Letture al gabinetto – Maggio 2022

Rubrica a cura di Fabio Lotti (al quale oggi, come ogni anno, facciamo tutti insieme gli auguri di buon compleanno!)

Autopsia di Patricia Cornwell, Mondadori 2022.
Quando la presentazione di un libro è ben scritta va sfruttata. Almeno in parte “Dopo un’assenza durata parecchi anni, l’anatomopatologa forense Kay Scarpetta torna in Virginia, lo Stato dove ha avuto inizio la sua brillante carriera. Kay e suo marito Benton Wesley, ora psicologo forense per i servizi segreti americani, si sono trasferiti ad Alexandria, a pochi chilometri dal Pentagono, in un mondo post-pandemico lacerato da disordini civili e politici. Scarpetta è diventata capo medico legale, ma si trova a lavorare con una segretaria prepotente e a gestire una situazione di trascuratezza e presunta corruzione. Dopo poche settimane, viene chiamata sulla scena di un crimine: presso i binari della ferrovia è stato ritrovato il corpo di una donna, orribilmente mutilata”.
Trattasi di Gwen Hainey, trentatré anni, ingegnere biomedico al Thor Laboratories, frattura del cranio attraverso un colpo sferrato probabilmente con un kettlebelle, collo squarciato, tagliate le mani, trovato un penny appiattito dal treno. Evidentemente trasportata lì e Pete Marino, che ha sposato la sorella di Kay, conosce l’uccisa, una vicina di casa all’Old Town tormentata dal suo ex Jim Slater “soggetto potenzialmente violento.” Un fatto particolare viene subito alla luce: Gwen aveva un sacco di soldi, troppi soldi. Dove li prendeva? Chi glieli dava? Che ci sia di mezzo lo spionaggio a favore dei russi? Per risolvere il problema arriva anche August Ryan “l’asso degli investigatori.” E a questo caso se ne aggiunge un altro, ovvero l’uccisione di Cammie Ramada, che era stato chiuso, secondo Kay troppo in fretta, mentre potrebbe essere collegato a quello di Gwen, entrambi opera del classico killer.
Non è finita qui. Chiamata alla Casa Bianca insieme al marito viene a sapere che è successo qualcosa di inquietante in un laboratorio spaziale colpito da uno sciame di proiettili, probabilmente detriti. Due astronauti colpiti a morte e un terzo che si salva fuggendo. Deve scoprire la verità per la sicurezza nazionale, ergo esame al video dell’accaduto e nasce l’idea che forse qualcuno vuole farlo passare “per uno strano incidente o un attacco nell’orbita terrestre bassa” mentre trattasi di puro omicidio.
In una Richmond devastata dalla pandemia, saccheggiata durante proteste e disordini, l’indagine si rivela complessa e pericolosa. Kay stessa rischia pure la vita bevendo un bicchiere di Bordeax avvelenato con una sostanza diversa dalle solite (ma era proprio per lei?), arriva la classica giornalista a creare scompiglio e fastidio, verranno sfruttati tutti i moderni mezzi tecnici a disposizione per gli esami di qualunque tipo, compresi quelli chimici e tossicologici, con l’aiuto anche della nipote Lucy esperta di computer e pilota di elicotteri.
Alla fine un po’ di riposo, via, bisogna ritornare a casa. Ma l’assassino potrebbe essere ancora in giro…
Discreta lettura senza eccessivo entusiasmo. Almeno per il sottoscritto.

