Marco Malvaldi
Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio
Rizzoli, 2018
Scienza
Recensione di Valerio Calzolaio
Un computer. Domani, forse. Quando una macchina riuscirà a scherzare allora sarà davvero intelligente, per farlo dovrebbe forse “processare” il linguaggio umano. Parte da queste domande, come al solito inconsuete e conturbanti, Marco Malvaldi (Pisa, 1974), ottimi studi e seguiti universitari da chimico (1992-2005), affermato autore di gialli noir umoristici (dal 2007 Sellerio, almeno 12 romanzi e 11 racconti, oltre la metà con Massimo del BarLume protagonista), competente efficace divulgatore scientifico (dal 2011 una decina di testi con varie case editrici, da ultimo sempre Rizzoli).
Parte da esempi ed esperimenti in corso sui computer per evidenziare la difficoltà delle risposte: il modo in cui parliamo è aperto, impreciso, incompleto e spesso ambiguo. Il primo capitolo è dunque dedicato a capire meglio come funziona il linguaggio umano. Cita subito il grande Guareschi e lingue molto diverse come olandese e giapponese (credo le parli in modo fluente), sottolineando come lo scritto derivi dal parlato e tenda alla ridondanza (lo mostrano anche le analisi delle frequenze delle lettere e, poi, delle parole) e all’interdipendenza (il significato non dipende dalla statistica). Il meccanismo del capitolo iniziale continua: Malvaldi esprime concetti e nozioni solo dopo aver trovato testi ed esempi che li illustrano con il sorriso sulle labbra: la combinazione delle parole in frasi attraverso strutture ricorsive e discorsi (necessariamente) astratti, il vantaggio sociale del linguaggio umano come conoscenza condivisa (da almeno due individui), la relazione asimmetrica tra la lingua e il modo in cui noi le diamo significato, le particelle funzionali che collegano le parole di una frase come struttura portante, le aree del cervello destinate alla decodificazione. Tutto per arrivare all’umorismo!
Il riso nasce dall’inaspettato, convoglia due diversi significati, o due diversi punti di vista, nella medesima frase, vallo a spiegare al computer! Il divertimento nasce proprio dal cambio di direzione, la risata ne è un possibile effetto, realizzato solo quando separiamo la realtà dalla finzione e il contesto non ci trasmette rischi per la nostra esistenza. Il riso è un vantaggio evolutivo (Darwin insegna, seriosamente), è uno strumento di cui ci serviamo anche per scoraggiare e penalizzare i comportamenti asociali, l’emozione è curativa. Malvaldi fa riferimento alla filosofia, alla semiotica, alla psicologia cognitiva. Interessante ma non approfondita la citazione di Pirandello sulla differenza fra umorismo e ironia, fra ridere di altri con altri e trasmettere pensieri oppositori relativizzandoli. Suo malgrado, si riscontra notevole uso anche del pensiero ironico: quando può fa battute sulla Juventus (da tifoso contro) e sulla Lega (da politico contro), ineccepibili (da juventino). E attinge a piene mani dall’esperienza di narratore: sono le storie a stimolare le capacità di astrazione cerebrale, è il riso di pancia che aiuta a nascondere indizi. Il comico serve per imparare a non fidarsi del proprio cervello e come collante sociale. Insomma, prima o poi, premendo i tasti giusti, varrà forse la pena di insegnare al computer non solo a riconoscere, contare, mettere in ordine, ma anche a riconoscere l’ambiguità. A cosa servirebbe, se mai ci riuscissimo? L’umorismo è comunque la strada maestra per arrivarci. Ottimo, sintetico, godibile.