Le lunghine di Fabio Lotti: Detective Lady (II)

La prima parte qua.

Miss Marple stava per vivere l’ultima sua avventura, quando una nuova zitella, Amelia Peabody, irrompeva prepotentemente sulla scena. E non è questo un semplice modo di dire, visto l’indole focosa dell’eroina creata da Elizabeth Peters nel 1975.
Ricca ereditiera, Amelia è ancora giovane ma, per l’epoca in cui vive (l’ultimo ventennio del 1800), i trentadue anni di età pesano e la collocano irrimediabilmente tra le donne che hanno perso da tempo l’ultimo tram per maritarsi. D’altra parte, non ha mai ricevuto una proposta di matrimonio e, per sua stessa ammissione, non è per nulla attraente. Troppo alta, troppo asciutta in alcuni punti, troppo tornita in altri, ha il naso troppo grosso, la bocca troppo larga e un mento con un che di mascolino. Un po’ troppo in tutto, anche nel carattere, talmente irruente e poco femminile da far sospettare che il mento non sia l’unica sua caratteristica che l’accomuna agli uomini.
Malgrado ciò, sotto la rude scorza, Amelia nasconde un cuore che la induce a soccorrere chi è in difficoltà e a intervenire per risolvere i casi più spinosi, qualunque sia la loro natura. Interventista e indomita, tanto da farle guadagnare il nomignolo di Indiana Jones in gonnella, la nostra è comunque destinata ad essere una zitella mancata. La sua passione per le antichità egizie le fa infatti conoscere l’anima gemella: un esperto egittologo, caratterialmente mal disposto come lei, che condividerà con la nostra tutta una serie di mirabolanti avventure.

Sempre nell’età vittoriana vive la successiva eroina, Charlotte Ellison, creata da Anne Perry agli inizi del 1980.
Giovane di bella famiglia, Charlotte ha un certo fascino e sicuramente non avrebbe difficoltà a trovare marito, se non fosse per la sua caparbietà e per l’esiguità della dote su cui può contare. I suoi familiari non vedono pertanto una sistemazione facile per lei, considerando che agli uomini non piacciono le donne ribelli, poco disposte a sottomettersi alle convenzioni che la società impone. Oltre a questo, Charlotte non sa dissimulare, né nascondere i propri sentimenti; anzi, afferma le proprie convinzioni con decisione e fermezza, anche se in modo molto femminile.
In effetti, Charlotte non è la protagonista della serie – ruolo che è assegnato formalmente all’ispettore di polizia Pitt -, tuttavia le circostanze la portano a innamorarsi proprio di Pitt e a prendere così parte alle indagini in cui questi è impegnato. E si deve al suo intuito, alla sua perspicacia e al suo spirito d’iniziativa, più che all’acume investigativo del marito, se molte delle indagini sono risolte in maniera brillante.
Sebbene occupata in casi delittuosi a tempo pieno, Charlotte non dimentica i suoi doveri di moglie e di madre, né tralascia di rivendicare, sia pur con tatto e senza assumere mai antipatici atteggiamenti radicali, un diverso ruolo sociale per le donne. Un personaggio in definitiva dotato di tante apprezzabili qualità (non ultima una spiccata femminilità), destinato a soppiantare il titolare della serie, sempre più emarginato dai passi essenziali delle storie narrate e, in aggiunta, sempre più impegnato in squallide beghe d’ufficio con superiori che desiderano imporre logiche mafiose.

E passiamo a Kathryn Swinbrooke che compare in Italia nell’estate del 1997, con un ritardo di alcuni anni dalla sua effettiva nascita letteraria. Ne è autore C. L. Grace, meglio conosciuto con l’altro pseudonimo di Paul Harding, che, per quanto ne sappiamo, è il primo scrittore di gialli che affida il ruolo principale a una donna.
A differenza delle protagoniste prima considerate, Kathryn ha già una triste esperienza matrimoniale alle spalle e una professione che le permette una qual certa gratificazione sociale,.
Speziale e medico inglese del XV secolo, la nostra vive le sue avventure in un periodo burrascoso per il suo Paese, agitato com’è da lotte incessanti per la successione al trono e da intrighi che non consentono di condurre una normale esistenza quotidiana. In questo clima tetro, connotato caratteristico, e un po’ di maniera, del periodo medievale, Kathryn si barcamena con apprezzabile dignità, cercando di fornire il suo apporto professionale e le sue doti non comuni per la risoluzione dei frequenti delitti che insanguinano la contea.
Gli enigmi la interessano, senza però assorbire tutta la sua energia; lo stesso dicasi per l’amore: Kathryn è una donna troppo concreta per concedersi totalmente al sentimento. Anche l’attività di speziale e medico non è vissuta da lei per vocazione, e non è neppure il fine della sua esistenza, quanto piuttosto il mezzo per affermarsi e affermare il suo ruolo.
Una perfetta giovane in carriera, se si desidera ricorrere a una immagine per esemplificare.

