Åke Edwardson
Il cielo è un posto sulla terra
Baldini Castoldi Dalai, 2012
Traduzione di Carmen Giorgetti Cima
Al commissariato di Goteborg ci sono due indagini in corso: una su alcuni studenti aggrediti nottetempo e severamente percossi, ma non uccisi; un’altra riguarda le denunce presentate da alcuni genitori perché i loro figli (piccoli, in età da asilo) raccontano di un “signore” che li ha portati su una macchina, ha dato loro le caramelle e poi li ha lasciati andare. I piccoli non presentano segni di violenza, tanto che i genitori pensano a qualche invenzione fantasiosa. Ma le denunce si moltiplicano e il commissario Erik Winter, che ha una figlia della stessa età, si allarma…
Se state storcendo il naso di fronte al “solito” crime book svedese, sappiate che è la stessa reazione che ho avuto io quando mi è stato proposto Il cielo è un posto sulla terra. Prima di leggerlo. Durante la lettura ho completamente cambiato idea. Per rassicurarvi, vi dico che Åke Edwardson, sebbene (ancora) sconosciuto da noi, è giunto al decimo romanzo della serie del commissario Erik Winter, che è stato tradotto in 25 Paesi e che gli adattamenti televisivi dei suoi romanzi sono seguiti da due milioni di svedesi (su una popolazione di circa otto milioni). Ancora più rassicurante è il fatto che Åke Edwardson abbia iniziato a scrivere prima che esplodesse il “fenomeno” Larsson, e quindi che faccia parte non della new wave, ma della vecchia guardia, quella “à la” Henning Mankell. Come dice lui, Io esisto da sempre: in principio c’erano Adamo, Eva e Åke Edwardson.
E sicuramente il giudizio molto positivo è aiutato dalla traduzione fluidissima di Carmen Giorgetti Cima.
Durante la presentazione romana Åke Edwardson ha avuto modo di dimostrare il suo “spessore” e la sua professionalità (nella foto di Cristina Greco: Enzo BodyCold Carcello, l’AngoloNero, Åke Edwardson e Fabiol’interprete):
AB – Come mai il tuo editore italiano ha scelto di iniziare la pubblicazione di Erik Winter da Il cielo è un posto sulla terra, quinto romanzo della serie?
ÅE – Credo che l’editore abbia voluto presentare Erik Winter in una fase più “matura”. Ci sono abituato, perché la stessa cosa è accaduta con la traduzione americana. Ma non è un problema perché i romanzi di Erik Winter si possono leggere separatamente, e perfino lo stile è diverso da un romanzo all’altro. Penso che Winter sia interessante dal primo all’ultimo romanzo, ma è differente nei vari episodi.
AB – Che tipo è Erik Winter?
ÅE – Erik Winter è un personaggio “morale”, più che politico, esistenzialista più che critico. Anche se nei miei romanzi c’è una critica alla società, è una critica letteraria, attraverso la scrittura, non attraverso il personaggio.
AB – Per quali percorsi personali e professionali sei arrivato a scrivere crime books?
ÅE – Ho iniziato giornalista professore di giornalismo, e a un certo punto mi sono reso conto che i miei articoli, soprattutto nel periodo in cui stavo in Asia, erano sempre più lunghi perché inventavo storie. E questo non si può fare, soprattutto se sei un docente di giornalismo. Quindi ho dovuto fare una scelta. A un certo punto sapevo che ero pronto per scrivere un romanzo.
AB – Perché proprio un romanzo giallo?
ÅE – Perché nel 1992 ho letto La Dalia Nera di James Ellroy, e mi ha colpito moltissimo, sia per la frammentazione del linguaggio, sia per il fatto che fosse completamente senza speranza. E io ho trovato questa cosa molto “rigenerante”. Anche se io, nei miei romanzi, lascio una speranza, ma trovavo “rinfrescante” il fatto che qualcuno andasse in un posto senza speranza. Questo perché di solito il giallo è come un romanzo per bambini: le cose finiscono bene. Succede qualcosa di brutto “durante”, ma alla fine tutto si chiude bene. E questo non è reale. Il romanzo di Ellroy era rigenerante perché non potevi fare affidamento su un lieto fine risolutivo, esattamente come accade nella realtà.
AB – E qual è la tua concezione del genere?
ÅE – Io scrivo “giallo moderno”. Non sono sicura che chi è venuto dopo di me faccia lo stesso. Ho cercato di mettere alla prova le regole tradizionali del giallo. Il giallo è un genere molto conservatore e la gente ha un’opinione molto precisa su come debba essere. La stessa “drammaturgia” del giallo è molto semplice. Se fosse un genere musicale sarebbe rock and roll, che si basa fondamentalmente su tre accordi, e i tre accordi del giallo sono un mistero, la ricerca e una soluzione. Io volevo giocare con questi elementi mantenendomi fedele alla logica del genere ma dando uno sviluppo diverso. Il punto è che il lettore di gialli, esattamente come accade per gli altri generi, deve imparare a ragionare con la sua testa. Non è corretto dare troppe spiegazioni alla fine: bisogna che il lettore trovi le risposte da solo. Mi piace quindi lasciare delle trame che non si chiudono in modo che il lettore sia obbligato a riflettere non solo durante, ma possibilmente anche dopo.
AB – Un’altra cosa che ho notato è che nel testo sono state mantenute espressioni in inglese, nei dialoghi e nei pensieri, come se in Svezia la gente parlasse comunemente in inglese. È così?
ÅE – In parte sì, in parte volevo qualcosa che spezzasse il ritmo. La stessa cosa vale per i brani musicali che ho citato. Sono tra l’altro grato a Erik Winter per avermi portato ad ascoltare il jazz. Quando scrivo mi isolo completamente dal mondo, metto la musica a tutto volume e via.
AB – Credo che nel nostro immaginario la Svezia sia, tuttora, un Paese con un elevato standard di welfare e protezione sociale. Leggendo il tuo romanzo scopro, invece, che non ci sono abbastanza maestre per sorvegliare adeguatamente i bambini delle scuole materne, non ci sono abbastanza poliziotti per garantire l’incolumità dei cittadini e addirittura che dichiarare apertamente la propria omosessualità è un problema. Qual è la vera Svezia, allora?
ÅE – Io credo che la Svezia sia tuttora uno dei migliori Paesi al mondo, ma le crepe di quella costruzione che è il welfare state si stanno ampliando sempre di più. Io penso che in un certo senso la Svezia sia ancora come la immagini tu, ma in un altro senso sta cambiando molto rapidamente. Il genere non è commedia, contiene per natura la possibilità di mostrare il lato oscuro della società. In più io per natura sono pessimista. È però importante che ci sia la speranza, l’empatia con le vicende narrate, l’umanità sottesa alla storia dei personaggi. È compito dello scrittore dare al lettore la sensazione di non leggere solo un libro di intrattenimento, ma qualcosa di più emozionante.
(Intervista del 2012, circa)