Enrico Luceri
Il giorno muore lentamente
Il Giallo Mondadori 2022
Recensione e intervista di Roberto Mistretta
L’assassino agisce in fretta, quando uccide. Sicuro di sé, abile, fortunato, spietato. Eppure sono convinto che assapori lentamente le sofferenze delle sue vittime, accentuate dal piacere dell’attesa. È un boia che esegue una sentenza, pronto a uscire di scena non appena compiuta la sua missione. Una missione lunga come un’intera giornata. Un giorno che ora muore lentamente.
Il commissario Tonio Buonocore rimugina e continua a vedere svolazzare davanti a sé il filo dell’aquilone, un filo che cerca di afferrare ogni volta per decifrare il movente che arma la mano assassina. Come quella che sta compiendo delitti brutali cominciati col duplice omicidio a Ponticelli, quartiere popolare di Napoli. Omicidio per rapina sentenzia il Pm Pierannunzi, ma dopo averli uccisi, all’uomo sono state bruciate le mani e a sua madre è stata fracassata una gamba già offesa. Il commissario Buonocore sa per esperienza e buon senso, che non si ruba in casa dei poveri, né ci si accanisce contro i loro cadaveri. Quale antico movente muove dunque l’omicida? La risposta sta nell’ultimo romanzo di Enrico Luceri, Il giorno muore lentamente (Giallo Mondadori). In appendice, il prolifico autore romano regala ai lettori anche un racconto con gli stessi personaggi: “La fine della nottata”.
Enrico Luceri, già Premio Tedeschi Giallo Mondadori nel 2008 con Il mio volto è uno specchio, laureato in Ingegneria, è autore di romanzi, racconti e sceneggiature cinematografiche, e di un saggio sulla storia del cinema giallo, presentato sulla rivista Sherlock Magazine. Molte sue opere di narrativa e saggistica, pubblicate anche con il nickname Enricoelle, sono presenti su vari siti.
Come autore di gialli, predilige creare situazioni complesse di impronta classica, all’Agatha Christie, in cui il delitto rappresenta la conclusione di un dramma interiore avvolto nelle pieghe della coscienza e della memoria.
Un autore, insomma, il cui ricco curriculum parla da solo.
Lo abbiamo intervistato.
Enrico, torna il commissario Buonocore e torna Napoli. Tu pugliese di nascita, romano d’adozione, umbro per le vacanze, perché hai scelto la capitale partenopea per ambientarvi questa intrigante serie poliziesca?
In realtà io sono pugliese di famiglia paterna, ma nato e sempre vissuto a Roma, per quanto legato assai (come direbbe Buonocore) alla sua terra d’origine! Il soggetto del primo romanzo con Buonocore infatti era ambientato nel Salento. In seguito, concordai con il mio amico Nello Mascia, attore e regista, di scrivere una sceneggiatura ambientata a Napoli per un film che lui avrebbe diretto e interpretato nel ruolo del protagonista. Nello contribuì a definire il personaggio di Buonocore nei suoi tratti più caratteristici, come l’eterna sigaretta, il vezzo di disegnare i suoi interlocutori e la passione di girare in bicicletta per la città. Purtroppo non fu possibile realizzare il film, ma un giorno quella sceneggiatura diventò la base per il romanzo “Le colpe dei figli”, che rappresentò l’esordio del commissario Buonocore nel Giallo Mondadori.
Tratteggiamolo meglio il commissario Tonio Buonocore che succhia spesso liquirizia per non fumare e vede svolazzare aquiloni quando segue un caso. Raccontaci di lui quello che non sappiamo.
È un uomo molto riservato, che non ama parlare della sua vita privata, come ha precisato lui stesso esplicitamente nel racconto “Io e il commissario Buonocore”, pubblicato nel Giallo Mondadori in appendice al romanzo Linea retta. So che la moglie è mancata anni fa, ha due figli adulti e sposati che abitano e lavorano in altrettante città del centro Italia, considera i suoi collaboratori (l’ispettore capo Angela Garzya, ma lei preferisce essere chiamata Lina, e il sovrintendente Michelino Macchia) un po’ la sua famiglia. Può essere che in seguito si scopra qualche aspetto sorprendente della personalità o del passato del personaggio, sempre che sia necessario alla trama. Sono contrario (questo vale solo per me, rispetto chi sceglie diversamente) a raccontare la vita privata di un personaggio solo per fare “colore”, in questo senso ricordo sempre cosa rispose Giovanni Luigi Bonelli, cioè il creatore di Tex Willer, quando gli chiesero come mai il suo ranger galoppasse solitario o con i suoi pards per le piste del West, nel ricordo perenne dell’amata moglie scomparsa prematuramente e non provasse mai il desiderio di una nuova compagnia femminile. Bonelli spiegò che nelle sue storie c’erano le didascalie che scandivano il trascorrere del tempo, e cosa facesse Tex in queste pieghe nascoste era (appunto) solo la sua vita privata.
