È in scena l’adattamento teatrale del romanzo di Andrea Camilleri La luna di carta (Sellerio, 2005) al Teatro Stabile del Giallo di Roma. Regia di Maria Luisa Bigai e scenografia che ruota sul gioco di ombre dietro pannelli di carta di riso. Si tratta di una prova complessa per gli attori storici dello Stabile, impegnati a caratterizzare personaggi la cui figura è già solidamente radicata nel nostro immaginario grazie alla trasposizione televisiva.
Nino D’Agata è un Salvo Montalbano triste, a cui si è piantato in testa il pensiero della morte. Meglio indagare su un omicidio, per quanto scomodo possa essere. Il cadavere è quello di Angelo Pardo, informatore scientifico. Un cadavere rinvenuto nella dépendance dell’appartamento dell’uomo, in posa oscena, il volto parzialmente asportato da un colpo di rivoltella. Le indagini si indirizzano subito verso la turbolenta vita sentimentale del morto. Donne, tantissime donne: una sorella conturbante e gelosa (Anna Masullo), un’amante bellissima e scapestrata (Linda Manganelli), una ex delusa (Maria Teresa Pintus), un grave peccato giovanile… Ognuna di queste donne aveva un motivo per uccidere Angelo durante l’amplesso – se poi amplesso c’è stato.
Indaga il bravissimo Fazio (Andrea Ruggieri), mentre Catarella (Giovanni Rizzuti) mette a frutto insospettate abilità informatiche, ma è Salvo Montalbano che deve tirare le fila del tutto. E Montalbano, sedotto, rischia di perdere di vista la realtà…
La magia del palcoscenico, quella che si rinnova ogni sera allo spegnersi delle luci in sala, coinvolge lo spettatore e vale ben più del prezzo del biglietto.
Lo spettacolo è introdotto dall’inconfondibile voce del maestro Camilleri che invita gli spettatori a spegnere “cellulari e sigarette”.
In scena al Teatro Stabile del Giallo fino al 10 marzo
Via al Sesto Miglio, 78
00189 Roma, Italia.
Per Info e Prenotazioni:
+39 06 33262799
stabile.giallo@gmail.com
Il sito dell’editore Sellerio riporta: «Tra due donne forti e insidiose deve industriarsi il commissario Montalbano: una estroversa, e di franca sensualità; l’altra segreta, e di morbosi ardori, capace di tutto intraprendere e di tutto nascondere. Si sgambettano a vicenda, le due donne, su scivolosi precedenti: che sono esche e trappole per il commissario («Quann’era picciliddro, una volta sò patre, per babbiarlo, gli aveva contato che la luna ‘ncelu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora, maturo, sperto, omo di ciriveddro e d’intuito, aviva nuovamente criduto come un picciriddro a dù fìmmine…, che gli avivano contato che la luna era fatta di carta»). La verità non procura rimedio. Se non è vittoria è purtroppo vendetta. Rovinosa e tragica. Secca e asciutta, nell’orrore: «la tragedia, quann’è recitata davanti alle pirsone, assume pose e parla alto, ma quando è profondamente vera parla a voce vascia e ha gesti umili. Già, l’umiltà della tragedia». Il commissario interloquisce con l’incipiente vecchiaia. Ricalibra le sue negligenze. Escogita ripari alla ruggine degli anni. Impara a convivere con l’ossessione della morte (un orologio biologico che batte l’ora grave) e dà udienza a passi ciechi che conducono al mistero di una casa «morta» (alla Faulkner): nella quale, attorno a un cadavere oscenamente atteggiato, si impaludano e covano le acque putride di passioni irritabili e scenografiche; insieme al fondiglio di un’oscenità politica, che lascia emergere cadaveri eccellenti e prospere viziosità. La trama è torbida, in questo romanzo che la palude stigia (facsimile della morte civile) fa solidarizzare con una politica governativa drogata di ordinaria anormalità».
Salvatore Silvano Nigro