Bernardo Gui
Il manuale dell’inquisitore
con introduzione storica di Marcello Simoni
Newton Compton, 2019
Lo abbiamo incontrato da poco nell’attesissima serie tv “Il nome della rosa” con le sembianze e la bravura di recitazione di Rupert Everett. Una serie che finora, pur ben costruita, non pare in grado di raggiungere la vette emozionali del grande film di Annaud, interpretato da Sean Connery in cui Bernardo Guy era impersonato da F. Murray Abraham. Bernardo Gui, nella fiction, è il domenicano ammanicato con il papa, uomo spietato, incorruttibile, deciso a far rispettare a ogni costo i dettami di Santa Romana Chiesa anche servendosi della tortura. Ma Bernardo Gui, l’implacabile e dotto inquisitore, è realmente esistito. Fu un vescovo cattolico e scrittore, un domenicano francese, noto sia per la sua opera purificatrice e indagatrice che come autore del famoso Manuale dell’inquisitore. Fu vescovo di Lodève ed è considerato uno dei più prolifici scrittori del Medioevo. Esercitò il complesso incarico di inquisitore a Tolosa, Albi, Carcassonne e Pamiers. Un uomo tutto di un pezzo, insomma, convinto di agire solo per il bene della fede cattolica e di essere nel giusto in un’epoca buia in cui sbocciavano focolai di eresia (i Catari, i collettivistici seguaci di Dolcino) e gli scontri e le persecuzioni religiose travisarono molto spesso i limiti che avrebbero dovuto essere moderati dalla chiesa sconfinando a gamba tesa (perdonate il paragone calcistico, ma ci sta) nella politica.
In questi giorni la Newton Compton ha riproposto in libreria Il manuale dell’Inquisitore che Gui realmente concepì e scrisse come una specie di “guida” per diventare inquisitori come lui. Un testo che ancor oggi mette addosso i brividi. Un testo che elenca seraficamente le più barbare tecniche di tortura e di persuasione per estorcere una confessione. Quindi, prima di prenderlo in mano e sfogliarlo, dimenticate tutte le regole relative ai diritti umani, allora inesistenti se per un motivo o l’altro si cadeva nelle avvolgenti spire dell’Inquisizione.
Marcello Simoni, autore best seller della Newton che ha ambientato più di un thriller all’epoca dei “secoli bui” del basso Medioevo, introduce il Manuale di Gui con una perfetta analisi sull’Inquisizione. Si pensa troppo spesso male dei secoli bui e invece, come Simoni spiega, «in realtà il Medioevo fu molte cose, buona parte delle quali guidò l’umanità verso il Rinascimento. Tuttavia risulta difficile interpretare uno dei principali aspetti che lo caratterizzarono: l’Inquisizione. Nata dal cuore dell’Occidente cristiano come un’ombra destinata a cambiare per sempre la storia della Chiesa, della società e del pensiero, questa istituzione si qualifica come un fenomeno di longue durée di cui, in parte, stiamo ancora subendo gli effetti. Un fenomeno che oggi, non solo nella cultura di massa, viene spesso associato alla figura di Bernardo Gui».
Il suo “Manuale dell’inquisitore”, documento unico di quell’epoca, aveva conquistato anche un cultore del Medioevo quale Umberto Eco. Marcello Simoni ci consente con destrezza di avvicinare un testo che fornisce dettagliate istruzioni per interrogare i sospettati di eresia, da un minuzioso prontuario delle particolarità di ogni setta eretica alle le istruzioni su come istruire il processo. Bernardo Gui suggerisce come “intortare” le peculiari scaltrezze di chi adora un falso dio. Ci dà precise istruzioni su come aggirare i cavilli, smascherare le bugie per riuscire infine a estorcere una piena confessione e l’abiura. E parimenti spiega che, come per guarire ogni diverso morbo bisogna servirsi dell’apposito farmaco, così si dovranno utilizzare modi e mezzi differenti per interrogare gli eretici a seconda della setta di appartenenza. Quindi le domande inquisitorie andranno poste in diverso ordine e, in alcuni casi, non si dovrà contentarsi della prima risposta, perché potrebbe essere ingannevole. Il Maligno si cela come un serpente velenoso, pertanto di deve prestare grande attenzione affinché i figli delle tenebre non abbiano il sopravvento.
