Uno sporco lavoro (Le gialle di Valerio 178)

Bruno Morchio
Uno sporco lavoro. La calda estate del giovane Bacci Pagano
Garzanti, 2018
Noir

Genova e Pieve Ligure. Luglio 1985 (e oggi). La primavera scorsa Giovanni Battista Bacci Pagano, dopo aver ricevuto una chiamata, è andato a trovare Maria Samperi in ospedale, reparto di pneumologia, appena rioperata. Lei racconta, ha tre maschi, il grande lavora in una compagnia aerea, di fatto li ha cresciuti da sola, il padre dava una mano. Insieme rievocano l’estate di oltre 30 anni fa, quando si conobbero (e un po’ amarono). Maria era la sbarazzina baby-sitter del piccolo Daniele (Lele) di 2 anni, Bacci aveva ricevuto come (primo) incarico la protezione della ricca famiglia Rissi in vacanza nell’immensa meravigliosa villa (ex Pirelli). Maria, pure genovese, appena ventenne, folta capigliatura nera e riccia, profondi occhi verdi velati di tristezza, corpo minuto e ben proporzionato, mediterranea carnagione olivastra, lavorava bene con affetto e diligenza ma non ne poteva più di domestici di mezz’età e genitori assenti, agognava esplicitamente cervello e carne freschi con cui trascorrere il poco vitale tempo libero. Bacci aveva il noto travagliato passato alle spalle (militanza politica, immeritata galera, morte dei genitori, vita randagia), ormai era un povero ateo alto trentenne sposato e, regolare investigatore privato con molte lezioni di tiro, iniziava una “feritevole” pericolosa carriera. Il lavoro di addetto alla sicurezza gli fu presentato come poco impegnativo e ben remunerato, circa sei milioni di guadagno netto per una ventina di giorni, isolato (con pistola Walther P38, calibro 7,65, Parabellum) in un bel posto. Subito si accorse che c’era qualcosa di strano: da uno yacht al largo partì un gommone, a bordo due tipacci, qualcuno li stava controllando, seguendo, intimorendo. Il socialista padrone di casa Silvano risultava intrallazzato con commerci di armi e tecnologie in zone di guerre, la moglie Adriana era magnifica e soggiogata, arrivarono guai dal mare e da tutte le parti.

Il bravo psicologo e psicoterapeuta Bruno Morchio (Genova, 1954) prosegue la serie Pagano, ottima e di successo (12 romanzi, prima Frilli ora Garzanti), il noir dei caruggi, con una bella avventura dedicata al suo analista. Il racconto è sempre in prima persona; dal nuovo improvviso incontro con Maria s’avvia un flusso di ricordi sull’esordio investigativo; memoria riaperta, ogni tanto intervallata e conclusa da significativi dialoghi con l’affetto di allora. Il peso della “prima” parte d’esistenza è più recente e gravoso: gli adolescenziali sentimenti sovversivi nei movimenti di sinistra, la manifestazione con la pistola in tasca e l’ingiusta condanna per attività terroristiche, 5 anni dentro una minuscola cella bianca a leggere in massima sicurezza, il diventare orfano prima della piena assoluzione (nonno e padre operai), l’inutile laurea in lettere, altri 5 anni di lavori precari in giro per Cuba, Usa, Kenya, Senegal e Marocco, un matrimonio inevitabilmente poco affiatato (Clara si stava specializzando a Parigi in letteratura francese). Alcuni tratti già sono impressi: la Vespa, la pipa, il caffè amaro, il tifo per i colori del Grifone, l’irruenza saturnina malmostosa, la rabbia morale, il solitario acume e la fedeltà ai clienti (da cui il titolo). La figlia e la separazione, tante ferite fisiche e relazionali erano di là da venire. Quando si va rimettendo dopo aver rischiato la vita per salvare separatamente i Rissi, incontra per la prima volta anche il mitico imponente Pertusiello, ispettore della squadra mobile di Genova. I ricchi si sollazzano col Cristal, un po’ tutti con vermentino, bianchetta, pigato e sauvignon, in Liguria non mancano. E poi arrivano i brani di Sanremo, anche se il padre musicofilo ha consentito a Bacci di apprezzare il melodramma italiano e le grandi opere sinfoniche.

(Recensione di Valerio Calzolaio)

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