dicevo, da rievocare nella casa del citato dottor Lenoir nella quale personaggi diversi sono stati invitati per partecipare ad un nuovo gioco investigativo (già all’arrivo, a creare la giusta atmosfera, il classico corvo che volteggia gracchiando), dopodiché si sarebbero esercitati al tiro al bersaglio nel giardino, quindi cenato insieme per finire con una sensazionale sorpresa del padrone. Sette storie, nelle quali furono coinvolti in fatti di sangue, ognuna con qualche sua peculiarità: l’emblematico caso da camera chiusa, premonizioni, ricatti, omicidi, delitto e suicidio impossibile, scambi di persona, sparizioni e apparizioni e più chi ne ha più ne metta. Sette storie, ripeto ancora, ricordate dalla presenza di certi oggetti fatti trovare nella casa dal suo padrone: una corda, una sciarpa gialla, un pacchetto di sigarette, una scatola di cartone e un randello, una chiave inglese, delle statuine, un leone alato, una clessidra e un candelabro che mettono brivido e apprensione.
Dopodiché, come macabra sorpresa, arriverà il morto stecchito nella persona dello stesso dottor Lenoir, “accasciato su una sedia”, addirittura addormentato (capsule di Veronal tra le pieghe della camicia) e colpito da sette proiettili dietro la siepe, oltre il bersaglio, dei sette invitati: la signorina Rose, il colonnello Moutarde, il dottor Lenoir, il professor Violette, la signora Leblanc, il dottor Olive, la signora Pervenche. Chi di loro l’assassino, secondo Twist, attaccato perennemente alla sua pipa, che ha lasciato inavvertitamente un importante indizio, ovvero “un grossolano errore” nel suo racconto?
Un romanzo di grande pregio, delineato e svolto attraverso una scrittura precisa, linda, pulita, essenziale e nello stesso tempo capace di evocare atmosfere strane, bizzarre, macabre, inquietanti. Insieme a richiami e citazioni di grandi opere, comprese alcune dell’autore.
Bene, ora tocca a voi lettori trovare, prima di Twist naturalmente, il “grossolano errore”. Quale?…

Non sparate sul pianista di David Goodis, Mondadori 2018.
Port Richmond a Philadelphia. Più precisamente in una bettola, ovvero nel Covo di Harriet. Qui lavora come pianista Eddie Lynn. Di altezza media, piuttosto snello, faccia gradevole, capelli castani, occhi grigio-chiaro, sguardo assente. Niente cravatta, giacca piena di toppe come i pantaloni, niente moglie e niente macchina. Trentacinque dollari la settimana. Occhi fissi sulla tastiera. Quello è il suo lavoro, quella la sua vita. Uguale, ripetitiva, monotona. Fino a quando…fino a quando arriva trafelato il fratello Turley. Ha un problema, chiede aiuto… E qui cominciano i guai.
Aiutato da Lena, la bella cameriera, che lo seguirà fino alla fine. Un viaggio tumultuoso all’esterno e all’interno del nostro Eddie (questa parte in corsivo). I suoi dubbi, gli arrovellamenti di un uomo che deve affrontare nuove, pericolose situazioni, il passato che riemerge, ovvero la sua vita, la famiglia, i genitori, i due fratelli, la guerra che lo ha visto ferito. E poi alcuni lavoretti, gli studi sul pianoforte, l’incontro con Teresa, il matrimonio, l’occasione di diventare concertista. Tutto sembra andare per il meglio, è diventato famoso. Ma poi, tutto si dissolve…
E ora, lì nella bettola, si è dovuto scontrare con due ceffi che lo inseguono insieme a Lena e che scopriranno dove si nasconde. Allora ancora fuga verso la sua vecchia casa nel South Jersey con i due fratelli Clifton e Turley a rivelare le loro nefandezze. Un nuovo fermento dentro di lui, un sospiro di amore che si affaccia, il pensiero fisso di voler salvare la cameriera. Ma è giunto il momento dello scontro finale…
Non c’è bisogno di aggiungere altri particolari. Una storia circolare che ci riporta laggiù, in fondo all’abisso, come nel titolo originario Down There. Inutile ogni sforzo per cambiare il destino. Tutto è segnato. Un classico girato sullo schermo da Francois Truffaut nel 1960 con il titolo Tirez sur le pianiste. E un nodo ci prende alla gola.

