Diego Lama
Tutti si muore soli
Mondadori, 2021
Recensione di Roberto Mistretta
È in libreria Tutti si muore soli (Mondadori), l’ultima avventura dello stravagante commissario Veneruso uscito dalla brillante penna di Diego Lama che nel 2015, con lo stesso personaggio, si aggiudicò il Gran Giallo Città di Cattolica col racconto Tre cose e il Premio Tedeschi Giallo Mondadori col romanzo La collera di Napoli.
La vicenda si svolge in un solo giorno – sabato 28 luglio 1883, il giorno del terremoto di Ischia (Casamicciola, 2.300 vittime) – dal crepuscolo a notte fonda. Un lungo piano sequenza privo d’interruzioni: dalla prima pagina all’ultima il lettore è appollaiato sulla spalla di Veneruso e lo segue ovunque, dal cesso a tavola al letto di Annarella.
Un romanzo che lascia il segno. A colpire è soprattutto lo stile dell’autore, che lo ha orchestrato come un magnifico spartito musicale dove le parole sembrano note che fuggono nell’aria e diffondono attorno a loro la bellezza cosmica di una città unica: Napoli.
Diego Lama, architetto partenopeo, amante della storia, collezionista di antiquariato e di giornali d’epoca, conosce bene anche l’architettura invisibile della sua Napoli e coniuga il piacere della scrittura alla funzionalità. Ha accettato una sfida con se stesso, una scommessa ardua (e per noi vinta a piene mani), raccontare le diverse anime della sua città e la morte di una lingua, il napoletano, di cui è gran cultore, sviluppando la complessa e gustosa trama dell’intero romanzo nell’arco di una sola giornata, dalle cinque di mattina alla mezzanotte.
In venti ore e venti capitoli, il commissario risolverà il mistero del delitto di Armand Bordò, ucciso con venti coltellate all’interno della Sala Consultazione della Biblioteca nazionale che custodisce il testo originale dell’immortale capolavoro di Leopardi, “L’infinito”. Nativo di Napoli ma trasferitosi a Milano, Bordò è odiato dagli intellettuali napoletani per la continua spoliazione di opere letterarie a cui sta sottoponendo la città, sottraendo e trasferendo al nord le opere originali che custodisce, compreso appunto “L’infinito” di Leopardi. E qui entrano in scena personaggi realmente esistiti: il filosofo Benedetto Croce e lo scrittore del primo giallo italiano, “Il mio assassino”, Francesco Mastriani; il poeta Salvatore Di Giacomo, la scrittrice Matilde Serao e il giornalista Edoardo Scarfoglio.
Un giallo magnificamente orchestrato dove non mancano altri cadaveri, come quello mutilato di una bambina, Patrizia, tredici anni, che faceva la vita in un vascio del rione Carità, e quello assai più eclatante della baronessa Salomè, uccisa al culmine di un gioco erotico. Forse. Ma il mondo della prostituzione e quella della nobiltà in fondo non sono troppo distanti e Veneruso, indagando e risolvendo anche questi delitti, tutti correlati da un filo sottilissimo, scoprirà che l’Unità d’Italia non ha sconfitto solo una nazione, ma ha ferito a morte una grande cultura e una straordinaria lingua.
“Il tema in filigrana di questa storia sono le parole – racconta Diego Lama – la morte delle parole, la morte di un idioma – il napoletano, una lingua, non un dialetto, provvista di lunga storia, di sua grammatica, di poemi, poesia, saggi, ricerche, canzoni e ancora parlata da milioni di individui – uccisa dai suoi stessi parlanti e relegata alla classe debole in funzione della modernità, cosa che sta accadendo oggi anche all’italiano. Il terremoto finale, realmente avvenuto quel giorno del 1883 a Ischia, diviene la scossa che risolve il caso ma in qualche modo fa capire a Veneruso che la distruzione – delle parole, del regno, della gloria e del suo mondo – è da tempo avviata.”
La storia comincia con Veneruso reduce da una settimana di malanni.
Si era preso una febbre improvvisa e illogica che aveva costantemente oscillato tra i trentotto e mezzo e i trentanove gradi, muovendosi tra le due tacche, avanti e indietro, senza mai spingersi più su o più giù per giorni, inchiodandolo nel letto come l’ultimo dei moribondi. “Colera” aveva sentenziato subito Veneruso, sempre lucido e sempre ottimista, toccandosi la fronte. “Oppure tifo petecchiale, o febbre emorroidale, o un mezzo vaiolo.” Invece era solo febbre.”
Uscendo da casa per portarsi in Piazza Dante dove ha sede il commissariato, Veneruso verrà informato per strada dell’assassinio della baronessa Salomè e dei vari colpevoli di volta in volta indicati dalla gente comune, in un gioco di tradimenti e perversioni erotiche che alimentano la fantasia della stampa e la curiosità del popolino. Irresistibili i siparietti e le descrizioni del contesto e della fauna umana.
“Intanto erano arrivati sotto il portone dell’ufficio di piazza Dante. Veneruso pagò, infilò le scarpe maledette e salì lentamente al secondo piano. Sul pianerottolo, proprio davanti alla porta d’ingresso di vetro, c’era una piccola folla di gente strana: un misto di pezzenti-eleganti, di cretini-intelligenti, di svegli-addormentati, tutti a urlare domande mezze-furbe e mezze-stupide.
«Ma chi so’?» chiese Veneruso superandoli a spallate ed entrando nell’ufficio. «Che categoria umana è?»
«So’ giornalisti, commissa’.»
Esposito era preoccupatissimo. «Vogliono avere notizie, ma io non li ho fatti entrare.»
«Notizie su cosa?» A Veneruso venne una fitta al cuore.
«Sul caso della ragazzina sventrata?»
«Ma no.» Esposito scosse la testa. «Di quello nessuno se ne fotte niente, commissa’.»
«E di cosa, allora?» Veneruso s’incamminò verso il corridoio. «Del delitto della biblioteca?»
«Ma no, commissa’.» Esposito lo seguì e abbassò la voce. «Sono qui per il delitto della baronessa Salomè, quello che avete risolto stamattina.»
«E che vogliono?»
«Si è sparsa la voce che il principe Puccini è colpevole» disse Esposito. «Così adesso vogliono i dettagli, sono giornalisti, una razza nuova: rompiscatole e carogne, ma bisogna tenerseli buoni che poi si vendicano.»
Con Veneruso conosceremo una galleria di personaggi ben caratterizzati, ognuno col proprio dolente vissuto e la propria umanità, a cominciare dalla sua squadra di collaboratori, gli ispettori Girardi e Polverino, e gli agenti scelti Gaetano Cuomo, Salvo Serra e Mimmo Rocco.
Un romanzo da godere come un babà e un autore da conoscere.
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