Massimo Carlotto
E verrà un altro inverno
Rizzoli, 2021
Recensione di Patrizia Debicke
Se siete stagionati come me, ricorderete Odio l’estate, la canzone di Bruno Martino del 1960: “Tornerà un altro inverno / Cadranno mille petali di rose / La neve coprirà tutte le cose / E forse un po’ di pace tornerà”. Quelle parole sembrano riecheggiare il titolo del romanzo di oggi: E verrà un altro inverno, testo di Massimo Carlotto e musica? Beh quella non c’è, dovremo sceglierla noi.
Una favola amara più di quanto si possa immaginare perché è bastato un tocco della bacchetta magica di Malefica, la fata cattiva della Bella Addormentata, per trasformarla in realtà spiacevole e sanguinaria.
Se questa storia fosse La bella addormentata, Bruno Manera sarebbe il principe stagionato che ha, si fa per dire, svegliato Federica Pesenti, trentacinquenne principessa virgulto di ricca e dominatrice genia provinciale, poi divisa nel suo doppio ruolo di bella addormentata e fata malefica, con un principe più giovane già nel portabagagli al posto delle ruota di scorta. Invano Manera proverà a dare nuovo slancio al paese varcando impulsivamente l’invisibile frontiera della provincia profonda. A controllare tutto dall’alto, il padre re Pesenti che domina una valle in semisonno, impostata sul silenzioso ordine del duro lavoro per tanti, del profitto per pochi e delle menzogne per tutti. Insomma come la valle nella favola di Perrault, semincantata dai rovi.
Il principe della storia di Carlotto, Bruno Manera, è un ricco cinquantenne, mentre la principessa Federica Pesenti di anni ne ha appena trentacinque, ma è l’unica erede di una dinastia di imprenditori della “valle”, operoso distretto del Settentrione dove domina l’élite dei capitani d’industria che hanno costruito l’ordine e che, pur non spinti da filantropia, pensano di dover essere sempre ringraziati perché dispensatori di occupazione. Nell’ambiente che l’accoglie alla nascita, insomma governano i magnati. Un’enclave sigillata, dove allignano complicità, omertà e corruzione, metafora neppure tanto velata di gran parte del mondo italico di oggi. Anche Bruno, il marito, è un imprenditore che vive nella convinzione di appartenere a pieno diritto a un universo dominato dalla ‘giustezza’ di un profitto per pochi e menzogne per tutti. Da quanto ha spiegato la moglie alle amiche, si era arricchito acquistando, ristrutturando e rivendendo immobili di pregio soprattutto in località turistiche. Vedovo, ha adorato la prima moglie strappata alla vita da un tumore, ha incontrato in città la bella Federica e in due balletti innamoratissimo l’ha sposata… E vissero felici e contenti?
Nossignori perché, dopo essersi trasferito nel paese originario della moglie, Manera diventerà bersaglio di una serie di pesanti atti intimidatori: prima le gomme tagliate, poi la macchina bruciata e infine i colpi di pistola. La situazione per lui sta diventando davvero pericolosa, soprattutto perché l’arrogante terrone maresciallo dei carabinieri Piscopo, imbeccato dall’alto, sta spargendo la voce che l’architetto Manera doveva aver pestato i piedi a qualcuno. A parte le prevedibili e scontate corna: Federica, tornando al paesello, ha rinfocolato un amorazzo giovanile e ora mira a una ricca separazione.
L’unico che ha capito qualcosa e si darà fare per aiutare il povero Manera sarà Manlio Giavazzi, un vigilante dalla vita sfortunata con il culto dei marrons glacé. Giavazzi, convinto che certe faccende vadano risolte tra paesani, prova a indagare tra loro. Ma il piccolo e misero giro di paese è crudele e inguaribilmente marcio. Poi il caso e la follia scatenano una girandola di drammatici colpi di scena in cui Massimo Carlotto strappa la maschera ai personaggi. Un brutto giro in cui l’amicizia può diventare opportunità per un’associazione a delinquere, l’amore è puro calcolo e il matrimonio un giro di roulette. Un mondo in cui la solidarietà tra conterranei è un ferreo patto di complicità e la famiglia rischia di trasformarsi in una vera connection criminale.
Con la scusa della fatalità, Carlotto si diverte a rivoluzionare la logica della trama poliziesca, con l’inconfessabile ferocia della cosiddetta brava gente. E l’irrisolvibile mistero di quale possa essere l’essenza di ciascuno e il ruolo talvolta incontrollabile della società. Società che, volenti o nolenti, noi tutti contribuiamo a tenere saldamente in sella. Insomma, finita la favola amara, proprio come nelle canzone di Bruno Martino: “La neve coprirà tutte le cose / E forse un po’ di pace tornerà”? Magari anche in valle… E verrà un altro inverno, purché tutto resti come prima.
Massimo Carlotto è l’inventore della serie di Marco Buratti detto l’Alligatore. Ha scritto numerosi romanzi tra cui Arrivederci amore, ciao, L’oscura immensità della morte, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, La signora del martedì. Per Rizzoli ha pubblicato Il Turista e l’antologia Sbirre con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni.
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