La metafisica del ping-pong – Guido Mina di Sospiro

Guido Mina di Sospiro
La metafisica del ping-pong. Un’introduzione alla filosofia perenne
Ponte alle Grazie, 2016
Traduzione di Alessandro Peroni (con la collaborazione dell’autore)
Sport
Recensione di Valerio Calzolaio

Un tavolo di 152,5 centimetri per 274, alto 76 con retina di 15,25. Prima, ora e dopo. Guido Mina di Sospiro è cresciuto a Milano, faceva le vacanze in montagna e al mare, lì qualche volta giocava a ping-pong. Università a Los Angeles, fidanzamento matrimonio figli (3 maschi), trasferimento a Miami dove comprò un tavolo di ping-pong ma i pargoli impararono senza appassionarsi, durante le vacanze in Italia qualche volta ancora giocava, occasionalmente anche a casa di amici a Londra. Anni dopo vinse un torneo amatoriale in crociera, passati due anni un figlio lo sfidò e lo batté mentre erano in viaggio con la famiglia, finché un medico gli diagnosticò la pressione alta, doveva praticare uno sport, scelse il tennis tavolo, saggio e appagante, ebbe pure la sua rivincita. Ormai ha un ranking altissimo (addirittura 1900 punti qualche anno fa), è felice, ne ha tratto insegnamenti su tutti i fronti della vita. Quello sport era nato per l’aristocrazia vittoriana, nel 1900 fu introdotta la pallina cava di celluloide, le racchette erano “hardbats”, ricoperte da gomme con i puntini, prive di gommapiuma tra gomma e telaio, per velocità e abilità dominavano europei e americani. Dal 1952 cominciarono a prevalere giapponesi e cinesi, avevano racchette lisce con gommapiuma, facevano ruotare la pallina, “offendevano” con il topspin più che con la schiacciata, incrementarono soprattutto scatto e tattica, trasmisero il colpo al gioco capostipite (che si imitava in piccolo) ovvero il tennis (che impedì però l’adozione di racchette congrue). Una decina di anni dopo fu standardizzato il “sandwich”, gomma puntinata (verso l’interno) più gommapiuma sottile. Fu una rivoluzione, ormai i giocatori sono quasi tutti metafisici, resiste una sciocca minoranza di empiristi. Wow!

Guido Mina di Sospiro (Buenos Aires), è tornato con i genitori dall’Argentina in Italia negli anni sessanta dove ha fatto scherma e poi il liceo, ventenne all’inizio degli anni ottanta è andato a studiare negli Usa e vi è rimasto. Pizzetto sul mento, fumatore di pipa, alto più di 1,80, scrive in inglese e ha aiutato la traduzione di questo bel libro dedicato al ping-pong (originale del 2013). Assegna giustamente essenziali funzioni vitali al nostro amato sport, il secondo più praticato al mondo dopo il calcio. Serve a capire il pianeta umano e, comunque, a vivervi meglio. Da mezzo secolo il ping-pong è divenuto un’attività studiata in laboratorio, per l’infinita combinazione di spin, velocità, angoli e traiettorie: risente di ogni progresso scientifico e tecnologico e viene collegato a discipline come la meccanica dei fluidi, la matematica avanzata, la biomeccanica umana, l’intelligenza artificiale, la scienza dei materiali. Incredibile, ma vero: un gioco controintuitivo per un intrattenimento irriverente (si cita Sheryl Crow), da “Absolute Beginners” (David Bowie). Il volume è insieme un’autobiografia di parti importanti della vita con il racconto meticoloso di molti viaggi effettuati e di alcuni incontri disputati, un saggio breve a cavallo fra sport e scienza, un romanzo di formazione (aneddoti politico-culturali, dialoghi fra amici di varie nazionalità, citazioni colte, aforismi). Le parti “filosofiche” sono le più vicine alla competenza professionale dell’autore, pur se talora rasentano un certo unilaterale fondamentalismo pongista, imperniate sulla contrapposizione tra il moderno Platone e l’antico Aristotele. Alcuni possono perdonarglielo, noi che giocammo non poco e non a stento. Giusta diffidenza, comunque, per il pensiero lineare e la superbia. Segnalo il diabete a pag. 103.

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