Biancaneve nel Novecento – Marilù Oliva

Marilù Oliva
Biancaneve nel Novecento
Solferino, 2021
Recensione di Patrizia Debicke

Già proposto per il premio Strega (e per questo complimenti e auguri a Marilù Oliva), Biancaneve nel Novecento è una narrazione a due voci che trae spunto (come rivela la stessa autrice) anche da alcune esperienze autobiografiche, ferite dolorose e ricordi personali.
Due voci narranti, due fil rouge che all’inizio sembrano lontani, quasi fuori luogo, incomprensibili ma presto s’intuiscono invece molto vicini e sofferti, accompagnano la narrazione dando vita, spazio e realtà ai tanti personaggi che la animano.
Tutta la vita di Bianca è strettamente ancorata a Bologna, una sua personale Bologna narrata, anzi inquadrata dalla voce anonima dei media che annunciano fatti importanti e accadimenti, ma anche disgrazie, immani tragedie, brutali e letali attentati, delitti vicini e lontani. Uno dopo l’altro e anno dopo anno, minuziosamente, sia nazionali che internazionali.
Anni ‘80: Bianca ha quattro anni, è l’unica figlia di Giovanni, vigoroso cinquantenne ex pugile, adorato dalla bambina per la quale ha attenzioni tenerissime, seducente, splendido ma frustrato e di Candide detta Candi, sua moglie, francese, trentacinque anni ma si direbbero venticinque, bella bionda esuberante e sempre avvolta da una nube di profumo. Mentre Giovanni gode di una modestissima pensione, Candi si guadagna la vita girando la provincia come venditrice ambulante di lenzuola, tovagliati, tessuti e merce varia e come dimostratrice a domicilio di creme. E di tanto in tanto viaggia. Come? Con chi? Sia Candi che Giovanni troppo spesso esagerano nelle parole e con l’alcol. Una strana e sconclusionata famiglia, insomma, che fa crescere Bianca in un’appena dignitosa povertà, in un disordinato appartamento della periferia bolognese, soffrendo per i frequenti scontri domestici e per un’incomprensibile animosità materna. Una madre matrigna? Nelle fiabe che Bianca immagina e sogna c’è anche quella spiegazione, la matrigna crudele, ma alla fine le bambine riescono a salvarsi, ma lo strano libretto con la copertina lucida che ha visto sotto le enciclopedie, con quelle brutte figure, appare proprio incomprensibile.
Con un balzo nel tempo si torna al 1939, alla campagna bretone, a Lili, una ragazza di vent’anni belloccia ma semplice che va a Parigi per un matrimonio combinato con Alberic Dubois, ma lì non conoscerà né l’amore né la passione. Nel 1942, poi, l’intera famiglia Dubois verrà deportata per aver dato rifugio ad amici ebrei francesi, i vecchi subito uccisi, i giovani divisi. Lili finisce a Buchenwald. Cominciano la fame, il freddo, le privazioni, le botte senza motivo, l’orrore… Poi, come inserviente infermiera nell’ospedale di fortuna, sarà impotente testimone di atrocità come la tragica e inutile morte di Mafalda di Savoia.
Una bambina e una donna, due voci narranti che continuano a raccontare, contrapponendosi per tutto il libro in un drammatico confronto a distanza.
Un confronto che ci riporta a Bologna, città descritta nelle sue pieghe e piaghe più nascoste, e alla strana e distorta linea di disamore che divide Bianca da Candi, sua madre. Incomprensione ancora più inspiegabile dopo la tragica morte del padre per tumore, triste suggello a un’infanzia già disagiata. Insondabili e successivi conflitti tra madre e figlia procurano ferite difficili da sanare. Angoscia strisciante e torbida prevaricazione sarebbero pronte a ghermire Bianca, crudele dimostrazione che c’è ben poca giustizia nel mondo.
E tuttavia lei va avanti, cresce benché le sue piaghe morali non guariscano. Anzi verranno riaperte da nuove grandi ineluttabili responsabilità che cambiano la vita. Non c’è felicità nella sua famiglia, una presenza maschile per sua madre ma che non vuole lasciare il segno, salvo il ciangottare e il sorriso di un bambino, suo fratello. O meglio il suo fratellastro.
Bianca, sempre più sola, combatte con la scuola, gli amori, le incomprensioni, ma porta avanti anche le sue passioni, tra cui fortunatamente quella per i libri, che alla fine la salveranno nell’adolescenza e dopo.
Negli anni Novanta, infatti, la droga dilagava a Bologna, subdola come un rettile e letale come un morbo medievale. Alcuni amici ci cascano. E mentre Candi, ormai schiava dell’alcol, ride sguaiatamente, anche Bianca si lascia tentare da una fuga dalla realtà. Ma no, non si deve mai lasciarsi andare e annullarsi.
Come non si è mai data per vinta Lili, tanti anni prima, a Sonderbau, nel bordello di Buchenwald. Un’orrenda tragedia di cui non si parlava, quella dei bordelli istituiti dalle SS nei campi di concentramento, destinati ai Kapo, ai prigionieri che lavoravano e talvolta anche a qualche ufficiale nazista (ne scrisse Helga Schneider in La baracca dei tristi piaceri). Donne a disposizione, trattate come schiave e costrette a rendersi invisibili per non essere condannate ai forni.
Un romanzo che, mischiando il presente al passato, ci ricorda come spesso il dolore e la sofferenza si trasformino in un insostenibile fardello. Lili e Bianca, che alla fine si scopriranno molto vicine, si assomigliano. Tutte e due costrette a confrontarsi con qualcosa che non perdona. E tuttavia entrambe, alla loro maniera, alla disperata ricerca di aiuto. La prima in lotta ogni giorno contro la morte, costretta a convivere con gli stenti, le umiliazioni e le privazioni all’interno del lager di Buchenwald negli anni ‘40 e l’altra in Italia, a Bologna, negli sfavillanti anni ‘80, in pieno boom economico, quando ancora tutto sembrava possibile, raggiungibile, a portata di mano…
I due racconti continuano a sovrapporsi alternandosi fino a quando i ricordi di Lili e la vita di Bianca, arrivato il momento e il giusto punto di contatto, si fondono ritrovandosi.
Un efficace affresco che ci rimanda a tanta storia vera e vissuta. Un romanzo che restituisce voce e immagini a un passato che non si può e non si deve mai dimenticare.

Marilù Oliva è scrittrice, saggista e docente di lettere. Ha scritto due thriller e numerosi romanzi di successo a sfondo giallo e noir. Ha collaborato per Zanichelli all’antologia sui Promessi Sposi e ha realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero. Il suo libro più recente è L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (Solferino 2020).

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