Sebastiano Martini
Stato passivo
Ensemble, 2021
Recensione di Patrizia Debicke
Jacopo Nuti vede incombere il fallimento su di sé. Non sa proprio dove trovare i cinquantamila euro che gli servirebbero per pagare le cambiali finite in mano agli usurai, che pretendono il saldo immediato per tenere aperto il suo ristorante. Ristorante notturno, riservato a un’élite in cerca di atmosfera, che si era fatto un nome e funzionava. E invece l’hanno fregato, perché lui quelle cambiali le ha già regolarmente pagate ma, per leggerezza o per paura, non ha mai preteso la ricevuta e la restituzione.
La bancarotta e la chiusura dell’attività si prospettano oggi come l’amaro epilogo dei tanti errori sia personali, come non aver voluto chiedere l’appoggio della famiglia, che professionali, ovvero aver rinunciato a una carriera sicura per inseguire un sogno.
L’uomo che prenderà in carico il suo caso, in veste di curatore fallimentare, sarà Folco Cerri, un ricco avvocato di grande successo, 64 anni e un divorzio alle spalle. L’incontro/confronto tra due uomini abituati a non reagire, a non battersi, a non cercare alternative, sarà imprevedibile. Ambedue, pur se in diverso modo, sono prigionieri dello stato passivo che dà titolo al romanzo, cioè uno stato di insolvenza non solo materiale ma anche morale. La stessa realtà vista da una diversa angolazione da due sconosciuti che vivono in una Firenze abulica e gelidamente indifferente alle loro scelte di vita.
Jacopo Nuti è di fronte alla débacle economica e morale.
Certo, potrebbero esserci gli estremi per un ricorso, ma prima bisogna inevitabilmente passare attraverso le forche caudine del fallimento. Jacopo chiede una breve tregua, conta di potere trovare un modo per pagare quei maledetti cinquantamila euro.
Gli viene concesso. Il tempo, l’introspezione di Nuti e Cerri e le loro decisioni finiscono col segnare le rispettive esistenze portando a scelte definitive e riscosse inaspettate.
Sebastiano Martini con il suo romanzo breve, poco più di un racconto, ma significativo, cesella la storia avvincente di due estranei, due persone lontane tra loro ma simili, coinvolti sia in modo diverso nello stesso fallimento, a cui però forse la vita potrebbe concedere una seconda opportunità.
Con l’ottima prefazione di Patrizio Nissirio, con una scrittura pulita ma affascinante, l’autore, un avvocato nel nostro mondo, si serve del vissuto dei due protagonisti per offrirci un romanzo soffuso di noir, credibile, in cui pare normale identificarsi, ma in grado di riservare molte sorprese. E comunque una plausibile realtà ricostruita senza fronzoli e senza l’ossessione di voler analizzare i personaggi.
Una storia di notti fiorentine insonni e tormentate dagli incubi e di solitudini in giacca e cravatta firmate, pronte a crollare come castelli di carta.
Sebastiano Martini (1978) è nato a Parma dove vive e lavora come avvocato civilista. Ha pubblicato i romanzi “Covadonga” (2019) e, con Ensemble, “La notte dell’acqua alta” (2020). Col suo precedente romanzo ci aveva portato tra le calli deserte di una Venezia sommersa, a passeggiare inquieti con ventimila euro in tasca da scommettere alla roulette. Con la medesima competenza topografica del romanzo precedente, Martini ci accompagna adesso, abile Cicerone, a Firenze, tra le vite di uomini ancora una volta in preda ai debiti, ma con una voglia matta di ottenere un nuovo credito dalla vita.
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