L’assassinio del commendatore di Murakami Haruki, Einaudi 2018.
Un pittore senza nome di trentasei anni, un ritrattista che narra la sua storia in prima persona. Lasciato dalla moglie prende la macchina e se ne va. Comincia a vagabondare per l’Hokkaidō ripensando al matrimonio, alla sua vita, fino a quando un vecchio amico gli offre una sistemazione nella casa del vecchio padre Amada Tomohiko, famoso pittore del Giappone. Ed ecco subito qualcosa di misterioso e inquietante. La scoperta di un quadro dello stesso Amada nascosto nello spogliatoio della camera degli ospiti attraverso una botola sul soffitto. Un quadro particolare e indecifrabile, L’assassinio del Commendatore di una violenza inaudita, di uno scontro tra due uomini in duello “con pesanti spade di foggia antica”. Subito gli riporta alla mente il Don Giovanni di Mozart dove viene ucciso, proprio nella scena iniziale, il Commendatore. Un quadro che lo affascina, soprattutto per la presenza di un personaggio “dalla faccia lunga” che sporge la testa da un buco della terra.
Secondo mistero la richiesta di un ritratto da parte di uno strano individuo che abita in una casa bianca sulla collina di fronte. Trattasi del signor Menshiki disposto a pagare una somma sbalorditiva. Perché?…
Terzo mistero una campanella che incomincia a suonare nel cuore della notte, dietro un tempietto sotto un cumulo di pietre. Almeno così sembra. Occorre toglierle ed ecco spuntare davvero la campanella. Ma chi la suonava?…
Ancora fatti strani, indecifrabili: lo sgabello dove si siede per dipingere che si sposta, una voce che gli parla, la campanella portata in casa che suona nella notte, addirittura il Commendatore del dipinto di Amada seduto sul divano di casa… Accanto a tutto questo, ricordi, ricordi e ricordi: la morte della sorella piccola, della moglie di cui è ancora innamorato, l’avventura con una ragazza, la sua claustrofobia. E ancora il dubbio, la paura, la tristezza, il dolore, realtà e irrealtà, reale e surreale, il sogno e l’allucinazione. Racconti nei racconti, riflessioni sul senso della vita insieme a descrizioni accuratissime (per esempio dell’abitazione di Menshiki), al sesso e alle sue amanti, all’erotismo che irrompe forte sulla scena, alla guerra, alla storia con le sue nefandezze compiute sotto il nazismo. Citazioni di libri (improrogabile Sherlock e Holmes) e film, dischi di musica classica a formare un impasto di variegata cultura.
Un libro complesso che scava nel profondo, dove tutto è così strano, così indecifrabile. Come la vita. Sogno o realtà?… Un personaggio, il nostro ritrattista, che piano piano rivela le sue debolezze (forti sono, invece, le donne), omaggio a Francis Scott Fitzgerald e al suo Jay Gatsby, come ci ha fatto sapere lo stesso autore. Un libro che, in fondo, ci sprona a sopravvivere sia ai problemi individuali che a quelli collettivi.

Spiluzzicature

Iniziò con un bacio, finì con un delitto di Derek Smith, Polillo 2018.
“La sua bocca toccò quella di lui in una fuggevole carezza. Quindi andò via. Iniziò con un bacio. Finì con un delitto.” Siamo a pagina sedici e l’esito è già scritto. O vediamo…L’ispettore Castle dalla testa brizzolata è un uomo robusto, distinto, porta un vecchio impermeabile e una bombetta. Gli arrivano due biglietti per una pièce teatrale con una nota misteriosa “VIENI ALLA FIERA DI PADDINGTON”. Incuriosito chiede all’amico Algy Lawrence, geniale investigatore, di andare con lui. In prima fila assistono alla scena dove la protagonista viene uccisa con un colpo di pistola. Il problema è che muore veramente e l’assassino catturato. Ma sarà quello giusto? Uhm… Troppo facile. Dello stesso autore consiglio L’enigma della stanza impenetrabile, pubblicato sempre dalla Polillo. Classico capolavoro dei delitti impossibili nella classica camera chiusa. Qui ne troviamo addirittura due, ma non preoccupatevi che c’è sempre il giovane Algy a risolvere il mistero.

