Enrico Fovanna
L’arte sconosciuta del volo
Giunti, 2020
Un romanzo intenso e toccante in cui un adulto, forse solo grazie all’amore, riuscirà a sconfiggere certi fantasmi della sua infanzia. E per raccontarcelo Enrico Fovanna torna nella sua terra natia. «Da bambino ogni tanto facevo un sogno, che non ha smesso di riproporsi in altre versioni anche da adulto. Volessi semplificare, direi che sognavo di volare. Ma sarebbe riduttivo: controllavo piuttosto la forza di gravità, pedalando nell’aria». Un sogno che Fovanna introduce nel prologo spiegando anche: «Credo di aver cominciato a volare nell’inverno del 1969». Allora aveva poco più di otto anni. Era una domenica mattina, suo padre non era al lavoro e quindi raccontò a lui e sua madre ciò che era accaduto…
Che i ricordi riaffiorino dopo tanti anni è normale, ma è raro che questi ricordi, legati a un mistero o un incubo mai veramente risolto, diventino così forti e pressanti da costringere il protagonista a tornare a Premosello, nel Piemonte settentrionale, nella Val Grande (Vald’Ossola), dove c’era la casa della sua infanzia. Questo accadrà a Tobia quando una telefonata inattesa lo raggiungerà dopo quarant’anni. All’altro capo del filo c’è Ettore, un vecchio amico e compagno di giochi, e la sua voce lo rimanda a ritroso con la memoria fino ai suoi sei anni, addirittura al suo primo giorno di scuola nel 1967, per poi ripercorrere passo passo impressioni, idee, fatti e avvenimenti degli anni successivi, lo sbocciare del suo amore innocente ed esaltante per la bruna Carolina, i giochi spensierati con padre Camillo e l’indimenticabile, Lupo, il savio matto del paese. Ma poi implacabili erano arrivati l’agosto e l’autunno del 1969, con gli omicidi di Gioacchino e Fioretta, due suoi compagni di classe di allora. Omicidi che avevano sconvolto la sua infanzia.
Impossibile dimenticare. Era il primo novembre, la vigilia del giorno dei morti, e quella mattina, preannunciata da una lettera anonima ai Carabinieri che segnalava il posto dove cercare, un’agghiacciante scoperta stava per risvegliare l’orrore di un paese. Sepolto in profondità sulla strada di campagna che portava al ruscello, i carabinieri avevano ritrovato il corpo di un suo compagno di scuola. Ad agosto avevano già ritrovato quello di una coetanea, ragazzina. Entrambi uccisi con colpo inflitto alla testa. In paese era dilagato il panico. Nelle campagne intorno a Premosello si nascondeva un mostro che uccideva i bambini. Ma nei confronti di Gioacchino, Tobia era sopraffatto dal senso di colpa, perché Gioacchino era sì un compagno di scuola ma da sempre non perdeva occasione di umiliarlo. La sera della sua scomparsa tra loro due era finita a botte vicino al capanno della stradina lungo la ferrovia e Tobia non aveva avuto il coraggio di raccontarlo. Gioacchino gliele aveva date di santa ragione e in quel momento Tobia l’aveva odiato, avrebbe persino voluto che sparisse dalla faccia della terra. E poi forse proprio lui era stato l’ultima persona a vederlo ma, in preda alla vergogna e alla paura, aveva taciuto con i carabinieri. Da quel momento, da quelle morti, tutto era cambiato a Premosello. Impossibile riprendere la vita di prima.
Poi, quando tutto faceva pensare che il colpevole fosse stato individuato, a Tobia invece era rimasto il dubbio che fosse stato qualcun altro. Soprattutto quando i sospetti si erano concentrati su una persona a lui cara, alla cui innocenza voleva disperatamente credere. Ma in fondo al cuore una punta di dubbio l’aveva costretto a tirare su un muro con il passato.
Quarant’anni dopo, Tobia vive a Milano e lavora come medico legale. Poco incentivato nel suo lavoro, nella sanità troppe cose stanno cambiando, e divorziato, la moglie l’ha lasciato per l’impossibilità di avere un figlio, sta passando un brutto momento aureolato di insicurezza e depressione. Sarà proprio la telefonata di Ettore, vecchio compagno di scuola, a convincerlo a tornare dopo tanti anni nei luoghi dell’infanzia, per il funerale di Lupo. E con questo inatteso ritorno provare ad ascoltare i testimoni di allora ancora in vita, cercare di rileggere tutti gli episodi di quei giorni… Perché oggi Tobia adulto ha deciso di togliersi quel dubbio una volta per tutte e tentare di scoprire finalmente la verità.
L’arte sconosciuta del volo è un giallo travestito da romanzo di formazione che sa narrare l’evoluzione psicologica del protagonista, con il nascere interiore di nuove profonde emozioni, ma anche una struggente favola dolce amara. Un favola che, proprio per sanarne in qualche modo la memoria sfregiata da un ingiusto silenzio, costringerà Tobia a intraprendere un viaggio di coerente emancipazione alla ricerca della verità.
Enrico Fovanna è nato a Premosello nel 1961. Vive a Milano, dove si occupa di temi sociali, immigrazione, diritti umani. Il 9 novembre 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino, è stato assunto dal quotidiano «Il Giorno» dove ancora oggi lavora. Ideatore e responsabile dal 2005 della pagina “Le buone notizie”, ha realizzato reportage da Iraq (tra cui La caduta di Bagdad, 2003); Afghanistan, India, Thailandia (Tsunami 2004), Kurdistan turco e iracheno. Tra le sue pubblicazioni, i romanzi Il pesce elettrico (1996, Baldini & Castoldi – premio Stresa 1996 e Premio Festival 1° romanzo, Salone Torino 1997) e Tra Fès e Meknès (1999, E/L), e la biografia L’inventore dell’Invisibile (2012, Utet).