Il bambino che disegnava le ombre – Oriana Ramunno

Oriana Ramunno
Il bambino che disegnava le ombre
Rizzoli. 2021
Recensione di Patrizia Debicke

È il 23 dicembre del 1943 quando Hugo Fischer arriva ad Auschwitz. Nevica, e l’insieme di squallidi casamenti che compongono il Blocco 10 è seminascosto dalla foschia.
Hugo Fischer è un abile criminologo, l’investigatore di punta della KriminalPolizei. È stato chiamato nel campo per scoprire chi ha assassinato Sigismud Braun, un pediatra che lavorava a stretto contatto con Josef Mengele e con cui stava portando avanti atroci esperimenti su gemelli ebrei. Ma a Berlino finora si sa ben poco di ciò che succede nei campi di concentramento. Le voci che circolano sottovoce sui Lager non hanno fornito a Fischer una precisa idea di quanto dovrà affrontare, delle mostruosità e degli orrori di cui sarà involontario testimone. Ma farà presto a scoprire che Auschwitz “non è per tutti”. Soprattutto non per lui che da anni, pur ariano ma claudicante perché vittima della sclerosi a placche nascosta con testardaggine in un Reich riservato ai superuomini, porta avanti con determinazione il suo lavoro. Un lavoro che finora si è illuso potesse dimostrarsi utile, addirittura meritorio per uno come lui che oggi, determinato e ignorando una ricaduta del suo male, solo munito di una scorta di morfina, tenta di muoversi tenendo a bada il dolore alla gamba, a tratti lancinante e insopportabile. Lui che con la scusa di una paralisi infantile appoggiandosi a un bastone, quasi una parte di sé, si destreggia al meglio, facendo come può in un affannato slalom tre bugie, depistaggi, e sfiorando appena con lo sguardo la inquietante, strisciante e deviata crudeltà dei nazisti.
Lui che sa che deve mettercela tutta e fare in fretta se vuole scoprire la verità.
La verità? Ma ha un senso cercare il responsabile di un omicidio in un luogo come questo, che pare dimenticato da qualunque divinità? Un luogo di morte, un immenso, orrido mattatoio dove la deviata perversione della follia umana continua ad assassinare migliaia di persone al giorno. Salvo qualcuno, poche povere cavie riservate alle più atroci sperimentazioni che mente umana possa concepire. E tutto in nome di una possibile, miracolosa e a ogni costo raggiungibile perfetta razza ariana.
Tra le cavie ci sono Gioele e il suo gemello, ma soprattutto lui, Gioele, un bambino ebreo italiano, dagli occhi verdi così strani e particolari da avere conquistato l’attenzione di Mengele. Ed è stato proprio Gioele, piccolo genio che parla perfettamente tedesco perché figlio di un professore universitario di Bologna insegnante di quella materia, a trovare il cadavere del dottor Braun e, grazie alla sua eccezionale abilità nel disegno, a ricostruire la scena del delitto nei minimi particolari. Un aiuto dato da Gioele a Hugo Fischer che si trasformerà in una specie di complicità, quasi una parvenza di pietosa amicizia.
Hugo Fischer indaga, interroga, non si risparmia e, mentre tenta di mettere in fila i tasselli per dipanare le fila di quel delitto, è costretto a tenersi in bilico sul filo del rasoio, in un luogo in cui la vita delle persone è divisa solo per credo o per razza. In un luogo in cui è costretto a scoprire e a convivere con le sofferenze dei deportati, con le immani atrocità che lo circondano e lo disgustano, costringendolo persino a mettere in discussione sé stesso e la sua personale visione del Reich. Tanto che ormai ogni giorno che è costretto a passare là gli sembra solo una ineluttabile discesa verso gli inferi.
Protagonista indiscusso della macabra sarabanda infernale è il criminologo berlinese Hugo Fischer, poi c’è Gioele, il bambino sveglio e curioso, coccolato e viziato dal malvagio zio Mengele. Gioele è ebreo ma la sua eterocromia oculare lo rende un privilegiato, come se l’orrore che lo circonda gli scivolasse addosso senza scalfirlo. Gioele ha otto anni, vorrebbe solo notizie dei genitori dai quali è stato separato all’arrivo. Per lui Fischer arriverà persino a chiedere l’appoggio dell’Obersturmführer Tristan Voigt, personaggio doppio, insondabile.
Si intravede nel testo forse anche una punta di amore, di buoni sentimenti, di affetto, di riscatto e sopravvivenza. Ma anche in quell’inferno in terra, progettato e voluto dagli uomini, credete che sarà possibile celare la speranza, la resistenza che nasce da un moto profondo dell’anima e porta a farsi la domanda che settant’anni dopo ancora ci tormenta? Quale vigliaccheria, ignavia e inettitudine umana hanno permesso il consumarsi di un orrore così scientemente programmato?
I riferimenti storici sono minuziosamente documentati e le descrizioni di fatti realmente accaduti, reali, quasi palpabili immettono direttamente il lettore nella storia. Nocciolo della vicenda sono gli esperimenti del Doktor Josef Mengele e degli altri medici come, per esempio, Carl Clauberg (realmente esistiti), condotti sugli ebrei: sui “conigli ebrei”, su “ratti e conigli giudei”, soprattutto sui bambini, in particolare gemelli, e sulle donne per trovare, cercare, un metodo efficiente, veloce ed economico per la sterilizzazione non chirurgica.
Nel romanzo risaltano la totale mancanza di rimorso, l’indifferenza e il sadico piacere delle torture sui prigionieri commesse dalle SS, le SS-Helferinnen e dalle SS-Totenkopfverbände (“Unità testa di morto”). In questo contesto luciferino si inseriscono perfettamente l’omicidio, l’indagine, le prove da acquisire, le false piste che portano in vicoli ciechi. Un buon thriller che si avvale di una cornice storica che fa sicuramente più orrore della stessa trama. Un thriller ben costruito con i suoi colpi di scena, l’omicidio e la sua risoluzione e il percorso investigativo, forse un po’ oscurato dalla straordinaria ambientazione che fagocita l’attenzione del lettore.
Un romanzo che all’inizio si stenta ad accettare: per senso di rifiuto? Vergogna? Certo si sa bene che quello di cui parla, gli orrori e le tragedie che descrive, sono tutti oscenamente veri. Non come al cinema, con il sangue fatto col pomodoro e i morti e i feriti che si rialzano e magari vanno a mangiare un hamburger alla fine di ogni scena. Qui gli interpreti, gli attori in campo, sono persone reali, persone che soffrono indicibilmente, vengono torturate, straziate e alla fine muoiono davvero, di una morte ambita quasi come salvezza, liberazione. Sono realtà legate a un inimmaginabile genocidio di allora, ma tuttora attuali.
Pensiamoci bene e facciamo mente locale. In questo mondo, da quando si ha reminiscenza storica, le barbarie sono sempre esistite. Barbarie che si ripetono sadicamente a ogni generazione e forse più di frequente e accadono anche oggi, magari abbastanza lontano da noi da potere far finta di non sentire e invece CI SONO. Poco lontano, in questo mondo ormai irrimediabilmente interconnesso, e giorno dopo giorno spargono ovunque ferocia, dolore, ingiustizia, paura, rassegnazione, impotenza, ubbidienza, barbarie, umiliazione, odio e disprezzo.

Oriana Ramunno è nata a Rionero in Vulture ma vive a Berlino. Questo è il suo primo romanzo, che verrà pubblicato anche da HarperCollins UK.

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