Alberto Odone
La meccanica del delitto
“Il Giallo Mondadori”
In edicola dal 5 luglio o in ebook
Era giovedì, la notte del fox-trot, il nuovo ballo americano arrivato da Berlino. Un ballo fatto per la velocità, come tutto quello che arrivava da oltreoceano. […] Era quello il vero spirito del nuovo secolo. La guerra era solo riuscita a frenarlo, ad allontanarlo un poco più in là. Non era più il tempo del valzer, ma del jazz.
In una Monaco battuta dalla pioggia, il Kriminalinspektor Kurt Meingast, insieme al fedele sergente Benko, indaga sull’omicidio di tale Kopke, un faccendiere ucciso dalla polizia: un omicidio “di Stato”, un’operazione apparentemente legittima che potrebbe celare una vera e propria esecuzione. Ma la notizia è oscurata da un altro omicidio: quello di Diana Lorenz, figlia di un uomo potente, assassinata brutalmente, trovata morta in un cantiere grazie ai suggerimenti del veggente Atmaveda.
Meingast, reduce di guerra claudicante come John Watson, afflitto da tremendi mal di testa e amnesie (eredità di una brutta ferita: “sulla cicatrice che dalla tempia sinistra correva fino all’attaccatura dell’orecchio. Non era una semplice ferita da schrapnel: era un passaggio da cui la memoria dei morti riguadagnava lo spazio dei vivi”), al ritorno dalla guerra è stato spostato in una specie di archivio. Un posto oscuro e defilato, inadatto a lui, che era uno dei poliziotti migliori, prima della guerra. Si muove in un territorio cupo e ostile, un Paese “dove la Luxemburg può essere abbattuta come un cane rabbioso in spregio a ogni procedura, e lo studente che ha assassinato Eisner sarà fuori entro cinque anni.”
E non ci sono solo i criminali: anche chi dovrebbe essere dalla sua stessa parte gli è ostile. Come Fischer e Grabowski, “gente legata all’estrema destra, e quindi ai Freikorps, agli Stahlhelm”.
Meingast “non aveva mai creduto molto in quello che alcuni colleghi chiamavano il fiuto dello sbirro. Ciò che contava per lui erano il metodo, la pazienza, la capacità di collegare gli eventi; il resto era solo folclore”; ma, mentre indaga, si ritrova sospeso in un’atmosfera irreale, in cui si sovrappongono presente e passato, realtà e fantasmi. La verità è insidiosa e sfuggente: alla fine “qualcuno avrà avuto scampo, nessuno giustizia”.
Alberto Lodone ha vinto il premio Tedeschi con un romanzo colto, ricco di riferimenti cinematografici, denso di dettagli e stilisticamente ineccepibile. Gli ho fatto qualche domanda:
AB – Intanto due righe su di te: chi sei, cosa fai nella vita?
AO – Vivo a Vercelli, ho una laurea in Economia Aziendale (sono un bocconiano) e mi occupo di Attività Economiche per il mio Comune. Da molti anni pratico e insegno yoga.
AB – Stai esordendo brillantemente nel Giallo Mondadori, da vincitore del Premio Tedeschi, con un giallo storico, ambientato nella Germania degli anni Venti: come mai un romanzo storico e come mai proprio quel periodo (un periodo oscuro, tragico e forse meno “battuto” di altri sentieri)?
AO – La II Guerra Mondiale è il teatro di una infinità di romanzi di tutti i generi, ma è il momento in cui la tragedia è già manifesta, dispiegata. Io sono più interessato ai momenti in cui le cose nascono, in cui cominciano a proiettare le prime vaghe ombre, ed è per questo che trovo così interessanti gli anni ’20: perchè, in potenza, vi è già contenuto tutto il ventennio a venire, con il suo immmane carico di dolori. Per quanto riguarda il mio interesse per il romanzo storico (anche se non scrivo solo quello) mi piace la sfida a ricostruire e poi restituire un mondo ormai perso.
AB – Il periodo storico in cui è ambientato “La meccanica del delitto” è un periodo molto confuso, cupo e violento. Ha qualcosa in comune con il mondo di oggi?
AO – Vi sono certamente punti in comune, soprattutto l’impressione che le cuciture di un mondo che credevamo tessuto solidamente stiano per cedere. Rispetto a quei tempi però abbiamo un grande vantaggio: l’esempio delle cose accadute, anche se la caparbietà dell’uomo nell’indulgere nei medesimi errori è davvero indomabile.
AB – Chi è Kurt Meingast? A chi si ispira, quali sono i suoi riferimenti storici e culturali?
AO – In una letteratura in cui è abbastanza di moda dire che il protagonista è un antieroe io dico proprio il contrario: Meingast è un eroe, perché è un uomo che fa ciò che va fatto, o almeno ci prova con tutte le forze. È un uomo rigido, tutto d’un pezzo, che arriva però a scendere a compromessi quando comprende che è l’unico modo per ottenere giustizia. Certo è un personaggio complesso, con molte debolezze e molti limiti, che si incastona idealmente nella galleria dei miei riferimenti più alti: Schiavone, Veneruso, monsignor Verzi.
AB – Cosa hai pensato quando hai saputo di essere stato prima preselezionato, poi prescelto, come vincitore del Premio Tedeschi?
AO – Ai premi ho una certa abitudine, ho vinto il Gran Giallo e L’orme Gialle, sono stato finalista al Calvino, ma il Tedeschi mi ha dato la netta sensazione di aver oltrepassato un confine. Guardo i miei predecessori nell’albo d’oro, penso all’ammirazione che ho provato leggendo i loro libri e mi rendo conto di essere entrato in una famiglia molto ristretta e molto prestigiosa.
Vincitore del Premio Tedeschi con la seguente motivazione
La redazione del Giallo Mondadori
ha deciso di assegnare il
PREMIO TEDESCHI 2018
per il miglior giallo italiano inedito a
LA MECCANICA DEL DELITTO
di Alberto Odone
con la seguente motivazione:
In una Monaco d’inizio anni Venti
tenebrosa e popolata di ombre,
dipinta con forza visionaria
sull’orlo del baratro che inghiottirà l’Europa,
il tormentato ispettore Meingast,
antieroe dall’originalissimo sguardo scientifico,
è forse l’ultimo tutore della legge
per cui la legge significhi ancora qualcosa,
prima che gli assassini salgano al potere
e il crimine si insedi nel cuore dello Stato.