Le gialle di Valerio/76: de Giovanni

Serenata senza nomeMaurizio de Giovanni
Serenata senza nome
Einaudi, 2016
Pagine 376
Giallo

Napoli. Ottobre 1932. Il possidente barone cilentano commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, 32 anni, taciturno indecifrabile ricchissimo illibato, cupo e magro, penetranti e dolenti pupille verdi, padre animatore della vita mondana mancato nel fiore degli anni, madre riservata e delicata morta per una grave malattia di nervi, ora frequenta ristoranti e ricevimenti con la bellissima amica Bianca Borgati dei marchesi di Zisa, moglie del conte Romualdo Palmieri di Roccaspina, che si trova in galera. Lo fanno per smentire una voce sulla pederastia del poliziotto, ma hanno imparato ad apprezzarsi e a godere della reciproca acuta intelligenza e triste ironia. Ricciardi non parla nemmeno a lei del suo Fatto: ha ereditato dalla madre gli occhi e l’incredibile malata facoltà di ascoltare le ultime addolorate parole di chi sta per morire nello stesso luogo del tragico evento. È per questo “destino” che non si concede l’amore di una donna, anche di quelle che da tempo lo attraggono molto: la vicina Enrica, di cui è innamorato e che sta per compiere 25 anni; la cantante Livia, splendida vedova Vezzi della quale subisce comunque il fascino. Hanno ucciso con molte botte e pugno sulla tempia il furbo virile commerciante Costantino Irace che, proprio il giorno prima, era stato minacciato di morte in teatro dal pugile Vincenzo Vinnie Sannino. Nell’ottobre 1916 Vincenzo 17enne si era imbarcato clandestino e nullatenente, per sfuggire alla povertà e alla guerra, giurando alla sua Concetta che sarebbe tornato. Da campione del mondo ha ucciso con un pugno sulla tempia l’ultimo avversario, è tornato in patria, l’ha trovata sposata, le ha cantato la loro serenata, è disperato. Forse è stato davvero lui, Ricciardi userà empatia per capire.

Con la breve interruzione del 2013 è dal 2007 che esce annualmente “un Ricciardi” del bravissimo Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958), ogni volta più atteso, ogni volta con maggior successo di critica e di pubblico. Meritati. Il primo (ambientato nel marzo 1931) ebbe origine da un racconto vincitore di premio (nel 2005), i primi quattro sulle stagioni, poi feste, ricorrenze e soprattutto canzoni, in terza varia. C’è la storia della musica e della canzone napoletane in ogni avventura. Nel nono romanzo tutto verte su Voce ‘e notte (1903), testo di Nicolardi e musica di De Curtis. Quella cantava sussurrando sullo scoglio con bella voce Vince’ a Cettina, i due giovincelli abbracciati e desiderosi. Quella spiegava il vecchio Maestro al ragazzo artista negli incontri al mandolino che intervallano l’intero testo (ci sono sempre, in corsivo, frammenti di musicultura). Quella spiega il tormento antico e moderno, i cuori spezzati, l’amore unico di lui che lei ascolta con passione accanto al marito, bene o male. E, intanto, il brigadiere Maione combatte con le influenze familiari e le passioni di Bambinella, costringendosi a visitare il perfido boss, ex compagno di classe. E i poliziotti diventano esperti di tessuti. E gli americani Penny e Jack cercano di salvare il loro sportivo. E la brutta Nelide fa innamorare il bel verduraio per preparare la minestra selvatica al signorino Ricciardi. E Livia deve circuire il tedesco quasi fidanzato di Enrica per i servizi fascisti. Il noir sentimentale di de Giovanni si arricchisce così di mille sfaccettature. I possibili colpevoli dell’omicidio sono tanti (per amore o fame, si sa), ogni tanto intermezzi alla McBain sulla pioggia e la città lo ricordano a tutti.

(Articolo di Valerio Calzolaio)

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