Stefano Di Lauro
Troppo lontano per andarci e tornare
Exorma edizioni, 2019
Nel XIX secolo, prima dell’avvento del cinema, della televisione e della diffusione globale di spettacoli e immagini via web, il circo era uno dei divertimenti più ricercati dalle persone di ogni ceto sociale. Chi oggi critica le esibizioni di animali in spettacoli circensi come inaccettabile coercizione, a maggior ragione inorridirebbe per la consuetudine, in voga dal 1800 fino alla prima metà del 1900, di esibire pubblicamente i cosiddetti fenomeni da baraccone. Gran parte delle attrazioni dei circhi di allora, infatti, consisteva in uomini e donne portatori di orride e penalizzanti deformità (nani di ogni genere, giganti, gigantesse, donne barbute, uomini e donne cannone…) che, anche contro la loro volontà, dovevano esibirsi per il divertimento di un pubblico di grandi e piccini. Negli Stati Uniti questi spettacoli, chiamati “freak show”, erano i cavalli di battaglia dei due circhi più famosi dell’epoca: il Ringling Brothers e il Barnum & Bailey Circus. Proprio ai tempi del famoso Circo Barnum, guidato dall’indimenticabile Phineas Taylor Barnum, gran maestro di funambolici “Misteri” e precursore dell’uso dei media dell’epoca (giornali, locandine e coloriti manifesti) Stefano Di Lauro ambienta la sua poetica e fantastica storia/favola del piccolo circo “Au Diable Vauvert”.
“Au Diable Vauvert”, nome tratto, a detta dell’autore, dall’antica residenza medioevale del monarca francese Roberto il Pio, che nei secoli ha preso il significato di “lontano in tanta malora”, come dire “in capo al mondo”, diventa un fondamentale e tangibile personaggio del romanzo. Un romanzo che, collocandosi al di fuori delle correnti letterarie, mira a una scelta poetica più intima, esotica e surreale ma non per questo meno affascinante e coinvolgente. Una storia corale che, con precisi riferimenti ad altre storie e a grandi autori quali Racine, Montaigne, Melville e la sua Moby Dick, mette al centro l’immaginazione e si fa talmente fiaba da rimandarci persino al Pinocchio di Collodi, con il simbolismo della balena che si ripete per tutto l’arco narrativo.
Ma torniamo a Troppo lontano per andarci e tornare.
Il 31 dicembre 1899 il piroscafo mercantile a vapore Holy Steam salpa dal porto di Le Havre facendo rotta su Buenos Aires. Nella stiva del vapore ha preso posto il piccolo circo “Au Diable Vauvert” che, a dispetto del nome, lascia la Francia per la prima volta, costretto dal progressivo disamore del pubblico nei confronti degli spettacoli circensi itineranti. “Au Diable Vauvert” ha caricato i carri, i cavalli, la vecchia lupa, le attrezzature, il tendone da montare con l’ingresso fatto a bocca di balena, le pedane e tutti i componenti della compagnia, ciascuno attore della sua storia e di quella comune, che porta con sé un importante bagaglio di ricordi e di esperienze. In una continua serie di flash back, le loro capacità e le loro esistenze vengono descritte in un lungo percorso umano, denso di stravaganti biografie, arricchite dai nomi parlanti attribuiti ai diversi personaggi: Orlando, Nounours, Mardea…
La trama, che si rincorre tra passato e presente, racconta la vita del circo prima della partenza, i rapporti tra le persone, il continuo viaggiare avanti e indietro sulle strade dal nord al sud della Francia, descritto con una serie di dagherrotipi che rimandano a Biarritz, Arles, ai paesi vicini a Parigi, ai vicoli di Marsiglia, ai villaggi sulle sponde della Loira, in Algeria, al Boulevard du Crime, offrendo al lettore un variegato affresco fin de siecle. Per poi risalire a bordo, scendere nella stiva e affrontare le onde e il mal di mare navigando verso Buenos Aires… forse.
Stefano Di Lauro è autore, regista e compositore. Ha pubblicato “Eroine nient’altro da dichiarare” (2012) e “Dittico dell’amore osceno” (2011) per Shamba Edizioni; “La mosca nel bicchiere – La poetica di Carmelo Bene” (Icaro, 2007); “Opere” (Besa, 2006). Come regista teatrale ha lavorato in Italia e all’estero. Autore di testi teatrali, adattamenti di opere straniere e riscritture di classici, ha anche realizzato opere di video-arte e documentari, e scritto musiche di scena affiancando numerosi progetti musicali e discografici. Ama i miti e per questo si definisce un mitonauta.