Mystic River – Dennis Lehane

Dennis Lehane
Mystic River
Longanesi, 2020
Traduzione di Mirko Zilahy
Recensione di Roberto Mistretta

Ci sono libri che si leggono e si mettono via, si regalano, si dimenticano.
E poi ci sono libri che a fine lettura si ritrovano zeppi di sottolineature, annotazioni, orecchie nelle pagine. Libri vissuti che a fine lettura trovano un posto speciale nella libreria di casa perché sono portatori di forza dirompente, raccontano di uomini e donne e della loro dolentissima umanità.
Non parlerò della trama di questo libro se non per cenni, stante che è conosciutissimo il film capolavoro di Clint Eastwood del 2003, diventato un cult dopo aver fatto incetta di premi, tra cui due Oscar e due Golden Globe. Dopo averlo letto però, posso assicurarvi che quel film rispecchia fedelmente il plot narrativo, ma soprattutto riesce a rendere la personalità dei personaggi, vale a dire il vero punto di forza della scrittura di Dennis Lehane che li tratteggia in maniera indimenticabile.
Quei personaggi, ognuno per la propria parte, sembravano davvero voler uscire dalla pagina per afferrare chi legge, fissarlo dritto negli occhi e dirgli: “Ehi, amico, pensi di cavartela così? Di essere solo uno spettatore? È inutile che fai finta di niente. Poteva capitare anche a te, sai.”
Tradotto magistralmente da Mirko Zilahy e ripubblicato da Longanesi col nuovo titolo e l’immagine copertina del film di Eastwood, questo romanzone in realtà era già stato pubblicato in Italia nel 2002 da Piemme col titolo La morte non dimentica, tradotto da Francesca Stignani.
Pubblicato negli Stati Uniti nel 2001, diventa un caso letterario, rimane a lungo nelle classifiche e segna la consacrazione dell’appena trentaseienne autore di origine irlandesi, Dennis Lehane, cresciuto a Boston. Dopo il successo mondiale del film, altri libri dell’autore diventano produzioni hollywoodiane interpretate da star del calibro di Leonardo Di Caprio e Ben Affleck.
E qui bisogna spendere due parole sul percorso di studi dell’autore: laurea in Scrittura creativa a 23 anni all’Eckerd College di St. Petersburg e master nella stessa materia alla Florida International University, Lehane insegna Scrittura creativa all’Università di Harvard.
Ho volutamente sottolineato questo passaggio perché, mentre negli Stati Uniti d’America la Scrittura creativa si insegna nelle università da quasi un secolo, da noi chi vuole imparare a conoscere bene il mondo della scrittura, che non è soltanto arte e talento, ma anche conoscenza, tecnica e competenza, deve farlo a proprie spese. La scrittura creativa non si insegna nelle nostre università, eppure conoscenza, tecnica e competenza si imparano solo studiando, e va da sé che, affinato ulteriormente, il talento cresce. Ma in Italia, purtroppo, siamo ancora ben lontani dall’apprendere queste lezioni dai cugini americani.
Torniamo a Mystic River, un regalo che mi sono fatto con alcuni acquisti mirati di inizio anno (Dandini, de Giovanni, Nesbo, Luceri, King).
Avendo visto e rivisto più volte il film, il mio approccio è stato dettato dalla curiosità non già di conoscere la trama e la personalità dei personaggi, quanto piuttosto come avesse tradotto l’autore tali atmosfere nella pagina. Ho gustato la scrittura pagina dopo pagina, per settimane (io che di solito leggo un libro in due giorni), centellinandola volutamente, per assaporarne appieno la portata.
Più volte sono tornato indietro e ho riletto alcuni passaggi indimenticabili.
Più volte mi sono commosso, immedesimandomi nei personaggi.
Più volte ho provato sconfinata ammirazione per chi sa dominare la parola scritta e trasformarla in pure armonia letteraria per creare atmosfere grondanti emozioni.
Ed è questa la magia dei grandi libri. Quella di farti vivere, soffrire, gioire coi personaggi che non sono più di carta, ma diventano degli amici con cui vorresti parlare, tenergli la mano, berci un bicchiere. Personaggi che sono come noi. Parlano come noi. Soffrono come noi.
Pagina 316. Sean, il poliziotto che indaga sulla morte di Katie, fa compagnia ad Annabeth, la moglie di Jimmy. Jimmy è andato alle pompe funebri e ha chiesto a Sean di non lasciare da sola la moglie fino al suo ritorno.
Sean e Annabeth parlano.
Lui si voltò: “Che vuoi dire?”
Soffiò un riccio di fumo verso i fili spogli del bucato. “I sogni assurdi che si fanno da ragazzi. Voglio dire, pensi che Katie e Brendan avrebbero potuto vivere per sempre a Las Vegas? Quanto sarebbe durato il loro idillio? Avrebbero resistito fino alla seconda roulotte, o magari fino al secondo figlio, ma prima o poi se ne sarebbero accorti che la vita reale non è un “e vissero felici e contenti”, o stronzate del genere. La vita è lavoro. Succede raramente che la persona che amiamo sia degna del nostro amore. Perché nessuno ne è degno e, anzi, nessuno merita un fardello simile. Ci delude. Ci ferisce, perdiamo la fiducia e la viviamo male per un po’. Le perdite sono più dei guadagni. Alla fine si odia e si ama la persona che si ha accanto, in parti uguali. Però, cazzo, ti rimbocchi le maniche e ti dai da fare, perché diventare adulti significa esattamente questo.”
“Annabeth, ti ha mai detto nessuno che sei una donna tosta?”
Lei girò la testa verso Sean, gli occhi chiusi e un sorriso trasognato sulle labbra. “Me lo dicono sempre.”
Di fronte a passaggi così veri, intensi, il lettore è lì, coi personaggi. Sente perfino l’odore di Sean e Annabeth.
Altro passaggio a pagina 395, quando il dramma sta per compiersi e Celeste confida a Jimmy i propri angoscianti sospetti sul marito, Dave, credendolo l’assassino di Katie.
La scena: Jimmy seduto sul gradino di casa con Celeste accanto e attorno a loro il vorticare della vita di quartiere. La vita di tutti i giorni che scorre sulle loro tragedie, sui loro dolori. Sui segreti.
“Ecco, era uscito. Le parole avevano lasciato la sua bocca liberandosi nell’aria. Formarono un muro di fronte a lei, e da quel muro spuntò prima un soffitto e poi un altro muro alle loro spalle, e di colpo lei e Jimmy si trovarono rinchiusi dentro una piccola cella, edificata grazie a una singola frase. I rumori della strada si erano zittiti, il vento svanito, l’unico odore che Celeste riusciva a percepire era quello del dopobarba di Jimmy e del sole di maggio che scintillava sul gradino sotto ai loro piedi.”
Un libro magnifico, che a vent’anni dalla sua prima pubblicazione e un film campione di incassi, non delude assolutamente, anzi, lo si gusta ancora meglio.
Infine una curiosità: l’autore, Dennis Lehane compare in un cameo del film, nella scena finale della parata, dove guida una decappottabile.

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