Bernardo Gui più di ogni altro ha incarnato simbolicamente lo spirito dell’Inquisizione, ma la sua grande fama è salita alla ribalta in virtù del personaggio che porta il suo nome in “Il nome della rosa”. E quindi riverenza a Umberto Eco. Sappiamo che Il manuale dell’Inquisitore è il manuale è il più attendibile e rappresentativo documento di quella “società di persecuzione” che segnò l’Europa per secoli. Questo ci porta a confutare la diceria che lo dipinge come un ignorante inquisitore, mentre certi studiosi cattolici sostengono il contrario. Gui, Procuratore generale del suo ordine “per la sua vasta produzione, specialmente storica, la ricca e minuta informazione e lo studio dell’esattezza, è considerato uno dei più notevoli storici del primo Trecento, come pure il migliore storico domenicano del medioevo”. Oggi gli storici hanno completato lo spoglio dei suoi processi inquisitoriali: su novecentotrenta imputati, dal 1308 al 1323, “se ne trovano soltanto 42 rimessi al braccio secolare”, mentre altri (307?) sono condannati a pene minori, spesso di straordinaria mitezza, e centotrentanove assolti. Bernardo Gui impegnato nella caccia alle streghe? A conti fatti parrebbe di no. Presso gli inquisitori suoi contemporanei “è sempre modestissimo il numero degli accusati per pratiche stregoniche”, a quei tempi di competenza dei vescovi e non degli inquisitori, salvo nei casi in cui la stregoneria fosse mischiata all’eresia. Anche in epoche successive la caccia alle streghe fiorirà rigogliosamente nei paesi protestanti, mentre la Chiesa cattolica si sforzerà piuttosto di controllare e frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con buonsenso, dai tribunali laici dei principi. La tortura generalizzata e indiscriminatamente applicata? Anche questo viene contestato: l’Inquisizione nel secolo XIV, a differenza dei tribunali laici del tempo, usa in pochissimi casi la tortura di cui – secondo un decreto del 1311 di Papa Clemente V – l’inquisitore non può, da solo, decidere di servirsi: deve sospendere il procedimento e instaurare “un giudizio speciale, al quale partecipi il vescovo o il suo rappresentante”. E quindi non sarebbe vero dire che l’inquisitore decide in poche ore senza difesa né appello, e anzi enuncia il principio che “chiunque contesta il verdetto di un inquisitore è lui stesso un eretico”: menzogna. È l’Inquisizione del secolo XIV che inventa la giuria, consilium, che mette l’imputato in condizione di essere giudicato da un numeroso collegio, spesso di trenta o magari cinquanta giurati, dove molti “pare logico, diventano gli avvocati dell’accusato” ed è l’inquisitore che spesso, davanti a loro, si trova magari in condizione di inferiorità. Del resto l’imputato ha diritto di difendersi e “può produrre testimoni a discarico”; “può anche ricusare i suoi giudici e, in caso di rifiuto di questa ricusazione, ottenerla mediante un appello a Roma”. Nel processo inquisitoriale – lungo e complicato – i rei confessi e pentiti possono essere condannati soltanto a pene minori; poi è il potere laico, il braccio secolare – e mai la Chiesa – a occuparsi dell’esecuzione delle condanne.
Bernardo Gui, personaggio dei suoi tempi, a posteriori discusso e controverso, al termine di una carriera intensa fu consacrato vescovo di Tuy, in Galizia, e nel 1324 di Lodève. Accettò di fatto, il titolo di Tuy ma rimase in Provenza, per non allontanarsi dalle livree cardinalizie di Avignone e dai luoghi in cui fino ad allora aveva vissuto, studiato e svolto i gravosi compiti che gli erano stati assegnati. Impegnò i suoi ultimi anni a scrivere nuove opere (tra cui una corposa summa agiografica dedicata a Giovanni XXII) e a correggere le vecchie. Finché a settantun anni, il 30 dicembre 1331, si spense tranquillamente nel suo letto presso il castello di Lauroux, nell’Hérault (e non precipitato tra le rocce come nel film del Nome della Rosa). L’anno successivo il suo corpo fu traslato presso il suo amato convento di Limoges.