Paesaggio con ombre di Nora Venturini, Mondadori 2022.
Ecco come presentai l’esordio della scrittrice L’ora di punta, Mondadori 2017, “Roma. Personaggi principali: Debora Camilli, 25 anni, tassinara poliziotta mancata, morto il padre, madre infermiera, fratello studente di medicina con il quale si azzuffa spesso. Caratterino fumantino, commissario capo Edoardo Raggio, venuto dal Cilento, niente fisico statuario, sulla quarantina, capelli castani spruzzati di grigio, occhioni chiari, in crisi con la moglie e già ci si immagina come continuerà la storia”.
Questa volta per la nostra tassista Siena 23 niente omicidio in via Barboloni ma un morto ripescato nel Tevere senza documenti. C’è bisogno dell’aiuto di Edoardo ora promosso alla omicidi, che le ha lasciato una cicatrice nel cuore, per saperne di più. Ed infatti viene fuori che il morto trattasi di Guido Dantice restauratore residente a Roma. Per la madre non si è suicidato, anche perché si doveva sposare con la fidanzata Gemma e aveva pure comprato i biglietti del viaggio di nozze. Giusta intuizione. Il figlio, dopo i rituali accertamenti, è stato ucciso con un colpo alla testa e poi gli sono passati sul corpo con una macchina. Stava restaurando un Courbet, precisamente Mare in tempesta per il collezionista milionario Enea Bruganti. Come al solito Debora si infila nella storia e intuisce che bisogna partire da una visita alla Galleria d’Arte Moderna. E poi sgattaiola dappertutto per risolvere il caso, parla con la madre e la fidanzata del morto, va a trovare il collezionista, mette insieme tassello su tassello, innescando continue scaramucce con Raggio che se la trova spesso tra i piedi. A complicare la situazione sentimentale dei due arriva la PM Caterina Carrano, una vecchia fiamma di Edoardo “alta, magra, tra i quarantacinque e i cinquanta, in giacca e pantaloni leggeri, i capelli castani raccolti a coda di cavallo”.
Dalle indagini vengono fuori altre notizie significative come il fatto che i fidanzati non andavano più d’accordo e che un certo amico del restauratore se la intendeva proprio con Gemma. Ma è soprattutto il quadro, il quadro di Courbet da restaurare che nasconde qualcosa di importante. Debora lo sente, lo avverte, una sensazione, un’intuizione che può farle rischiare anche la vita…
Un viaggio dentro una Roma a più sfaccettature dove certe ombre si allungano anche durante il giorno festivo portando un “immancabile senso di mestizia e delusione”. Tra continui, piccoli colpi di scena e assilli sentimentali che tormentano i maggiori protagonisti viene fuori il classico gialletto leggeretto, e anche un po’ rosetto, da bersi d’un fiato dopo il classico malloppone indigesto che si piazza sullo stomaco.

L’ultima mano di burraco di Serena Venditto, GEDI 2021 (prima ediz. Mondadori, 2019).
Partiamo dalla combriccola che vive a Chiaia, centro di Napoli, in via Atri 36. Dunque abbiamo la narrante italo-americana Ariel Hamilton, traduttrice di tremendi romanzetti rosa ed esperta di burraco (farà comodo); Maria Luisa Ferrari, detta Malù, archeologa e appassionata di letteratura gialla; il gatto Mycroft che ci ricorda qualcosa e poi… per gli altri vedremo se è il caso di citarli e quando citarli.
Passiamo al morto Temistocle Serra, professore universitario di teoria dei giochi e delle decisioni, nonché appassionato di fotografia e di Charlie Brown. Muore, guarda un po’, dopo una partita di burraco avendo lasciato sul panno verde diverse carte sparpagliate, ma proprio al centro, messe in fila e disposte con cura, una quindicina di carte francesi in sequenza… Un messaggio in codice? Omicidio, suicidio, o morte naturale? Indaga il commissario Timoteo De Iuliis (ha una gatta di nome Agatha, naturalmente…) che coinvolge Malù come consulente investigativo che a sua volta trascinerà con sé Ariel e la citata combriccola, felino miagolante compreso.
Andando avanti scopriremo che il professore è stato avvelenato con il cianuro e non si tratta certo di suicidio. Chi ce l’aveva con lui? La moglie? I figli? La segretaria? La cameriera? O magari qualcuno che si era fortemente indebitato con lui perdendo una fortuna a poker? Perché il nostro Temistocle Serra era stato un campione in questo giuoco…
Dunque riunioni della combriccola per tirare un po’ le fila del caso mentre Mycroft fa volare una carta per aria. Sempre la stessa, la Donna di cuori. Un’intuizione gattesca? E poi via, insieme alla polizia, per parlare con i membri della famiglia e ricostruire le ultime ore del fu professore. Qualche spunto dovrà pur venir fuori…
Qui mi fermo e non cito nemmeno gli altri coinquilini della banda gattesca che offrono il loro contributo a creare una certa simpatica atmosfera soprattutto dal lato sentimentale. Li scoprirete leggendo. Aggiungo un tentativo di omicidio (qualcuno sta per spifferare un segreto) e la classica lampadina che si accende “So chi è stato. E so come ha fatto”. Occhio ad un blocchetto di appunti sparito e a una certa Dionaea muscipula…
Non mancano spunti sulla Napoli bella e caotica, citazioni cultural-giallistiche a go-go come omaggio ai grandi (Sherlock, Marple, Nero Wolfe, Poe, Mozart, Apuleio, Properzio, Shakespeare e chi più ne ha più ne metta…), battute, piccoli contrasti e gelosie d’amore, ironia e sorriso sparsi dovunque e mi immagino il divertimento di Serena Venditto nello scrivere il libro. E noi dobbiamo leggerlo con lo stesso spirito con cui è stato scritto.