L’ultimo respiro del drago di Qiu Xialong, Marsilio 2018.
Odierna Shangaj. Ancora un’indagine per l’ispettore capo Chen. Se la deve vedere con un serial killer che uccide persone che sembrano non avere alcun collegamento fra di loro. Sul luogo del delitto una mascherina antismog usata negli ospedali. Come al solito pressioni dall’alto e l’arrivo di un passato amore a mettere fremiti mai sopiti. Con l’aiuto dell’ispettore Yu riuscirà a risolvere il caso offrendoci, tra l’altro, un quadro della continua evoluzione della Cina. Grande cura nel presentare e sviluppare i personaggi con al centro il nostro poetico, ma anche gustoso commensale Chen.

Ho sotto mano L’uomo nudo e altri racconti di Georges Simenon, Adelphi 2016. È da un po’ di tempo che mi dedico alla lettura e rilettura dei racconti del grande autore francese. Ovvero di quelli relativi all’Agenzia O con Torrence, Emile, Barbet e Berthe. Racconti gustosi, ironici, esilaranti e qualche punta di sentimentalismo. L’inizio del primo Lo spioncino di Émile promette bene, ma ci ritornerò sopra.

Un giretto tra i miei libri

Le ombre inquiete di Jean-Patrick Manchette, Cargo 2006.
Parto dalla presentazione in seconda di copertina che ci offre il quadro generale del libro “Jean-Patrick Manchette è famoso al grande pubblico come scrittore di noir, ma riversa altrettanta passione e intelligenza – entrambe contagiosissime – quando scrive con piglio “militante” di romanzo poliziesco, noir e letteratura gialla.
Come un protagonista di un suo romanzo, lo vediamo fare delle vere e proprie scorribande tra i generi e le loro evoluzioni, ricostruire le biografie dei padri fondatori e dei maggiori rappresentanti – da Dashiell Hammett a Raymond Chandler, da Ross Macdonald a James Ellroy; smontare con gran divertimento il metodo di indagine di celebri protagonisti come Hercule Poirot o Miss Marple. Per sconfinare infine dai romanzi al cinema, per giocare tra originali, scritture cinematografiche e rifacimenti, di film in film…”.
Gli interventi vanno dal 1976 al 1995, quasi un ventennio di studio e di lavoro di questo grande (più o meno) scrittore. Un lungo affresco della letteratura poliziesca “la grande letteratura morale della nostra epoca”. “Un giallo senza morale è come una zuppa che non ti fa leccare i baffi, è sbobba” insiste Manchette e qui ci sarebbe da aprire una bella discussione. Come in moltissimi altri punti del libro, perché l’autore non si limita a osservare e indagare ma partecipa in prima persona e dice la sua senza tanti tentennamenti di sorta. Sui libri, sugli autori, sull’editoria in generale. Sul cambiamento dei tempi “Il giallo dell’epoca d’oro era il lamento della creatura oppressa e il cuore di un mondo senza cuore. Adesso la creatura oppressa non si lamenta più, incendia i commissari e gambizza gli uomini di Stato”. E, con una rara onestà che lo contraddistingue, ritorna talora sui propri passi, rivede le sue posizioni. Per esempio, su Ross Macdonald prima criticato e poi rivalutato (pag.166/68). E parlando di John MacDonald celebra la grande arte dell’“artigiano” perché “a dispetto delle variazioni infinite, non smette d’imitare stilemi ben noti, e poi è imitando stilemi ben noti che ogni tanto firma un capolavoro”. La grande arte dell’artigiano che cura con passione i più piccoli particolari e rende sempre diverso il solito disegno. E così via con altri innumerevoli interventi che fanno discutere e riflettere.
Da leggere.

