C.J. Tudor
Chi ha rubato Annie Thorne?
Rizzoli, 2019 (originale 2019, The Taking of Annie Thorne)
Traduzione di Sandro Ristori
Noir
Nottinghamshire. Settembre 2017 (e 1992). Non lontano dai resti della leggendaria foresta di Sherwood c’è Arnhill, inospitale paesino al centro della zona delle miniere inglesi nel cupo tetro Nord, i pullman non arrivano, la stazione ferroviaria più vicina si trova a una ventina di chilometri. Joseph Joe Thorne vi era nato il 13 aprile del 1997 e vi aveva studiato, prima di subire traumi affettivi e andarsene a insegnare altrove. Lì due mesi prima sono morti in modo cruento una donna e un ragazzo, Joe riceve a Manchester una mail che lo riporta indietro nel tempo e decide di tornare con quel rottame della sua Golf. Ora, a inizio anno scolastico ha trovato posto come professore d’inglese nell’istituto che aveva frequentato, affittando proprio il cottage del recente fattaccio. Quand’era un quindicenne povero, timido e impacciato fu accolto nella banda del bello intelligente sadico bullo, insieme trovarono una botola d’ingresso ai cunicoli e un ossario di bambini. La sorellina di 8 anni li aveva seguiti con la torcia, avevano tutti avuto paura e, nella confusa fuga, Annie aveva subito un colpo e poi era scomparsa per due giorni. Al ritorno nulla era più stato come prima. Nei mesi successivi Annie sembrava come impazzita, un amico era entrato in depressione e si era suicidato, a causa di un incidente d’auto erano morti prima il padre e la stessa sorella di Joe, in seguito la madre. Ora Joe è perseguitato dai debiti di gioco e dalla killer inviata dal Ciccione per fargliela pagare, ma vuole comunque scoprire cosa era veramente accaduto 25 anni prima. Trova il bullo padrone effettivo del paesino, l’amata carina furba amica di allora moglie (malata) del bullo, l’unico figlio del bullo a spadroneggiare in classe e fra i coetanei. Viene minacciato e malmenato più volte, gira fra pub, riaffiorano suoi rancori risentimenti paure incubi, emergono malefici e segreti del villaggio, non è affatto certo che riesca a venirne fuori.
C. J. Caz Tudor è nata a Salisbury e cresciuta a Nottingham, dove vive con il compagno e la figlia. Ha lasciato la scuola a sedici anni e poi ha fatto di tutto un po’, sempre scrivendo come prima o seconda attività. Dopo l’enorme successo del romanzo d’esordio L’uomo di gesso (agosto 2017) torna ai lettori del globo con una seconda avvincente convulsa (e poco entusiasmante) storia narrata in prima persona al presente (con incisi sui trascorsi al passato). Il contesto è un piccolo claustrofobico centro, imperniato unicamente sulla pervasiva miniera di carbone (con i propri tanti incidenti sul lavoro e conflitti di classe), ora abbandonata da oltre un decennio, ormai desertificato e lontano da tutto. Più che criminalità metropolitana endemica vi domina la minuta sopraffazione sociale. La vecchia banda è ancora sulla bocca di tutti, una dinamica “genetica”, di cui Joe ha fatto parte per breve tempo, pur comprendendone a fondo i meccanismi relazionali. Annie e il fratello erano legatissimi, gli è stata presa (da cui il titolo) e non si è più ri-preso. Annie era una signorina piena di vita, stupidamente intelligente, insopportabilmente dolce, divertentissima e spassosa, cocciuta e frustrante. L’alto e magro Joe ha una gamba malandata e occhi scuri iniettati di sangue, niente famiglia e figli, sciatto incallito fumatore bevitore, non esattamente un eroe positivo. Anzi, il romanzo è pieno di cattivi o di cattiverie e molto fa riferimento al clima che si respira nelle scuole, colpa dei bulli da una parte, dell’apatia opportunistica dall’altra. Birra a fiumi.
(Recensione di Valerio Calzolaio)