Le colpe dei padri di Alessandro Perissinotto

20130523_190827Mi capita raramente di essere al posto giusto nel momento giusto, ma per mero caso (rectius: grazie all’invito di Luca Poldelmengo) mi sono ritrovata nella-a-me-sconosciuta Biblioteca Angelica di Roma il giorno in cui Alessandro Perissinotto presentava Le colpe dei padri (Piemme) introdotto dal giornalista Paolo Conti e dallo storico e politico Miguel Gotor. Ora, se mi è permessa una notazione di colore, mi sembra che l’importanza del romanzo, il fatto stesso che l’autore fosse candidato al premio Strega (in quel momento era ancora tra i dodici preselezionati, non sapevamo che sarebbe arrivato primo della cinquina anche se un vago sentore c’era già), abbia in qualche modo influenzato la scelta del luogo della presentazione. Una biblioteca antica, in pieno centro storico, con un parterre di invitati decisamente selezionati (dei quali, sempre se mi è concesso, io, Poldelmengo e signora abbassavamo la media d’età di almeno un terzo), dà proprio l’idea di “letteratura alta”. Niente da obiettare, anzi, apprezzo l’impegno che l’editore ha speso nell’organizzare le cose al meglio; la considerazione riguarda un po’ il meccanismo dello Strega, il fatto che quando un romanzo entra nell’ingranaggio sale automaticamente di livello e in qualche modo si discosta dal pubblico “ampio” per rivolgersi a una nicchia selezionata. Almeno in questa fase. Se poi – come ci si augura – l’esito sarà fausto, allora si percorre la strada inversa, la massima visibilità finalizzata alla massima diffusione.

Le colpe dei padri (che non ho ancora letto, culpa esclusivamente mea) copre un arco temporale che va dagli anni Settanta (terrorismo, lotte operaie, autunno caldo, fino al sequestro Moro…) ai giorni nostri. La Torino operaia di allora è diventata una capitale internazionale. I due mondi si incrociano in un gioco di contrappassi di identità tra il figlio di un operaio e il figlio di una famiglia dell’altissima borghesia. I temi portanti del libro sono quindi la questione storico-politica degli anni di piombo e il tema della doppia identità.
L’intervento di Gotor rimarca che “la vita è la differenza tra ciò che siamo e ciò che avremmo potuto essere”. C’è un décalage: sogni–> ambizioni–> frustrazioni.
Il protagonista, Guido Marchisio, cade progressivamente in una sorta di ossessione. Ha una bella vita, una bella famiglia, un bel lavoro, ma ha anche una predisposizione alla nevrosi dovuta a un “buco nero” della sua infanzia: è stato adottato dopo un incidente stradale in cui hanno perso la vita entrambi i genitori e di quel periodo della sua vita lui non conserva memoria. Il 26 ottobre 2011 – un giorno qualunque, per molti di noi – la sua vita subisce una sterzata improvvisa: possibile che lui abbia un gemello? Da quel momento in poi Guido affonda in una spirale perversa. Alla sua vicenda personale si intreccia quella della sua azienda, divenuta bersaglio in quanto simbolo della crisi. Guido si arma per proteggersi da “attentati” che in realtà sono una parodia di attentati reali ma altrettanto assurdi. Non c’è mai un vero rischio, eppure lui si percepisce perennemente in pericolo.
Le colpe dei padri non è un romanzo di denuncia ma incarna lo “spirito del tempo”: la rinuncia, più che la lotta, la sfiducia nella politica e nell’ideologia. Perissinotto ha la capacità di connettere crisi economica, sociale e storico politica, ma sono pre-testi per innescare lo scavo esistenziale e psicologico dei personaggi che mette in scena. Le colpe dei padri è anche un romanzo sul conflitto generazionale.

Alessandro Perissinotto replica di non sapere se il suo libro sia politico o meno.
La politica – «C’è un narratore. Quel narratore sono io, è la prima volta in quindici anni che mi lascio andare a uno spazio biografico. Ma nessuno dei personaggi ha la mia idea politica. Negli anni Settanta tutto era “impegno”. Anche le frasi sulla politica sono “scontate”.»
I personaggi – «L’unico personaggio privo di spessore è il capo di Marchisio, Marani. Amo costruire personaggi che racchiudano in sé sia il bene che il male, per renderli credibili. Marani invece è il cattivo dei film perché non rappresenta UNA persona, ma IL sistema.
Marchisio, che a 46 anni abbandona la moglie e inizia una relazione con una stagista, guadagnandosi così la stima e l’approvazione dei suoi capi, è espressione di un meccanismo economico. Marchisio è il prototipo del personaggio che detestiamo e il protagonista della realtà che celebriamo.»
La metafora – «È un’operazione che mi è sfuggita. Non ho cercato di usare metafore negli altri romanzi, mentre questo è zeppo di metafore. L’amnesia di Guido è un espediente narrativo, ma è anche metafora di un’amnesia che collettivamente abbiamo costruito intorno agli anni Settanta. Archiviati come “anni di piombo”, in realtà sono stati anche anni fecondi in cui abbiamo conquistato molti diritti. Che ora stiamo perdendo: diritto alla salute, alla partecipazione, a essere istruiti.»
Il tempo – «Ho fatto una scelta: il tempo è circolare e non lineare. Arrivato a cinquanta anni, mi sembra che i ricordi inizino ad avere un valore.»
Ma mentre Perissinotto racconta i suoi ricordi (lui, di famiglia di estrazione operaia, studente di un istituto tecnico, che andava con la scuola a visitare gli stabilimenti della FIAT, il pullman che passava davanti agli occhi degli operai, il potenziale sbocco lavorativo ambìto e temuto, la determinazione che lo porta lontanissimo da lì, addirittura a insegnare all’Università e a concorrere per il premio Strega), la mia allergia all’acaro della polvere prende il sopravvento. Sono costretta a uscire per non disturbare l’uditorio con imbarazzanti starnuti. Da quel che ho sentito, però, mi sembra che Le colpe dei padri sia all’altezza del percorso che sta compiendo. Sicuramente lo è l’autore, al quale va un enorme in bocca al lupo per la serata finale al Ninfeo di villa Giulia.

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