Le orme di Satana di Norman Berrow, shake edizioni 2010.
Piccolo villaggio inglese. Si parte con Jake Popplewell che sta parlando con il nipote Gregory Cushing “giovanotto altissimo e magro sulla trentina”, tutti e due lasciati dalla moglie (quella di Gregory si è addirittura suicidata) ed elogiando la bellezza della vita libera (dalle mogli, appunto). Colto (conosce Bacone, declama Shakespeare, cita l’“Ecclesiaste”), quando è ubriaco viene preso da una paura terribile della Dama Blu impiccata in passato ad un albero perché cacciava di frodo.
Tema il delitto impossibile e bizzarro. Strane orme nella neve di zoccoli che sembrano saltellare, si dirigono verso varie case, saltano su una siepe, scavalcano un muro, salgono su un tetto. Seguono addirittura quelle di un uomo, Mason (tipo losco), trovato impiccato a un albero. Arriva la polizia nelle persone del sovrintendente Blackler, dell’ispettore Lancelot Carolus Smith e del sergente Poynter. Incredulità, possibili spiegazioni (gruppi di animali, animale ignoto, Boomer l’asino di Jake, entità soprannaturale), raccapriccio. Addirittura opera del diavolo o della Dama Blu con Lancelot a ricercare logiche umane e la signorina Emmy Forbes a scagliarsi contro la scienza (secondo lei anche un fantasma può uccidere).
Per l’ispettore tutte le spiegazioni possono andare bene “Però è quel cadavere alla fine del fenomeno paranormale che mi rimane sul gozzo. Un cadavere è un fenomeno decisamente fisico”. Se poi i fenomeni sono due con l’arrivo di un’altra vittima e sempre quelle maledette orme della Cosa a seguirla, allora la faccenda si fa ancora più seria e misteriosa.
Lancelot è tormentato da dubbi, pensa, riflette… fino a quando “per la barba del Plantageneto, poteva anche dargli un nome!”. Riunione finale alla sede di polizia, spiegazione delle impronte (prendete un caffè forte per stare attenti e non perdere il filo…) e smascheramento dell’assassino.
Scrittore un po’ brigantello questo Berrow per sviare l’attenzione dei lettori. Per esempio a pagina… ma è meglio che lo scopriate da voi.
Personaggi ben caratterizzati (formidabile la figura di Jake all’inizio), lettura piacevole, buona l’atmosfera di inquietudine e mistero con queste orme diaboliche che saltano da tutte le parti e offrono il destro per una bella discussione sulla scienza e su tutto ciò che non è logico e comprensibile.

Le ossa, nel giallo (inteso in senso lato) vanno di moda. Si trovano dappertutto. Perfino nei titoli. Ne cito alcuni tanto per dare un’idea: Il collezionista di ossa di Jeffery Deaver, La città delle ossa di Michael Connolly, Il silenzio delle ossa di Michael Baden e Linda Kenney, Carne e ossa e Ossario di Kathy Reichs, Ossa nel deserto di Sergio Gonzales Rodriguez, Scritto nelle ossa di Simon Beckett, Uomini e ossa di Bass-Jefferson, L’angelo delle ossa di John Connolly e perfino Le ossa di Dio di Leonardo Gori e così via.
Non poteva mancare all’appello Le ossa del diavolo di Kathy Reichs, Rizzoli 2008, che con questa parte del corpo umano c’è di casa e di bottega.
“Si dice che il Diavolo sia nei dettagli. E nessuno è più sensibile ai dettagli di Tempe Brennan, che per mestiere studia le ossa dei morti a caccia di particolari rivelatori: dell’età, del sesso, della fisionomia di una vittima, dell’epoca e delle cause di una morte. Quando tracce di un macabro rito pagano affiorano nello scantinato di una casa in corso di ristrutturazione a Charlotte, North Carolina, Tempe è chiamata a dare il suo contributo alle indagini. C’è il teschio di una ragazza di colore, tra i resti che deve interpretare per provare a capire cosa sia accaduto in quel luogo impregnato di mistero e orrore. Ma prima che il lavoro di Tempe possa dirsi concluso, il fiume Wylie restituisce il corpo decapitato di un ragazzo sul cui petto sono stati incisi simboli satanici….”.
Inutile dire che giriamo intorno a riti, sette e religioni varie come il satanismo, il vudù, la santerìa, la wicca e così via. Indiziato il santero Cuervo, una specie di guaritore, naturalmente trovato morto ammazzato e Asa Finney considerato uno stregone (da ragazzo ha rubato delle ossa al cimitero). E c’è Boyce Lingo, “un commissario con ambizioni politiche” che tuona contro questi depravati della società. A dargli manforte i detective Skinny Slidell ed Eddie Rinaldi (uno dei due fa una brutta fine e lascia degli appunti “misteriosi”).
Non manca il lato personale della faccenda con la figlia Katy (laurea in psicologia e prolungamento genetico di suo padre) che cerca di appiopparle un compagno di nome Charlie Hunt, vecchia conoscenza di scuola con “il fascino di un divo del cinema”. È stata lasciata dal bel Ryan e ricordiamoci che è divisa dal marito Pete allacciato teneramente con la nuova Summer, “una fanciulla biondo platino, con seni grandi come palloni da spiaggia” (vista da Tempe). Solito temperamento focoso, viene addirittura sospesa dal suo superiore e rischia pure la pelle. Interessante la descrizione accurata del suo modo di lavorare professionale e scientifico.
Prosa veloce, sciolta con un pizzico di autocompiacimento ed un uso eccessivo (a volte) delle frasettine ine ine che fanno tanto bomboniera. Costruzione non impeccabile (la soluzione mi pare poco credibile) e artificiosa con pistolotto finale sulle cose che non vanno in casa propria (vedi America).

Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)

Torna al giallo (e perché no?) Margherita Oggero, premio Bancarella 2016, con La vita è un cicles, Mondadori 2018, ambientato a Torino, con il ritrovamento di un cadavere in un bar. E passa con agilità dall’era della professoressa a quella del neolaureato precario. Eh già, perché il suo orologio del tempo non si è fermato con Camilla Baudino, impeccabile modello di professoressa inizio anni duemila ed esemplare personaggio rappresentativo di una generazione nata negli anni del boom, ma continua a fluire in fretta, quasi un’onda di piena. Con Massimo, venticinque anni e una laurea in Lettere antiche, che per non vivere completamente alla spalle della famiglia, lavora qualche ora la mattina presto all’Acapulco’s, un bar dal nome esotico ma poco frequentato della periferia di Torino e arrotonda scrivendo tesine e tesi di laurea per studenti che hanno altro da fare. Una vita che scorre più o meno normalmente fino a quella gelida mattina d’inverno quando Massimo, all’inizio del turno alle sei del mattino, aprendo la porta sul retro del bar, trova a terra un cadavere con la faccia spappolata… La vita è un cicles è un romanzo veloce, pungente, sfizioso in cui come sempre la sua Torino si ritaglia un ruolo da protagonista: stavolta però soprattutto la Torino delle periferie, della clandestinità, del degrado, della convivenza difficile. Una Torino decisamente lontana dalle eleganti vie del centro, quella descritta da Margherita Oggero. Ma poi sarà un cicles anche questa città con le strade con le buche peggio di Roma, che pare dimenticata dalla politica ma che rappresenta lo stesso un vivace palcoscenico e specchio dei nostri tempi?
Uno sporco lavoro di Bruno Morchio, Garzanti 2018.
Una telefonata di una vecchia amica, ma a Bacci Pagano basta una parola per riconoscere Maria, accettare la sua richiesta e fare la visita di compassione in ospedale. Maria è invecchiata, i suoi fastosi capelli ricci alla Angela Davis, oggi ingrigiti, sembrano spenti, ma gli occhi sono ancora quelli di allora, verdi, penetranti e che sanno di mare. Un lampo, i ricordi condivisi e le lancette dell’orologio che riavvolgono velocemente il nastro del tempo rimandano Bacci Pagano indietro di trent’anni, ad allora, a metà degli anni ottanta. Pieve Ligure: villa incantata, sontuosa ambientazione da albergo a cinque stelle arrampicata sulla scogliera con piscina e discesa a mare per fare il bagno e annessa servitù ad hoc. Il primo incarico di Bacci Pagano come investigatore privato, il primo proposto e preso al volo: fare da guardaspalle a un cosiddetto manager di stato, Rissi, che i media definiscono l’Ingegnere milionario, nuovo ricco rampante, milanese con legami con certa politica, alla giovane moglie e al figlioletto… Ci sono loschi personaggi che a diverse ore del giorno per terra o per mare ruotano attorno agli occupanti della villa. C’è l’intimidatoria passeggiata da parte di uomini armati sul gommone… Non gli resta che affrontare Rissi a viso aperto per cercare di capire cosa succede davvero. Ha accettato l’incarico, sa di dover proteggere lui e la sua famiglia, non si tira indietro, però percepisce il marcio e sa che non può più fidarsi di nessuno. Quella che sembrava la facile impresa di una nuova vita, senza rogne, pochi rischi con un incarico importante e ben pagato, ha trascinato Bacci fra gli sporchi traffici di alleanze sotterranee tra politici e malavitosi in un’Italia, solo coperte dall’intenso sfavillare del benessere economico. Ma ormai è in gioco e deve giocare preparandosi ad affrontare una mortale sorpresa. Una tragedia è là, in agguato. Uno sporco lavoro è la prima nostalgica indagine di Bacci Pagano, il genovesissimo investigatore dei carruggi. Un altro mistero legato al suo passato, forse fitto di rimpianti e pericoli, ma anche di amori, bella musica, magari un bicchiere colmo di nettare, caffè nero e buona cucina. Quanta strada hai fatto, Bacci, per diventare l’irrinunciabile personaggio cult di Bruno Morchio. E quanta ne farai ancora?
