La Debicke e… L’artiglio del grifone

Franca Pezzoni e Giacinto Buscaglia
L’artiglio del grifone
Araba Fenice, 2018

Genova, Portici di via XX Settembre. Un barbone malconcio, la barba lunga fino al petto, con una tunica lercia e i piedi nudi luridi, ben noto alla polizia e ai servizi psichiatrici sociali, è contornato da fogli pieni di frasi farneticanti. Si ferma un attimo impaurito, grida e infine riprende, riempiendo freneticamente i fogli davanti a lui con la scritta VERRA’ IL GIORNO seguita minacciosamente da un’altra in latino: GRIPHUS UT HAS ANGIT SIC HOSTES JUANUA FRANGIT. E un attimo dopo un muro d’acqua si abbatte sulla città, trasformando la strada in un fiume in piena che si riversa in piazza della Vittoria tramutata in mare, con gente e macchine bloccate in attesa che si plachi la furia dell’acqua. Il barbone si fa largo fino alla fontana di Piazza De Ferrari e sale sul bordo, alzando i pugni a sfidare il cielo. Da questo catastrofico e premonitore incipit non ci resta che attendere ansiosamente e assistere impotenti al bestiale e sfrenato scontro delle tifoserie della due squadre cittadine, Sampdoria e Genoa. L’artiglio del grifone non può che essere una storia genovese. Quel simbolo ed emblema di una Repubblica Marinara, sventolante per secoli e secoli con forza sulla flotta genovese, di botto è oggi esaltato dalla ferocia calcistica del Genova calcio. Per chi non sapesse, infatti, il Grifone, oltre a ergersi in piedi orgogliosamente trionfante nel vessillo del Genoa calcio, è il mitico simbolo della città tanto che si raddoppia fronteggiandosi per sorreggere fieramente lo stemma della provincia ma campeggia anche su drappelli e bandiere di mezza Europa. Una presenza largamente diffusa e condivisa. Ma sarà proprio l’inquietante presenza del grifone a farsi largo pagina dopo pagina e finire con dominare la trama del libro.
Lo sport può essere bellissimo, coinvolgente. Ma se diventa la scusa, il mezzo, o meglio l’arma per dare il via a ultras scatenati, le cose cambiano. Come cambiano in molto peggio quando intorno allo sport gravitano equivoci interessi di strani sponsor, i più folli e peggiori aspetti di certa medicina psichiatrica, allora tutto diventa incontrollabile alienazione. Anche il calcio, il gioco più bello del mondo, può venire travolto dal male, da un’assurda cascata di omicidi apparentemente inspiegabili.
E tutto questo plausibile e disperato orrore viene narrato in L’artiglio del grifone, un giallo concepito da Franca Pezzoni e Giacinto Buscaglia, due psichiatri dei servizi della Liguria. Genova, descritta nei suoi aspetti meno noti, diventa il palcoscenico di cruenti conflitti tra opposti sostenitori delle due squadre della città. Inimmaginabili, incontrollabili e sanguinosi disordini sportivi che, strabordando con inaudita ferocia per le strade e per le piazze, finiranno per culminare in conseguenze fatali.
Ma non basta perché l’improvvisa morte violenta del capo degli ultras del Genoa scatenerà una catena di delitti efferati e inspiegabili, commessi da persone apparentemente normali.
Protagonisti, volenti o nolenti, del romanzo due psichiatri, Marco e Francesca, coetanei quarantottenni, amici da sempre, che amano confrontarsi sul lavoro e muoversi insieme, si troveranno invece stavolta spiazzati, divisi, incerti, davanti a un caos incontrollabile e coinvolti ogni giorno di più e in modo sempre più drammatico in una strana storia. A indagare su misteriosi e orrendi delitti nella cornice di una Genova travisata, stravolta e impazzita, dove tutto e il peggio di tutto può ancora succedere. E intorno a loro le tifoserie calcistiche di Genoa e Samp, travisate anche quelle in una sconosciuta violenza, con lo spettro della questione eugenetica e i feroci retaggi del nazismo, e la spregiudicatezza dell’industria farmaceutica. A conti fatti, zigzagando tra i tifosi del Genoa e della Sampdoria e alle illusoriamente rischiose elucubrazioni di intellettuali, creduti equilibrati e sapienti, gli autori ci prendono per mano e ci immergono in una brutta vicenda di malaffare, doping, esperimenti farmaceutici, in cui il calcio, il tifo e la scienza con nuovi miracolosi esperimenti in grado di condurre a una possibile selezione darwiniana, si conglomerano in un tragico e folle intreccio. E tuttavia un insieme avvincente, con continui colpi di scena che, in apparenza indipendenti uno dall’altro, convergono e si collegano quasi diabolicamente solo alla fine. Una storia che ruota ossessivamente intorno alla figura del grifone. Ma quale può essere mai il suo arcano significato? Da ricercare negli antichi testi, nei confusionari appunti di uno scienziato forse uscito di testa? Ciò nondimeno bisogna provare a immaginare, aprirsi all’ineluttabilità dell’incredibile in cui un grifone bifronte, simbolo oscuro, tenebroso, misteriosamente esoterico, possa essere in grado di dilatarsi a dismisura, prendere sempre maggior potere e arrivare a controllare anzi a governare addirittura il mondo. Una macabra favola horror ma anche un romanzo azzardato, dove il calcio, il tifo e la scienza formano un intreccio tragico e folle.
Franca Pezzoni e Giacinto Buscaglia, psichiatri. Hanno lavorato per tutta la loro vita professionale nei Servizi psichiatrici territoriali di Genova e di Albenga.Sono autori di vari articoli scientifici su automutilazioni, Internet e riti antichi, urgenze psichiatriche nei testi di Plauto, tanto per citare gli argomenti meno insoliti. Pezzoni ha scritto “A caval donato” (2008), Buscaglia “Il medico di Aquilia. Cinque racconti in giallo” (2007), “L’amore in fondo” (2013) e “La mia Laigueglia” (2015). Insieme hanno scritto “Parlare di follia. Esperienze di vita quotidiana nella pratica psichiatrica” (2006) e “La porpora e il nero. La forza degli uomini imperfetti” (2009).

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