Elena Mearini
I passi di mia madre
Morellini collana Varianti, 2021
Recensione di Patrizia Debicke
Elena Mearini torna in libreria con “una scrittura piena di forte poesia e grinta nella narrativa”, detto con le parole di Sara Rattaro che l’ha accolta nella nuova collana Varianti della Morellini.
I passi di mia madre è un romanzo intenso, potente e altamente drammatico, basato su un’improvvisa partenza, poi un’inspiegabile assenza e infine un’ineluttabile scomparsa. Un romanzo che affronta senza inutili veli il tema di un rapporto madre-figlia che è diventato un non rapporto, fatto di mancanza e di vuoto marchiati da un abbandono.
Oggi Agata è una editor quarantenne che vive nel quartiere cinese di Milano, dove spesso è impossibile leggere e decifrare le scritte dei negozi. Da adolescente ha visto sua madre partire senza spiegazioni. Lucia era una donna bella ma insensibile, insoddisfatta, priva di empatia che, quando Agata aveva appena tredici anni, è sparita senza lasciare traccia. Ha abbandonato senza remore figlia e marito, l’agiatezza e la routine della vita familiare, per essere apparentemente inghiottita dal nulla.
Su questa incomprensibile e misteriosa fuga verte tutta la trama.
Con una scrittura densa, coinvolgente, quasi ipnotica, l’autrice introduce il lettore nella vita di Agata, la protagonista. Attorno a questa vita orbitano quella del padre e, in un rapporto di luci e ombre, quelle di Marco, amico da sempre, vicino leale e porto sicuro come un mobile, una lampada o una poltrona adatti a riempire la sua stanza sgombra e Samuele, dall’inconsistente personalità con il perverso fascino del mistero.
L’esistenza di Agata sulla carta è comoda e soddisfacente, basata su un lavoro intellettuale che l’appaga e nessuna preoccupazione economica. Un’esistenza arricchita da un rapporto di cauta tenerezza con suo padre, imprenditore di successo che le ha dato firma e pieno accesso al suo pingue conto bancario, ma in realtà dominata dall’insicurezza e spesso dall’angoscia. Angoscia provocata da un’astratta ma opprimente mancanza che azzera malignamente ogni vera serenità e la rende sempre e comunque fragile e insicura.
Nei sentimenti si lascia strumentalizzare e dominare dall’autopunizione e nella quotidianità domestica conta ossessivamente le calorie. Agata è anoressica da sempre, quasi a compensare insicurezza e senso di vuoto, nota dolente per molte ragazze di oggi. Le carenze emotive portano Agata ad avere un rapporto morboso sia con il cibo che con Samuele, idea culto di amante superficiale e bugiardo, un’entità sfuggente con cui si è creata una malsana relazione di sudditanza e dipendenza. In quest’essere forse Agata rivede e rivive i comportamenti di una madre narcisista, innamorata solo di se stessa. È proprio questo insopportabile senso di vuoto ammorbidito dallo Xanax che genera la continua suspense che regala al libro certi oscuri toni noir. Una mancanza, un allontanamento volontario che possono voler dire tutto, anche il peggio: suicidio, ricatto?
Solo quando, con il passare degli anni, il malessere di Agata, che ha ormai le dimensioni di una voragine, diventa insopportabile, lei troverà finalmente il coraggio di essere onesta con sé stessa.
Visto che non riesce a dare una spiegazione al gesto materno, a quella fuga, deve indagare sulla scomparsa. Deve scoprirne le vere ragioni, pensando che questo l’aiuterà a smettere di colpevolizzarsi.
Inizialmente inventa una serie di ipotesi, poi, più razionalmente, nell’intento di portare avanti un’indagine vera e propria, va a frugare in una vecchia scatola di ritagli in cui lei e il padre, dopo la denuncia della sparizione, hanno conservato tutte le testimonianze degli avvistamenti in varie parti d’Italia. Tra le tante tracce, tenui o addirittura improponibili, quella più probabile potrebbe essere un vecchio monastero in Liguria, nei pressi di Lavagna, luogo di un’ultima forse plausibile segnalazione. E contemporaneamente, attraverso lo sfogo terapeutico della scrittura, Agata si lancia in una lunga lettera-diario rivolta alla madre, in cui immagina e ricostruisce minuziosamente parte della sua vita dal giorno della scomparsa in poi.
Una storia nella storia. Una vita immaginata in un convento a Santa Giulia sopra Chiavari, una vita di espiazione e purificazione durante le lunghe giornate cadenzate dai lavori quotidiani. E sarà proprio là, nei consolanti segreti del mistero della fede amorevolmente tutelati dal chiostro, che Agata deciderà di andare a cercare e finalmente riuscirà a sapere e capire.
La realtà le riserverà una verità diversa, dura ma necessaria per riuscire ad accettare ciò che appare insostenibile, il gesto di una madre che abbandona una figlia. Verità che tuttavia può anche rendere più forti, perché nella vita, qualche volta, si deve avere il coraggio di voltarsi indietro e chiudere i conti con il passato.
“Voglio che tu senta la mia voce. Ti voglio bene, mamma”: con queste parole Agata fa finalmente pace con ciò che è stato, smette di sentirsi donna nel corpo di un’adolescente. Da oggi potrà imparare ad amare coloro che lo meritano e a vivere finalmente in una nuova dimensione, senza voler sempre fuggire.
Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Ha pubblicato una raccolta di poesia per Liberaria editore, Strategia dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia per Excelsior 1881, e poi ha pubblicato A testa in giù, Morellini Editore, Bianca da morire, per Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello, ed È stato breve il nostro lungo viaggio, Cairo Editore, selezionato per lo Strega nel 2018 e finalista al Premio Scerbanenco. Nel 2019 ha pubblicato, per Perrone Editore, Felice all’infinito. Nel 2020 ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei per Morellini, ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre (2018) e Lettere al padre (2019), sempre per Morellini, a cura di Anna di Cagno.
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