L’ospite di Giorgio Faletti, Einaudi 2018.
L’ospite
Uno scoop giornalistico. È quello che propone Riccardo Falchi al direttore di “Scout”. Previo centomila bigliettoni. Lui sa dove si trova Walter Celi, star della televisione sparito improvvisamente da quattro anni. Dopo il fattaccio. Dopo che la soubrette italiana Vicky Merlino, durante una serata di uno show, “…era arrivata fino a lui, lo aveva salutato, abbracciato e baciato e poi, con un gesto talmente naturale da parere studiato, era scivolata a terra ed era morta. Morta stecchita”. Nessuno era riuscito a sapere dove fosse. Eccetto lui. Così, per caso, attraverso certe diapositive della nipote Sara appena tornata da una vacanza… Occhio ad un piccoletto con il vestito scuro, la camicia gialla, una cravatta a farfalla rossa e un lecca lecca in bocca che ogni tanto appare e che mette paura…
Per conto terzi
Asti. Un uomo che scende dal treno. Ha preso la sua decisione con una pistola nella tasca destra del soprabito. Poi ecco il Bradipo con due voci. La Voce Buona con la quale saluta, ovvero solo “una specie di maschera sonora.” E la Voce Cattiva che sente dentro. Un guardone tremendo con “gli occhi sporgenti e acquosi”, fissato con il sesso. Ancora un personaggio cercatore di funghi, il trifulan, come viene chiamato da quelle parti, immerso nei pensieri insieme al suo cane, da tartufi, naturalmente. E la scoperta di un uomo impiccato. Lavoro per il commissario Marco Capuzzo che indaga. Suicidio o omicidio?…
Dunque un personaggio dietro l’altro, un “avanti” e un “ritorno” continui, una specie di gioco di scatole cinesi, con l’“ospite” inquietante che si cela nell’ombra, concentrato nel suo obiettivo, a creare sconcerto nel lettore. Personaggi con le loro storie devastanti che rimuginano dentro di loro. Ironia, mistero, l’apparenza che inganna, il Destino che accomuna, il colpo a sorpresa dentro un intreccio ben congegnato.
Giorgio Faletti (1950/2014) è stato comico, attore, cantante, compositore, paroliere. E scrittore. Con Io uccido del 2002 ha venduto cinque milioni di copie solo in Italia e ha confermato il successo con altri libri. Allo stesso tempo esaltato (qualcuno in internet ha scritto che si muove sulla scia di Poe, Lovecraft e King) e stroncato come fosse uno scribacchino. A me pare sia stato scrittore di buon livello e i due racconti sono qui a dimostrarlo.

I Maigret di Marco Bettalli

Maigret e il produttore di vino del 1970
In un piovoso dicembre parigino, si dipana una storia basata su due figure “omeriche”, nel senso dell’eccesso che le caratterizza: l’ucciso, Oscar Chabut, industriale (distributore, mercante: chissà perché l’edizione Adelphi ha virato verso “produttore”) di vino a buon mercato, ricchissimo, arrogante oltre ogni misura umana, rozzo, intento solo a umiliare, vessare chi gli sta intorno e a “farsi” ogni donna che giunga a contatto con lui. Letteralmente. L’assassino, uno sfigato alla ennesima potenza, quasi ridicolo nella sua irresolutezza e pavidità. E anche un po’ scemo, perché l’unica vera volontà l’ha espressa nel voler sposare a tutti i costi una troietta pigra che gli rende impossibile la già triste vita. La narrazione scorre bene (Maigret ha l’influenza e i siparietti con la signora Maigret sono dolcissimi) e la scena finale, con la confessione dell’assassino… nel salotto di casa Maigret, con la signora Maigret intenta a servire grog caldi in continuazione, è indimenticabile. Simenon è il cantore dei vinti e gode nel mettere in risalto l’amoralità e l’incredibile quantità di polvere nascosta sotto il tappeto delle case dei ricchi. Va bene anche giustificare l’omicidio: in una intervista poco prima di morire affermò che non si deve “mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti”; ma… a volte lo sfigato lo è un po’ troppo, almeno a mio parere.

Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)

I delitti della bella di notte di Anthony Horowitz, Rizzoli 2022.
Dopo I delitti della gazza ladra, un nuovo straordinario caso per la penna di Anthony Horowitz, mitico produttore della prima stagione dell’ispettore Barnaby, tradotto anche stavolta da Francesca Campisi.
La storia inizia a Creta: la splendida isola, meta preferita per le vacanze estive di mezza Europa.
Dopo esserne uscita per il rotto della cuffia e avere risolto lo sbalorditivo mistero che avvolgeva la morte dello scrittore Alan Conway in “I delitti della gazza ladra”,
l’editor londinese Susan Ryeland, dato un calcio alla professione letteraria, aveva deciso due anni prima di trasferirsi a Creta con il fidanzato Andreas. Là, lontano dall’Inghilterra e dalla confusione metropolitana londinese, tenta di rifarsi una vita come albergatrice di un delizioso piccolo albergo residence. Non sono tutte rose e fiori però.
L’albergo, il Polydoras con appena dodici camere, garantisce agli ospiti una splendida “location” con vista da favola arricchita dallo splendore di un sole sfavillante e dall’azzurro cristallino del mare, ma talvolta il non perfetto coordinamento, dovuto anche ai ritmi paesani del personale domestico, fa sì che il lavoro da fare diventi troppo. Senza considerare che spesso la vita sull’isola si rivela complicata dalla cronica battaglia con l’elettricità e il funzionamento a singhiozzo del wifi.
Ma tutto va avanti in qualche modo fino al giorno in cui un’elegante coppia britannica di mezza età, Lawrence e Pauline Treherne, proprietari di Branlow Hall, un rinomato hotel di charme sulla costa del Suffolk, arrivano al Polydoras all’improvviso, sollecitando il suo aiuto per rintracciare la loro figlia Cecily inspiegabilmente scomparsa. Ma perché hanno avuto l’idea di rivolgersi a Susan? Il motivo è legato a una lunga telefonata fatta da Cecily ai genitori prima di risultare irrintracciabile.
Proprio durante quella telefonata Cecily, scossa e turbata, avrebbe confidato ai genitori sorprendenti novità sullo spaventoso omicidio di un uomo, avvenuto il 15 giugno 2008 nell’albergo di proprietà dei Treherne, dov’era stato organizzato il suo matrimonio. Cecily è sicura di aver scoperto, in un romanzo di un celebre giallista ospite dell’hotel otto anni prima, alcuni precisi indizi in grado di gettare una nuova luce su quel delitto. Insomma, l’uomo che sta scontando la sua pena in prigione, condannato otto anni prima come assassino, non sarebbe il colpevole. Cecily ne avrebbe trovato una precisa conferma tra le pagine del libro “Atticus Pünd e il nuovo caso”, il terzo della serie del compianto romanziere Alan Conway, una reinterpretazione immaginaria del brutale fatto di cronaca che aveva rovinato irrimediabilmente la bella cerimonia nuziale e bloccato tutti i presenti, compresi gli sposi, fino all’arresto del colpevole. E visto che l’editor di quel libro, come peraltro di tutti quelli scritti da Conway, era stata Susan Ryeland, i coniugi Treherne ritengono che nessuno meglio di lei sia in grado di individuare la chiave della storia e, sperano, di aiutarli a rintracciare la figlia. Susan Ryeland, l’unica persona che sa tutto dei libri del celebre giallista.
Per convincerla a lasciare Creta e tornare in Inghilterra, mettono sul tavolo una proposta allettante: oltre alla ricca e confortevole ospitalità nel loro albergo, le pagheranno 10.000 sterline. Cifra notevole e benvenuta ragion per cui, visto che l’esperimento dell’albergo su Creta stenta a decollare e per ora le spese superano i guadagni, Susan decide di tentare l’impresa.
I Treherne si augurano che Susan, con in mano il libro di Conway, sia in grado di individuare quei particolari collegamenti, non facili da reperire ma cari all’autore, che le consentano di ricostruire l’identità del vero assassino e magari scoprire anche cosa sia successo a Cecily.
Pur sapendo che non sarà facile, Susan partirà per Londra. Là, recuperata da un garage la vecchia e amata MG rossa, raggiungerà il Suffolk in caccia di indizi. Tanto per cominciare deve intervistare le persone più rilevanti, sia per il crimine originale che per la scomparsa di Cecily. E, per impiegare proficuamente il suo tempo, dovrà provare a ricostruire minuziosamente fatti, episodi e particolari collegabili anche alla vita dello scrittore, che ricorda francamente spiacevole sia nel lavoro che nelle relazioni umane. Ma soprattutto dovrà incontrare e interrogare i personaggi locali con punti in comune con il Branlow Hall e i suoi dintorni. Ma l’accoglienza, permeata secondo i casi di curiosità, ostilità, evasività e prevaricazione, le darà presto la misura dell’aria che tira e dell’atmosfera che la circonda. La faccenda si fa complicata.
Tutto questo potrebbe farci venire voglia di cimentarci anche noi nel mistero?
Intanto sapremo che Horowitz, e Susan Reyland con lui, prima di rituffarsi nel libro che dovrebbe essere rivelatore, e cioè “Atticus Pünd e il nuovo caso”, impiegherà un bel po’. La nostra ex editor, che sta ricominciando a guardare con nostalgia (anche per banali motivi economici) al vecchio lavoro, si accingerà a intraprenderne la revisione più o meno alla metà di “I delitti della bella di notte”. Da qual momento i lettori attenti ammireranno il modo in cui Pünd, il detective assunto per indagare, ricorda il grande Hercule Poirot e come la stessa storia sembri un ritorno ai misteri intimi della nostra giovinezza (Conway “venerava Agatha Christie e spesso le rubava idee”, fa notare Susan). L’investigatore privato Atticus Pünd poi sembra proprio essere uscito direttamente dalle pagine di un classico mistery dell’età dell’oro. Brillante, arrogante, indiscutibilmente straniero, Pünd è orgoglioso di comprendere i meccanismi interni della psiche umana ed è incline a lanciarsi in aforismi spiritosi. Ma leggere “Atticus Pünd e il nuovo caso” non ci aiuterà a risolvere il mistero di “I Labirinti della notte”…
I pochi guizzi di comprensione del lettore non possono competere con Horowitz e le risposte salteranno fuori solo attraverso l’esperta analisi del testo fatta alla fine dalla geniale Susan…