Niente da capire di Luigi Bernardi, perdisapop 2011.
Personaggio principale il magistrato inquirente Antonia Monanni, un “gran pezzo di figa” e pure una “rompicazzo” (agente Gallo). “Capelli lunghi, neri e un po’ mossi”, naso prominente, vigile, sotto gli occhi scuri, bel corpo ma i seni cominciano a rilasciarsi troppo. Depilazione trimestrale che i peli sono robusti e difficili da estirpare. Odia i gialli perché “scritti con i calzini e propongono trame assurde” (Bernardi?).
Storie sentimentali infelici e veloci. Trovato un uomo che le piace dura il giusto, non lo ama più, lo lascia e si dedica tutta al lavoro. Perfino invidiata dai colleghi (carta moschicida) per i casi interessanti da seguire. Per lei la giustizia è un fatto meccanico, ci sono le leggi e vanno rispettate, non si sente un’assistente sociale, nessuna fiducia nelle prove scientifiche essendo, tra l’altro, i poliziotti pasticcioni. Ogni tanto va in crisi. non pulisce la casa, non si lava, i vestiti puzzano. Zoloft e Rivotril più Tomtom, gatto persiano, come cura. Al bisogno sesso fai da te con furiose masturbazioni. Un momento di paura nella notte, l’aggrapparsi ad una voce amica.
Tredici storie tremende, vere, cioè tratte dalla realtà e pure, o proprio per questo, incredibili. Morti ammazzati anche per futili motivi (fumava troppo, dice uno dopo un omicidio). Tutta una umanità, perversa, violenta, impazzita dove il sesso e lo stupro la fanno da padroni, dove donne e bambini sono le vittime predestinate (con qualche spunto di nemesi). Storie che girano intorno ad Antonia, la avvolgono, la intrigano e la rendono un po’ simile agli altri “Che se c’è una cosa di cui non le è mai sfottuto niente è il destino dell’umanità”.
Stile essenziale, secco, spesso brutale come le vicende che vengono fuori e restano infilzate dentro di noi.

Il Lupo Rosso di Liza Marklund, Marsilio 2008.
“Rientrata in redazione dopo la lunga assenza seguita a un’inchiesta che l’ha molto scossa, Annika Bengzton, reporter di punta della Stampa della sera di Stoccolma, parte per Luleå, non lontano dal circolo polare artico. Deve incontrare un collega giornalista che le ha promesso informazioni su un vecchio attentato terroristico rimasto irrisolto su cui lei sta indagando. Ma quando arriva, viene a sapere che qualcuno lo ha ucciso.
Le ricerche di Annika, trentacinque anni, un matrimonio in difficoltà e due bambini da accudire, conducono a un uomo che, quasi invisibile, è tornato nel profondo nord della Svezia per ritrovare le sue radici e riunirsi al gruppo di cui un tempo aveva assunto il comando, in nome di un’idea folle per la quale aveva deciso di lottare”.
Partiamo dunque dalla nostra Annika Bengzton: si è detto trentacinque anni, crisi matrimoniale, due bambini, un maschio ed una femmina. Siamo nella linea normale delle detective lady. Qui si può aggiungere il tradimento del marito Thomas che si aggiunge a sua volta ad un rapporto difficile con un precedente fidanzato ed un suo innamoramento non ricambiato. Aggiungiamo ancora, tanto per sfruttare questo verbo, la brutta avventura “intorno al Natale precedente, quando era stata presa in ostaggio e tenuta prigioniera in un tunnel da una serial killer psicopatica, la Bombarola”. Conseguenza: crisi di panico e vocine che le ronzano per la testa. Così per gradire. E caffè a barili. Anche quattro per volta. Non si pone limiti e si espone senza pensarci a situazioni limiti (oggi mi va di ripetere le stesse parole). Passione per la giustizia e la verità. Vista dal marito: estranea e inafferrabile. Un’aliena scesa sulla terra, anzi per essere più precisi “una piccola donna verde venuta da un altro pianeta”. Alterna momenti di depressione e di sconforto ad altri sicuri e decisi. Soprattutto quando c’è da togliere di mezzo l’”altra” del consorte facitor di corna. E quando c’è da far valere le sue idee con il classico scontro con il direttore responsabile del giornale. Mangia di tutto, anche un cheeseburger con salsa e cipolla che mi ha fatto rivoltare lo stomaco. Sua amica Anna Snapphane, pure lei sfortunatina. Lasciata dal marito con problemi di affidamento della figlia. Non crede in Dio (ritorno ad Annika), non ha interesse per i monumenti e gli hotel con piscina. Le piace il contatto con la gente normale. Ottima madre che si dedica con cura ai figli. Un personaggio complesso e tormentato.
Seguito anche il terrorista assassino, imbottito di idee maoiste, con una vita familiare difficile alle spalle, frustato da suo padre che pratica il laestadianesimo (c’è sempre da imparare) e pochi mesi di vita per un cancro allo stomaco. Oltre al giornalista viene ucciso anche il ragazzo che aveva visto tutto ed un consigliere comunale. Intreccio tra politica e giornalismo, miti rivoluzionari, il cambiamento della società, scontro fra chi si rassegna e chi vuole ancora combattere, lettere anonime, nomi in codice tra cui Lupo Rosso che dà il titolo al libro, paesaggi, il silenzio, il freddo, brevi pennellate di sesso, l’indagine psicologica, l’”imprigionamento”, la fuga, la salvezza, la gloria giornalistica. Stile semplice, nitido, sicuro con qualche appesantimento di troppo nell’ultima parte. Un buon libro.