In nome dei Medici di Barbara Frale, Newton Compton 2018.
Ben calibrato, interessante, non ne dubitavamo, e contemporaneamente avventuroso e inquietante, con quel piccolo quid di esoterico mistero che non guasta mai, In nome dei Medici, il nuovo romanzo di Barbara Frale che interpreta uno spaccato di vita meno conosciuto del giovane Lorenzo de’ Medici. Un Lorenzo de’ Medici gaudente, incline agli allegri piaceri delle lenzuola, ma con il cuore ancora tenero. Un Lorenzo de’ Medici ventenne, già bravo diplomatico e mercante ma, nonostante gli insegnamenti del nonno Cosimo che l’ha forgiato come suo vero erede morale, non smaliziato a sufficienza da passare completamente indenne tra le trappole, i doppi e tripli sensi, gli astrusi machiavellici politici, le rischiose dietrologie e i continui complotti romani… Mischiando con disinvolta abilità storia e fantasia, Barbara Frale fa una piacevole rivisitazione di una parte del percorso di formazione di colui che i suoi contemporanei fecero conoscere ai posteri come il Magnifico. Un’attendibile e curata ricostruzione delle caratteristiche mentali e fisiche di diversi personaggi reali, tra le quali domina vivace e ben studiata la rappresentazione del potente ed enigmatico cardinale valenzano Rodrigo Borgia che aleggia protettivo sul giovane fiorentino.
Dopo un’anteprima, diciamo una specie di spuntino interpretato dall’autore a BookCity, Vuoto per i Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio de Giovanni, Einaudi 2018, va in libreria il 27 novembre. La prima domanda che si pone il lettore sarà sul titolo: perché è Vuoto questo romanzo, in cui si riparla della ormai stracollaudata squadra di successo, nella vita letteraria e sullo schermo, dei Bastardi di Pizzofalcone? Mi pare, ma correggetemi se sbaglio, di interpretare che Maurizio de Giovanni abbia deciso di servirsi del termine vuoto nel suo più completo figurato significato di mancanza, assenza, carenza, insufficienza, deficienza, lacuna ed omissione. Realtà oggettive che conosceremo, incontreremo e affronteremo tutte nel corso della trama venate come sempre da ansia, struggimento e da un malinconico senso di incertezza e incompletezza.

Le letture di Jonathan
Cari ragazzi
Oggi vi presento Le avventure del Corsaro Nero di Geronimo Stilton, Piemme 2015.
“Era vestito di nero, con abiti raffinati: un mantello, una casacca di seta, pantaloni stretti da una fascia con le frange, un paio di stivali e un cappello grande con una lunga piuma. Aveva il viso pallido e i lineamenti delicati. Lo sguardo era fiero e coraggioso”. Ecco il Corsaro Nero (siamo nel ‘600, a Maracaibo) che vuole giustiziare il capitano Wan Guld perché ha ucciso i suoi due fratelli. Durante il viaggio incontra un veliero sul quale c’è Honorata Willerman, una principessa bellissima: capelli lunghi dorati, un abito di seta e una collana di perle. Se ne innamora ma, dopo un po’ di tempo, farà una scoperta terribile: l’amata è la figlia del suo acerrimo nemico!
Tra tutti i personaggi, certamente quelli più importanti sono Amore e Vendetta. Come andrà a finire?

Un saluto da Fabio, Jonathan e Jessica Lotti

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