Mastro Titta e l’accusa del sangue – Nicola Verde

Nicola Verde
Mastro Titta e l’accusa del sangue
Fratelli Frilli Editore, 2021
Recensione di Roberto Mistretta

Torna ai suoi lettori con Mastro Titta e l’accusa del sangue (Fratelli Frilli Editore) lo scrittore Nicola Verde, autore di lungo corso che sa maneggiare da maestro storia e narrativa compendiandole in un plot intrigante di ampio respiro. Come appunto avviene in questo nuovo, corposo noir, dove torna ancora una volta a indagare, nella Roma ottocentesca, Giovanni Battista Bugatti, detto mastro Titta, figura realmente esistita, per settant’anni boia ufficiale del Vaticano.
Alla sua morte Mastro Titta lasciò un taccuino dove aveva annotato le esecuzioni da lui portate a compimento, in totale ben cinquecentosedici. Quel taccuino fu dato alle stampe col titolo: Le Annotazioni di mastro Titta, carnefice romano. Supplizi e suppliziati; giustizie eseguite da Giovanni Battista Bugatti e dal suo successore (1796-1870). Appendice di documenti (1886) di Giovanni Battista Bugatti con lo scrittore fiorentino Alessandro Ademollo (1826-1891).
Successivamente venne pubblicata a dispense nel 1891, dall’editore Pierini, la biografia romanzata del boia papalino dal titolo Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso. Una biografia romanzata che si attribuisce ad Ernesto Mezzabotta, giornalista e scrittore vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, che ritroviamo nel romanzo mentre incontra il boia già anziano.

E da queste pubblicazioni prende spunto l’interesse di Nicola Verde per il boia del papa. Mastro Titta nasce a Senigallia nel 1779 e muore a Roma nel 1869. Comincia l’attività di boia da ragazzino, in pratica, appena diciassettenne, nel 1795, e rimase in attività per quasi settant’anni, fino alla veneranda età di 85 anni. Andò in pensione con 30 scudi al mese, il doppio della paga di un normale impiegato. Viene descritto come un uomo basso e tracagnotto, che vestiva in modo sobrio e si presentava sempre perfettamente sbarbato. Sposato e padre di due figli, un maschio e una femmina, dovette fronteggiare anche le maldicenze sulla moglie che il popolino etichettava come una sorta di fattucchiera che parlava coi morti.
Questo nuovo romanzo di Nicola Verde, che segue il fortunato Il vangelo del boia dove fece il suo esordio mastro Titta, è ambientato nel 1859. Un bambino di pochi mesi è scomparso insieme alla sua giovane balia, Amelia. Il bambino, battezzato, è figlio di un ufficiale francese, ebreo. Si teme che il bambino possa essere stato rapito dai gendarmi pontifici per essere consegnato alla Chiesa ed essere allevato nella cristianità, cosi come prevedeva il diritto canonico.

Ma ci sono altri e ben più drammatici sospetti, ovvero che il bambino possa essere rimasto vittima di un rito di sangue che gli ebrei compivano nella settimana di Pasqua.
E non si esclude neppure un complotto tra il regno di Francia e il regno di Piemonte, che si stanno alleando contro l’impero d’Austria, per denigrare l’autorità papale, facendo circolare la voce che la bambinaia sia scomparsa col bambino per salvarlo dalle mire del papa. Ma quando gli omicidi si susseguono, a quelle ipotesi se ne dovranno aggiungere altre. Cosa c’è dietro tutto quel sangue? E soprattutto chi?

Sarà proprio Mastro Titta, che abita a Borgo, appena fuori la città del Vaticano, con l’aiuto di Giuseppe Marocco d’Imola, poeta e tornitore, a sciogliere il mistero e sbrogliare l’intricata matassa che vede coinvolto anche l’ispettore Amilcare Laudadio, che ha avuto una lunga relazione con la bambinaia scomparsa col bambino. Lui sa che la moglie dell’ufficiale francese non può avere figli. E teme che il neonato sia figlio suo e della nutrice, che cerca un imbarco e sta per essere violentata al porto di Ripetta, uno scalo fluviale di Roma situato lungo il Tevere, non lontano dalla chiesa di San Girolamo dei Croati.
Accanto a personaggi reali vediamo interagire personaggi di fantasia. L’intento dell’autore, che ci regala un nuovo avvincente romanzo che si snoda in una Roma sporca e puzzolente ma sempre fascinosa e seducente, mira a raccontarci un periodo storico che richiama i battesimi forzati e le infamie contro gli ebrei, accusati di impastare il pane azzimo col sangue dei bambini.

Calunnie da sempre dure a morire.

Nicola Verde prende spunto da una storia realmente accaduta, il ben noto caso Mortara, e ne fa un romanzo d’autore con altri personaggi e ben altra storia, colma i buchi della Storia vera col suo estro da scrittore e confeziona una trama godibile seppure di fantasia, di immediata lettura, e ci porta nella Roma papalina ai tempi in cui l’Italia ancora doveva unificarsi e gli intrighi e le violenze non risparmiavano neppure i neonati.

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