L’amica di un tempo di Laura Lippman, Giano 2010.
Liberamente tratto da un fatto accaduto a Baltimora. “Jackie Bouknight aveva un figlio, Maurice, che scomparve mentre la madre era sotto controllo (evidentemente un controllo non molto efficace) dal Dipartimento dei servizi sociali della città. Alla richiesta di mostrare il bambino, la donna si rifiutò e trascorse più di sette anni in prigione per oltraggio alla corte”.
Qui la condannata è Callie (Calliope) Jenkis sulla cui vicenda vuole indagare Cassandra Fallows, una scrittrice di successo che vive a Brooklyn, amica di infanzia di Callie praticamente sparita dopo la scarcerazione.
Scrittrice di successo, dicevo, con il particolare che il terzo libro è stato un fiasco. Urge trovare qualcosa di forte come questa storia che pare proprio accattivante. Sulla cinquantina, carattere forte e intraprendente, due matrimoni falliti (il primo per colpa del marito), vita sessuale “allegra” anche durante i matrimoni, da ragazzetta incline ai giovanotti con i capelli rossi e, cito testualmente, “me ne scopai quanti più possibile” che il buon tempo si vede dal mattino. Per tenersi in allenamento come amante Bernard, e fa niente se è sposato e pure un po’ uggiosetto.
Imbranata nei movimenti sbatte dappertutto “con i fianchi e i gomiti perennemente sbucciati”. Non le mancano i mezzi economici (citati Prada e Armani che sono ormai di casa e di bottega).
Per poter andare avanti nella ricerca di Callie, Cassandra comincia a contattare tutti quelli che in qualche modo la conoscono: le vecchie amiche di un tempo, il primo avvocato difensore d’ufficio, il secondo avvocato e via dicendo.
Figura imponente quella di suo padre, presenza ossessiva durante tutto il racconto, che ha tradito più volte la moglie per poi definitivamente lasciarla. Dubbi, riflessioni, ricordi della sua vita, bugie, rancori, ricatti, il tempo che passa e che cambia (fino ad un certo punto) le persone e le cose.
Scrittura che sgorga via sicura, che si insinua, avvolge, ti prende nelle sue spirali. Uno scavare in profondità, un tessere di trame che si legano fra loro, un rifrangersi delle prospettive, un aumentare improvviso di situazioni e personaggi come nati da loro stessi.
Spunti sulla società, scontri razziali (siamo al tempo dell’assassinio di Martin Luther King), matrimoni falliti, famiglie spaccate, violenza delle donne sui neonati e dei giovani verso i genitori. Sesso a perdere, come ho accennato, e l’amore. Anzi, il sacrificio dell’Amore.
Il pericolo di questi romanzi psicologici è di far morire il lettore di claustrofobia. Qui, fortunatamente, si riesce a respirare.

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