Becky Sharp
Cuore di lupo
Mondadori, 2021
Recensione di Patrizia Debicke
Altro genere, altra corsa per Cuore di lupo di Becky Sharp (pseudonimo inglese per una penna italianissima), l’ineffabile creatrice di Penelope Poirot, personaggio comico e sopra le righe protagonista delle precedenti storie.
Anche se l’attacco potrebbe far presagire un’avventura dai toni comici e spensierati come le precedenti, si cambia musica e l’atmosfera iniziale che trasuda finta pace e serenità fa presto a mutare in uno scenario da favola cattiva dei Fratelli Grimm.
L’irreprensibile stimato docente di grande fama e successo Pierre, originario di un paesino sul confine italiano, e la sua svampita e stravagante moglie Ophelie, bamboleggiante e fissata con le bolle di sapone, dal vivace spirito bretone ormai sopito dal vivere nella capitale, hanno scelto di concedersi un lungo viaggio/soggiorno/ritorno sabbatico alla terra d’infanzia del professore… O per lo meno, questo dovrebbe essere il motivo che spinge la coppia, quarantenni senza figli e di buoni mezzi, dominata psicologicamente dall’uomo, a decidere di tornare a vivere per un anno a Torvez, paesino al confine italiano abbarbicato sulla montagna a picco sul lago.
La casa natale di Pierre porta orgogliosamente la sua età. Una costruzione tozza, in stile tirolese, ormai vecchia di due secoli e circondata da un giardino incolto, piazzata nel punto più alto del paese, come una sentinella a guardia dei boschi. Un paese antico fatto di mura antiche che paiono minacciare oscuri misteri.
Perché dobbiamo essere qui e restarci, si chiede Ophélie, anima aerea sempre pronta ad adattarsi a ogni capriccio del marito ma che ha preso in antipatia Torvez fin dal primo giorno: il posto è abitato da “quattro morti viventi” e lei si sente come un fenomeno da baraccone, fuori posto, sbalestrata.
Lasciandosi trascinare, ha seguito suo marito e si è adattata a sistemarsi nella casa natìa del luogo in cui Pierre è cresciuto prima della scuola superiore, dell’università e dell’insegnamento a Parigi. Ma perché Pierre è voluto tornare a Torvez?
Perché, a ben guardare, la pace che sovrasta Torvez potrebbe dimostrarsi invece un’utopia, fragile e sottile come una ragnatela. Una pace vischiosa, in agguato, magari pronta ad avviluppare cose e persone indistintamente.
A Torvez le gioiose maschere di benvenuto della gente cadono in fretta, le ghirlande appese per festeggiare il loro arrivo saranno presto strappate via e, come conseguenza, emergerà un insondabile intreccio di lontani segreti pronti a far scricchiolare il loro matrimonio.
Fino all’evento drammatico e imprevedibile. Una notte Gerda, la bionda e placida ragazza della malga, poco più che una bambina, viene a cercare aiuto da Ophélie con le mani che grondano sangue. Fuori di senno, non riesce a spiegarsi né a dire esattamente cosa sia accaduto.
Scatta l’allarme e la polizia troverà il corpo di sua madre Ilse, donna di pessima nomea, sempre ubriaca, ferocemente uccisa, secondo un antico rituale barbaro che rimanda alla leggenda dell’Uomo Selvatico, spaventoso mostro che affolla le antiche tradizioni locali.
La povera Gerda, che non sembra avere né amici né difensori, non sa offrire spiegazioni convincenti su quell’atroce delitto che potrebbe essere stato commesso da un mostro.
D’istinto però Ophélie, sicura in cuor suo dell’innocenza della ragazza trattenuta dalla polizia in custodia cautelare, adotta Numa, la cagna che pare l’unica vera amica e difesa di Gerda, e si improvvisa detective, sfidando il silenzio, l’avversione, i sospetti e il fastidio di Pierre e della sua composita e inquietante cerchia di amici. L’aiuta solo Claudio, il figlio del commissario.
Man mano che cercano di scavare e far luce nel mistero di quel delitto, Ophélie intuisce che qualcosa potrebbe coinvolgerla direttamente. Forse un segreto del passato vuole tornare alla luce per gridare la sua verità. Un segreto da ricercare a Torvez, fra sedicenti esorcisti, improbabili casalinghe, taciturni bottegai e professionisti o imprenditori delusi dalla vita.
I boschi che circondano Torvez sono bagnati da leggende di fauni che vorrebbero essere fiabe benevole e sono invece favole nere nelle quali si sfoga la vigliaccheria di quel male che li ha marchiati per sempre e ne rispecchiano i macabri e crudeli ricordi.
Il signore che ha intessuto il destino di quei luoghi urla di dolore e confida solo alla nera notte la sofferenza di coloro che sono stati ingiustamente oppressi. Un luogo maledetto in cui l’incrudelire di superstizioni e leggende può distruggere qualunque esistenza.
Con troppi segni che parlano di segreti e di paure mai placate, i sensi di colpa gravano sui cuori di coloro che, in un drammatico alternarsi tra presente e passato, devono fare i conti con la realtà. Il senso di colpa non risparmierà nessuno fino a quando si scoprirà la tomba del fauno e i suoi tristi segreti, che sporcano la foresta con il rosso omicida del sangue.
Anche Ophélie, con le sue bolle di sapone, i collant a righe, le redingote di velluto e l’ormai inseparabile Numa, pur innocente di ogni colpa, si ritroverà imprigionata da una favola amara e, come una novella Alice nel paese delle Meraviglie, dovrà rifare la strada del tempo per decifrare il perché di quella morte.
Un romanzo da brivido che porta il lettore a chiedersi fino a dove possa arrivare la malvagità umana. Una favola cattiva solo per bambini grandi.
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