Mauro Biagini
Morte a Porta Venezia
Fratelli Frilli Editori, 2021
Recensione di Roberto Mistretta
Tutti sanno tutto di tutti. Tutti mentono e fingono, ma il dolore non dimentica e bussa sempre alla porta. È solo questione di tempo, ma prima o poi arriva.
Ruota attorno a un archetipo collaudato l’ultimo romanzo di Mauro Biagini, Morte a Porta Venezia, ambientato nell’omonimo quartiere di Milano che l’autore ben conosce. Biagini azzarda inoltre una scelta coraggiosa ma indubbiamente riuscita, calando gli eventi a marzo del 2020, vale a dire quando venne dichiarato il primo lockdown per l’arrivo della pandemia da coronavirus, che da lì a poco avrebbe stravolto la vita di tutti.
Anche in questo terzo romanzo l’autore ripropone i suoi personaggi principali, ovvero il commissario Attilio Masini, che continua a fumare troppo e a cercare compagnia alla propria solitudine, e l’anziana e claudicante magliaia Delia, che questa volta confeziona delle coloratissime pashmina, termine che deriva dal persiano, significa lana e sta a indicare una pregiata sciarpa di cashmere, per una vendita di beneficenza.
Proprio con una pashmina gialla al collo viene trovato cadavere Mirco Ferretti, direttore creativo di una nota agenzia di pubblicità. È stato rinvenuto all’interno di una garçonnière ricavata nello stabile in via Lazzaro Palazzi di proprietà del suocero, il ricchissimo notaio Ludovico Romei, con studio in Piazza Duomo. A denunciare la scomparsa dell’uomo, di buon mattino, è la moglie, Bianca, bellezza androgina che frequenta un’artista fin troppo protettiva nei suoi confronti, Angiemor, al secolo Angela Morzillo, nativa di un paesotto dell’agrigentino dove il suo essere diversa le aveva tormentato l’esistenza prima di emigrare negli Stati Uniti e fare fortuna.
Bianca dichiara al commissario di essersi svegliata e di non avere trovato il marito a letto, di aver provato a chiamarlo al cellulare senza risposta e quindi di aver chiamato il padre, con cui non si parla, per cercarlo. Quando poi si scoprirà che Mirco non si è impiccato, ma che la sua morte sembra la messinscena per camuffare un omicidio, tutti diventano sospettabili, perché tutti nascondono qualcosa.
Delia scoprirà che Bianca mente. Bianca aveva scoperto che Mirco le mentiva. Mirco aveva scoperto e condiviso i vizi del suocero, vedovo e risposato con una giovane sudamericana. Ognuno ha segreti, ossessioni e scheletri ben nascosti nell’armadio. Come dimostrerà la foto di una ragazzina cinese in ginocchio, rinvenuta nel cellulare di Mirco. Nell’ambiente la chiamavano Jasmine, e qualcuno la teneva prigioniera. Altri la usavano come giocattolo sessuale.
Tra segreti inconfessabili e dolori familiari, Bianca non ha mai scordato quando vide la madre buttarsi dal balcone; tra brutti musi e la mala cinese, tra fragilità e il vuoto di sentimenti a cui deroga con la sua umanità l’anziana magliaia, Biagini tesse una trama metropolitana, regalandoci anche pennellate d’autore quando cede al suo amore per la poesia.
“Prese in prestito i versi di Patrizia Cavalli che tanto amava e glieli sussurrò: “Ma per favore con leggerezza, raccontami ogni cosa, anche la tua tristezza.”
Così l’approccio di Angiemor alla solitudine di Bianca.
E ancora: “Nessuna gelosia, solo tristezza. Noi donne ci innamoriamo sempre di chi crediamo di amare. È che non sempre abbiamo il coraggio di aprire gli occhi.”
Così Bianca risponde alle incalzanti domande del commissario sulle frequenti assenze del marito.
Un romanzo di solitudine corale tessuto con mano abile da Biagini nel chiaroscuro di un quartiere in filigrana, paradigma dell’Italia dei giorni nostri.
In precedenza Mauro Biagini ha pubblicato Il rumeno di Porta Venezia. La prima indagine della magliaia Delia e La ragazza del Club 27. Milano Porta Venezia, un’indagine della magliaia Delia.