Luca Di Gialleonardo e Liudmila Gospodinoff
Il paradosso dell’arciere
Il Giallo Mondadori, luglio 2021
Recensione e intervista di Roberto Mistretta
Ha una sua particolare e fascinosa rotondità questo bel giallo di casa nostra che già dal titolo, Il paradosso dell’arciere, prende per mano il lettore e lo introduce nell’insolito mondo dell’arcieria e in quello ben più difficilmente spiegabile dei paradossi che attengono sia la fisica, sia la natura umana.
Scritto a quattro mani da Luca Di Gialleonardo e Liudmila Gospodinoff, e già finalista al prestigioso Premio “Alberto Tedeschi” 2017, il romanzo è ambientato ai giorni nostri, nell’immaginaria cittadina medievale di Averna, nel frusinate, che vanta una antichissima tradizione di arcieria, al punto che i nativi appartengono per diritto di nascita inalienabile, a una delle quattro contrade che ogni anno, a fine estate, si contendono il palio: Castello, Ponte, San Luigi e Torre.
Il palio è molto sentito dai nativi che si sfidano in una serie di gare, compresa una competizione di tiro con l’arco. I maestri sono venerati dagli allievi, si costruiscono da sé archi e frecce e tramandano l’antichissima arte arciera. Ma proprio arco e frecce, ben tre, diverse per forma, calibratura e peso, saranno l’arma del delitto che trapasseranno, Renzo Moscati, capitano della Contrada Castello, colpito alla schiena e al collo mentre faceva jogging.
È un’afosa mattina d’estate quando il suo cadavere viene ritrovato da un giovane tiratardi del posto, dal fisico scolpito, a cui le ragazze corrono dietro col materasso e che poi, si scoprirà non essere del tutto indifferente a Elena, la moglie bella e sofisticata di Renzo Moscati. Il maestro, alla passione per l’arco, coniugava l’irreprensibilità sul lavoro. Era stato promosso da poco ingegnere capo al Comune, dove però aveva fatto le scarpe a un geometra intrallazzatore, denunciandolo per corruzione e bloccando parecchi progetti edilizi.
L’articolata e ben congegnata trama, di cui questo è solo un accenno, e che riprenderà anche il suicidio del giovanissimo nipote di Renzo Moscati, sarà disvelata passo passo dalle indagini del commissario Tiziano Agata, avernese per nascita ma cittadino del mondo con lunghi periodi vissuti a Londra e un passato da farsi perdonare dalle donne.
Con lui collabora il vice commissario Rita Solvini, piacente vedova delusa dalla mancata promozione a commissario, con una figlia adolescente e anoressica. Con loro anche i giovani ispettori, Paolo Brandi, amante di Stephen King e della letteratura in genere, e Susanna Colicchi, informatica tuttofare ma allergica ai libri.
Ma come è nata l’idea di un omicidio consumato con arco e frecce, armi medievali, ambientalo in tempi moderni?
“All’epoca facevo parte della gloriosa compagnia degli arcieri di Casperi – ricorda Liudmila Gospodinoff. – «Facciamo un giallo ambientato nel mondo dell’arcieria» proposi a Luca. «E ci mettiamo la polizia che affronta i malviventi con arco e frecce.» Avevo anche il titolo pronto, quello di un fenomeno che mi affascinava, il comportamento aerodinamico della freccia, che si avvicina all’obiettivo con un percorso a serpentina, dimenandosi come se fosse viva: il paradosso dell’arciere.”
Proprio a pag. 120, quando il commissario cerca di saperne di più su archi e frecce, il maestro Arduino Moscati, cugino dell’ucciso, spiega: “Lei mi aveva chiesto delle frecce. Noi crediamo di vederle andare dritte come pallottole, ma non è così. In realtà girano attorno all’arco e si riallineano sul bersaglio come se fossero animate, e questo comportamento così sorprendente è detto il paradosso dell’arciere.”
Di paradossi però si può anche morire, al punto che si può arrivare ad uccidere per farsi apprezzare.
I due autori hanno fatto propria la lezione dei grandi maestri del giallo classico e costruiscono un romanzo godibile, con personaggi credibili ed empatici, un’ambientazione curata e una solida trama, con l’indagine che di volta in volta svelerà aspetti in ombra dei protagonisti e dei vari personaggi, ognuno con qualcosa da nascondere, perfino segreti pruriginosi e imbarazzanti, e ognuno a suo modo sospettabile, anche quando gli alibi sembrano inattaccabili.
Ma sarà il paradosso dell’arciere che darà l’input al commissario Tiziano Agata per dirimere il dubbio che fino ad allora lo aveva travagliato: a scoccare le tre frecce mortali è stato un solo arciere o tre diversi arcieri con tre differenti archi?
Un paradosso che finirà per travolgere anche lui alla fine, quando finalmente capirà che chi ama, non opprime.