Tim Baker
Città senza stelle
SEM, 2018
Una cifra scandita che avanza durante la narrazione e che indica il rapido e progressivo aumentare del numero delle vittime. Una incontenibile spirale di femminicidi. Un romanzo duro, nero, feroce, per stomaci forti, ambientato in un Messico, lontano dalle immagini da cartolina care ai vacanzieri.
Ciudad Real (che poi sarebbe Ciudad Juaréz) è una città frontaliera del Messico, una città operaia, l’inferno in terra delle maquiladoras, puzzolenti capannoni che alloggiano fabbriche di scarpe di marca o altro a capitale straniero e dove la forza lavoro femminile viene utilizzata sottocosto, pagata pochi dollari al giorno in turni di avvicendamento e sfruttamento prossimi alla schiavitù. Nata al confine con la nazione più potente e incantatrice del mondo, Ciudad Real negli anni ‘60 sognava ancora un futuro, immersa nel breve miracolo messicano, quando il lavoro non mancava al di qua e al di là della frontiera. Ma il sogno americano si è scontrato con la realtà perché questo era solo il miraggio prima del dilagare della crisi economica, accompagnata dalla serie degli omicidi a catena. Ai margini di Ciudad Real, spuntata peggio di un malefico fungo parassita lungo la frontiera con gli Stati Uniti, da anni vengono ritrovati i corpi straziati di centinaia di donne. Tutte sono state rapite, violentate e uccise. Sono omicidi brutali, inspiegabili. Potrebbero essere legati all’osceno e incontenibile dilagare dei cartelli dei narcos in continua espansione. E nulla, pare, è in grado di ostacolarlo.
La polizia indaga, o meglio fa finta di indagare. Ma nessuno vuole che la verità venga fuori davvero. Salvo un uomo con l’animo di un antico cavaliere, un paladino votato alla morte e disposto a tutto pur di scoprire cosa c’è dietro. Si chiama Fuentes, ha scelto di essere trasferito a Ciudad Real da Tijuana perché è un puro, un poliziotto diverso dagli altri della zona. Fuentes è convinto che molti dei suoi colleghi siano al soldo di un crudele narcotrafficante senza scrupoli che imperversa nella zona, e sa bene contro cosa dovrà combattere se vuole mettere fine a quegli omicidi. Anche lui, come tanti messicani, aveva dei sogni, credeva nelle tante cose che contano e rendono migliori gli uomini: l’amore, la famiglia, i figli, il matrimonio. La sicurezza, la scelta e lo scopo di una vita e di una carriera in polizia. L’opportunità di potersi impegnare, di battersi contro i delitti, di fare una differenza. Vorrebbe poter ancora tirar fuori quel tanto di buono che è convinto che esista ancora nella società messicana, ma ha dovuto rinunciare a tutto ciò che era importante per lui e oggi gli restano solo la carriera di poliziotto e la volontà di battere il male.
Duro e testardo, Fuentes crede di poter mettere fine all’incontrollabile dilagare del femminicidio. Mentre la polizia locale corrotta e senza scrupoli, sorvola sulle indagini, annacquando le prove e insabbiandole una dopo l’altra, Fuentes va avanti senza farsi incantare o fermare. Ha più di un motivo per sospettare che molti suoi colleghi siano a libro paga dei signori del narcotraffico. Ma non tutti all’inferno sono in vendita, per esempio c’è Pilar, giovane e convinta attivista sindacale, impegnata a organizzare nelle fabbriche azioni contro lo sfruttamento delle operaie.