Il Gigante e la Madonnina di Luca Crovi, Rizzoli 2022.
La statua d’oro lassù in cima, che posa il suo sguardo su Milano, potrebbe forse proteggere e, con la sua trasfigurata sapienza, guidare i passi di Carlo de Vincenzi un commissario retto che non accetta la prevaricazione.
Sono comunque certa che abbia dato una mano a Luca Crovi nello scegliere il commissario e poi trasformarlo nel tenue fil rouge che riesce a legare insieme le fiabesche storie di un re senza corona, di un nano e di un gigante e di un’immensa, splendida cattedrale costellata di statue, mai osservate con la giusta attenzione. Non rappresentano infatti solo santi, martiri e figure bibliche ma, figuratevi un po’, la newyorchese Statua delle libertà, il drago Tarantasio e un’immaginabile serie di statue di personaggi famosi: Dante Alighieri, Arturo Toscanini, Adamo e Eva, Abramo Lincoln, Re Vittorio Emanuele. Quella di Mussolini, dopo la caduta del Fascismo, è stata mascherata con barba e turbante. Alle spalle della Madonnina ci sono poi Primo Carnera e altri pugili, pronti a combattere. Troverete altre chicche, poste tra una guglia e l’altra, come una giovane donna di fronte a un uomo, entrambi seminudi, e poi racchette da tennis, attrezzi da montagna, palle da rugby, piccioni… Ah, persino un elmo romano. Se poi si guarda con attenzione a sinistra s’intravede la figura di un nano, che poi sarebbe il famoso cavallerizzo ed equilibrista Bagonghi che con i circhi ha girato il mondo intero.
Ma di là, accompagnati da Luca Crovi e dal suo narrare, scendiamo ed entriamo nella cattedrale, nel suo imponente e maestoso splendore, troppo spesso dovuta riconsacrare per la disperazione suicida di certuni, impotenti di fronte alle loro disgrazie… E magari dopo troveremo il tempo di lanciare un’occhiata alle figure di vecchie pagine di giornali che mostrano una stazione in fiamme e uno stadio affollato, con le tribune che cedono durante una partita dell’Ambrosiana…
Voltiamo pagina e troviamo la polizia all’opera perché una certa aria di ripulisti ha messo il commissario Carlo de Vincenzi e i suoi uomini in caccia di falsari. Ci vorranno tempo e giorni per capire il loro gioco, sventare gli imbrogli, trovare il covo dove agiscono e arrestare chi sembra al comando. Ma tra loro c’è qualcuno che vanta appoggi tra le alte sfere e nel nuovo partito al potere, dilagano incontenibili favoritismi e corruzione. Corruzione imperante che sferra colpi fatali e organizza ricatti, tanto condannati dal cardinale Schuster da fargli sollecitare un incontro in incognito per chiedere e fornire appoggio al commissario Carlo De Vincenzi.
Nel frattempo, sotto l’amorevole sguardo della Madonnina, il Giuanin d’Anzi, cacciato da scuola, ha imparato a suonare il pianoforte così bene da essere ammirato persino da Toscanini durante un concerto benefico presso il Teatro del Popolo dell’Umanitaria. E poi, fatta fortuna in Francia e divenuto il re della musica, è tornato a Milano per lavorare ma anche scrivere e dedicarle una canzone incomparabile. Mentre la portineria del condominio del commissario, diretta dall’amorevole e fattiva mano delle sciura Maria, continua a ospitare gustosi e cospicui festini gastronomici.
