La Debicke e… Gli scomparsi

Alessia Tripaldi
Gli scomparsi
Rizzoli, 2020

La guida è un giovane, poco più che un ragazzo con i capelli biondi e gli occhi chiari. «L’hanno trovato due turisti» spiega subito l’ispettore Mori, il vice di Lucia Pacinotti, alla giovane capo della squadra mobile arrivata due anni prima da Torino. Lei pare ancora in prestito in quella cittadina abruzzese, vicina ai monti e alla foresta e a un’ora mezza di strada dal mare, dove finora le è capitata poca roba e di poco conto. E invece ora questa strana e inquietante apparizione: «Camminava da solo, sulla statale.» Affamato, stremato, quando era arrivato nel suo ufficio Lucia non aveva potuto far a meno di notare i piedi scalzi con le unghie così lunghe da sembrare mai tagliate. Il ragazzo, a prima vista, sembra avere un ritardo mentale, o forse è un tossico. A precisa domanda sul nome le aveva risposto «Leone» senza neppure guardarla in faccia, aggiungendo con tono spento di aver vissuto nei boschi tipo Il libro della giungla con il padre, che ora era morto. Poco convinta, Lucia Pacinotti aveva dato incarico a Mori di cercare la famiglia, ma mezz’ora dopo il suo vice era tornato a riferire che il ragazzo sosteneva che, dopo la morte del padre, non sapendo cosa fare, aveva camminato per due giorni trascinando il cadavere. Poi, quando non ce l’aveva fatta più, l’aveva seppellito ed era andato avanti fino a quando un sentiero l’aveva portato sulla strada principale. Ma, se volevano, ora poteva accompagnarli a ritrovare il corpo. L’aveva fatto, costringendoli a seguirlo a piedi per sentieri bui e ostili dove gli alberi sembrano voler nascondere il sole e infine in una radura, dove avevano trovato un mucchio di terra e di sterpaglie. Poi avevano dovuto vegliare per più di due ore, prima che arrivassero il PM e la scientifica, per poter finalmente estrarre un cadavere straziato. Ma quel morto non è il padre di “Leone” e soprattutto non è morto per cause naturali: è stato seviziato a coltellate e finito a colpi di pietra. La versione ufficiale, servita alla stampa su un piatto d’argento e che ha levato di torno il viavai di curiosi dei primi giorni, è che il ragazzo Leone – da quel giorno ricoverato in ospedale e affidato ai tentativi di uno psichiatra di sondarne la mente – è un matto, un mitomane e che nessun corpo è stato ritrovato. Ma la cosa strana è che non ci sono tracce né di lui, né dell’uomo che il ragazzo ha indicato come suo padre. La foto di Leone è comparsa su tutti i giornali, ma nessuno si è fatto avanti. Le indagini sono davanti a un muro. Per il piemme il caso è praticamente chiuso con la versione fornita ai giornali, ma Lucia è convinta che ci sia dietro qualcosa di brutto. Per lei, che ha studiato criminologia e che vivacchia annoiandosi nella sua sede di provincia, potrebbe essere l’occasione di condurre una vera indagine e dimostrare cosa sa fare.
Per gli psichiatri Leone vive una forma di dissociazione. Potrebbe avere ucciso l’uomo che chiama padre e avere rimosso il ricordo. Sta a lei decidere, potrebbe lasciar perdere o darsi da fare per scoprire cosa c’è dietro. Ma i suoi tentativi di sondare la mente di Leone, di scoprire cosa si nasconde dietro il suo muro di indifferenza e i suoi “non ricordo”, si scontrano con qualcosa che Lucia percepisce e la sprona a scavare più a fondo. E da sola è bloccata. Non le resta che tornare a casa, a Torino, e coinvolgere Marco, suo vecchio e geniale compagno al corso di criminologia che poi, apparentemente senza una vera ragione, aveva abbandonato prima di finire il secondo anno. Difficile beccarlo perché negli anni, ogni volta che ha tentato di riallacciare i contatti, lui si defilava e la evitava con una scusa, un «non posso». Sta a lei trasformare i «non posso» in un «forse» e poi magari in un sì, perché Marco, con le sue ubbie e la sua ritrosia, è l’unico che può aiutarla. Lo sfuggente Marco infatti di cognome fa Lombroso: è diretto discendente di Cesare Lombroso e ha elaborato l’incredibile Atlante di Modelli Criminali che con dati, interpretazioni e assiomi diversi ricalca il titolo e una parte, quella valida, della metodologia del celebre antenato. Tra le pagine di appunti di quell’Atlante dei criminali, tra i tanti e svariati archetipi che ricalcano i più efferati crimini della Storia, può celarsi la verità, ma per scoprirla bisogna sfidare i rovi e gli intrichi del fitto dei boschi, le insidie rocciose delle montagne, non aver paura di battersi contro il peggior fanatismo e la perversa prevaricazione di una falsa religione e nei complessi vortici dell’ossessione per il male.
Un’intensa spinta narrativa è data da una tensione travolgente, da personaggi validi, da altri oscuri o pieni di difetti ma che intrigano e costellano le pagine del romanzo. Un difficile inseguimento della luce nei labirinti della psiche umana, dove troppo spesso vince l’ombra. Scopriremo una serie di gratuite e inutili sofferenze inflitte a piccoli innocenti da pseudo angeli custodi in nome di un credo giustificato solo da una inspiegabile pazzia, ma ohimè i mostri sono sempre esistiti e hanno fatto anche di peggio. Ciò nondimeno affermo, senza tema di smentita, che quello “in carica nel romanzo” è in grado di regger bene il raffronto con i peggior serial killer mondiali che l’autrice enumera scrupolosamente nelle sue dotte disquisizioni in materia. Romanzo drammatico, al punto da far venire il mal di stomaco in certi attimi di pura ferocia, a conti fatti si legge anche bene, quasi che le atrocità che descrive siano noccioline da accompagnare a un aperitivo. Unico dubbio è perché il dirigente della Polizia, durante l’esplosione investigativa del caso, infierisca su un giovanotto colpevole solo di portare un nome tristemente famoso: forse anche il dottor De Santis, magari involontariamente, è plagiato dalle convinzioni care a Lombroso e crede in possibili crudeli stigmate ereditate dal nipote.
Gli scomparsi non è solo un avvincente thriller psicologico. Potrebbe essere la scorciatoia che mette ciascuno di noi a confronto con il proprio alter ego nascosto. Quello che magari non vorremmo mai conoscere e invece…

Alessia Tripaldi è sociologa e cofondatrice dell’organizzazione Sineglossa, collettivo artistico marchigiano. Ha lavorato per diverse case di produzione come sceneggiatrice. Questo è il suo primo romanzo.

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