Romanzo corale, questo di Tim Baker, arricchito dalla traduzione di Alfredo Colitto, interpretato da un variegato ventaglio di personaggi tra i quali primeggiano le attrici femminili: Pilar, dicevamo, la pasionaria, impegnata a cercare di migliorare le condizioni di lavoro delle operaie delle famigerate maquiladoras, Ventura, la modella fotografa da anni in cerca di affermare la sua vita e personalità di donna moderna, che vuole scrivere un libro di denuncia sui femminicidi e, tra quelli maschili, Gomez il collega di Fuentes, l’unico che gli darà una mano nel tentare di sbrogliare il caso, nonostante l’insormontabile livello di corruzione e complicità della polizia e di certa élite messicana. Da citare: di appoggio, di spessore anche se in un certo senso defilato dal gioco il grande scrittore di fama mondiale, poi di impotenza, nonostante di sacrificio e di lotta per la causa, il sindacalista Juan Antonio e alla fine forse più marcate e che dilagano oscenamente nella narrazione la contorta figura di El Santo, con la sua vocazione al sangue, alla morte, al massacro, quelle dei suoi orridi sgherri che trasudano un incontenibile orgia di crudeltà e la furia vendicatrice della personalità più controversa del libro, quella di padre Marcio, il prete piagato dalle finte stimmate, il santo peccatore, da bambino innocente vittima, contaminata moralmente delle depravazione sessuale del clero, che calcheranno la scena fino alla fine della storia. Proprio gli interpreti della storia, il palcoscenico e il suo sfondo mettono in evidenza lo spaventoso e rischioso contagio del male. Un male che puoi affrontare, combattere, controllare? Difficile, perché l’uomo ne è origine e determinato artefice.
Un romanzo-denuncia che esibisce senza veli le spaventose realtà che prosperano all’ombra dei cartelli della droga in una nazione in preda alle guerre dei narcos. È un dato reale che Ciudad Juarez (la Ciudad Real del romanzo) a partire dagli anni Novanta è stata teatro di violenti omicidi seriali di donne. Il nome della città è stato spesso legato anche a quello della potente organizzazione criminale dedita al traffico di droghe, alla tratta dei clandestini, all’estorsione e ai rapimenti denominata Cartello di Juárez. Secondo alcune credibili statistiche, Ciudad Juárez è considerata la città più pericolosa del mondo. La spirale di violenza che si è innestata e non pare potersi fermare più, è provocata in gran parte dal narcotraffico, che prospera alla frontiera con gli Stati Uniti. Si calcolano un migliaio di pandillas (bande armate) che operano a Ciudad Juárez, con decine di migliaia di affiliati, guidate da sanguinari leader che non si fermano di fronte a nessuna vendetta o omicidio di macelleria. Molti, di origine messicana, provengono dagli Stati Uniti d’America, da dove sono stati espulsi. La guerra del narcotraffico è cominciata nel 2004 quando il Cartello di Sinaloa, dopo aver vinto la guerra per Tijuana ed aver imposto la propria egemonia su quasi tutta la frontiera con gli Stati Uniti, ha puntato gli occhi sulla città di Juárez, a quel tempo saldamente nelle mani del Cartello di Juárez. Il femminicidio di Ciudad Juárez non si è mai arrestato. Dal 2010 sono scomparse migliaia di donne, molte delle quali minorenni e, non di rado, bambine. A queste bisogna aggiungere tutte quelle morte ammazzate, delle quali sono stati trovati soltanto brandelli di vestiti e mucchi di ossa. Nel 90 per cento dei casi le vittime hanno un’età compresa tra i 10 e i 35 anni e, soprattutto negli stati del nord del Messico, sono spesso donne sole, emigrate da altre regioni del paese alla ricerca di un futuro migliore per lavorare nelle maquiladoras, le fabbriche di assemblaggio delle multinazionali. Le ipotesi fatte da parte delle autorità locali sono tante: sette sataniche, narcotraffico, snuff movies, fantomatici serial killer. Tutti i casi però hanno un modus operandi che li accomuna – sequestro, tortura, violenza sessuale, morte – anche se, finora, i colpevoli restano sconosciuti e impuniti nel 97% dei casi. Un dramma che pare incontenibile e che non vedrà, temiamo, miglioramenti dopo l’afflusso a valanga dei nuovi emigranti sudamericani che premono contro i confini americani difesi senza pietà dai diktat imperialisti di Trump.
Tim Baker è nato a Sydney, in Australia, e a vent’anni si è trasferito in Italia per poi vivere in Spagna e successivamente in Francia, dove ha lavorato all’ambasciata australiana di Parigi. Vive nel Sud della Francia. Il suo primo romanzo, Il lungo sonno, è stato pubblicato in Italia da Mondadori (2016).