E anche Bagonghi a Milano c’è venuto, per scelta, lui Giuseppe Bignoli, meglio conosciuto come il nano Bagonghi. L’unico piccolo (75 cm.) in una famiglia di persone di normale statura che, da casa sua a Galliate, vicino a Novara dove era nato nel 1892, ancora ragazzino era scappato per lavorare in un circo. Si era persino sposato, ma senza fortuna. Anni dopo, ormai ricco e famoso, era arrivato a Milano, sistemandosi signorilmente in una villa e circolando tranquillamente per la città. Anzi, addirittura creduto un ragazzino, ha avuto l’occasione di incontrare e salvare dall’ira della folla il gigante buono Carnera ancora sconosciuto, poi boxeur di fama mondiale, nascondendolo nel lussuoso appartamento reale della nuova stazione centrale di Milano.
E ora, a maggio del 1932, i milanesi si preparano ad assistere al grande evento sportivo di quell’anno: il ritorno in patria e sul ring di San Siro di Primo Carnera.
Le sue gesta e le sue vittorie in giro per il mondo l’hanno trasformato in un simbolo dello spirito nazionale all’estero, in motivo d’orgoglio per l’intero Paese. Ciò nondimeno la vecchia e corrotta guardia fascista cospira ancora. Si vorrebbe scommettergli contro. Ma per fortuna c’è Bagonghi… E chi intendeva fregare Carnera era qualcuno con cui il commissario Carlo De Vincenzi, ormai noto come “il poeta del crimine”, aveva già avuto a che fare in passato…
La Madonnina continua a vegliare da lassù e ormai persino Mussolini osanna Carnera come l’incarnazione, la forza e il coraggio dell’Italia fascista…
Dopo i suoi due precedenti romanzi/compendio di storie milanesi, Luca Crovi riprende il filo della rimembranza che ci rimanda a quella Milano che fu a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta e all’immaginario poliziotto del giallo italiano Carlo De Vincenzi, creato da Augusto De Angelis, il protagonista di ben quindici gialli, ambientati per la maggior parte nella Milano degli anni trenta, in cui De Angelis ha fornito ben pochi cenni sulla biografia, carattere, e ancor meno sul fisico del suo protagonista.
Si sa solo che Carlo De Vincenzi era nato in una casa di campagna della Val d’Ossola. Aveva studiato in collegio e aveva frequentato legge. Poi aveva fatto guerra, congedandosi con il grado di tenente. Entrato in polizia, era diventato commissario e in seguito addirittura capo della squadra mobile di Milano. Scapolo, abitava a Milano in una casa di corso Sempione con la domestica Antonietta, che è stata la sua balia. Uomo riservato e taciturno, apprezzava molto la letteratura e l’arte, scriveva poesie da quando era uno studente universitario, leggeva le opere di Sigmund Freud e conosceva bene l’inglese.
Nota storica letteraria.
Nella serie che lo vede protagonista a Milano, De Vincenzi ha come principali collaboratori il vice commissario Sani e il maresciallo Cruni. In un paio di romanzi ambientati a Roma, dove De Vincenzi fu trasferito per un periodo, il suo collaboratore è il vice commissario D’Angelo.
Augusto de Angelis scrittore e antifascista fu ucciso nel 1944, dopo essere stato liberato da un’ingiusta detenzione a Como, da un milite repubblichino a calci e pugni.

Un saluto da Fabio, Jonathan e Jessica Lotti

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