Presentaci meglio anche l’ispettore capo Lina Garzya e il sovrintendente Michele Macchia.
Lei lavorava all’U.AC.V. a Roma, all’epoca del caso Sorrentino, raccontato nel romanzo Le colpe dei figli, e fu trasferita a Napoli per collaborare all’inchiesta su iniziativa del sostituto procuratore Pierannunzi, con il quale Buonocore è spesso in disaccordo. Lo era anche su questa decisione, e rimane l’unica circostanza in cui cambiò idea in seguito, perché Lina è diventata ormai insostituibile, tanto da chiedere il trasferimento alla questura di Napoli. Possiede le competenze tecnologiche e la capacità di stabilire il profilo psicologico dell’assassino che completano le intuizioni investigative del commissario, il quale invece pratica un’indagine della vecchia scuola, che cerca e trova indizi determinanti in frasi, sguardi, gesti, informazioni in apparenza insignificanti. Lina è reduce da un sofferto e recente divorzio dal marito, poliziotto anche lui, esperienza che le fatto dichiarare: mai più storie con un collega! Soprattutto per proteggere il figlio Franceschino, ancora adolescente. Il suo aspetto fisico, la voce e l’inflessione dialettale sono simili assai a quelli della cantante Teresa De Sio, lei lo sa e le fa piacere. A Buonocore, i suoi capelli ricordano quelli di una nativa americana, così neri e lucidi da sembrare bluastri, e li apprezza assai (come me).
Il sovrintendente Macchia invece è un uomo corpulento che ha superato abbondantemente la cinquantina, si tinge i capelli e i baffi, e lavora con Buonocore da molti anni. Ormai il commissario si è messo l’anima in pace, come si dice: malgrado le sue sollecitazioni e per antica ammirazione, Michelino non gli darà del tu, ma del voi, tale e quale ai meridionali di una volta (come faccio io con vecchi amici e parenti di una certa età). Macchia vive con la sorella, ottima cuoca di pietanze tradizionali napoletane, che ospita a volte alla sua tavola anche lo stesso commissario.
Due figure complementari a quella del commissario Buonocore, legate a lui anche da una specie di affetto sobrio e asciutto, che in futuro potrebbero rimanere dolorosamente distaccate da una sua scelta incomprensibile (in un romanzo futuro dal titolo Miracolo crudele).
In questo romanzo, pur senza svelare troppi dettagli, diciamo che la serie di delitti prende abbrivio da un fatto di cui troppo spesso si occupano le cronache nere. Ma come nasce l’idea di un romanzo?
Sempre dalla mia stessa esigenza: coinvolgere i lettori, portarli a condividere le stesse emozioni dei personaggi. Sciogliermi dall’espediente canonico di stimolare la curiosità di scoprire quale sia l’identità dell’assassino. Scavare molto più a fondo. Portare alla luce la radice delle emozioni. La consapevolezza nascosta in ognuno di noi (anche e soprattutto coloro che lo negano) di aver subito un‘ingiustizia da chi amministrava un potere solo per abusarne, e proteggere i suoi complici. Costoro sono colpevoli, senza alcuna possibilità di perdono, di aver commesso un arbitrio, un crimine, ma la posizione sociale che hanno li fa sentire sicuri di evitare qualsiasi giudizio di condanna. Sbagliano. E lo pagheranno nell’unico modo possibile: con la vita. Chi di noi non ha mai pensato di essere stato danneggiato (a favore di qualcun altro, spesso per nulla meritevole), per arbitrio, capriccio, piacere di qualcuno che si sente un monarca circondato da cortigiani mediocri (altrimenti non sarebbero cortigiani)? Io offro ai lettori una realtà artificiale dove il monarca e i suoi cortigiani salgono le scale del patibolo, condannati da una corte che conosce una sola sentenza. Capitale. Tardi, sempre troppo tardi, costoro capiranno che bastava fermarsi un attimo prima di abusare di un potere, per evitare l’esecuzione di giustizia.
Dopo la prima fase, la cosiddetta ideazione, come pianifichi la costruzione delle trame per renderle così intriganti?
Amo scrivere e spero di riuscirci da professionista. Ma non è la mia unica attività. Lavoro da trentacinque anni in una società di ingegneria per otto ore al giorno, poi ci sono le necessità della famiglia e la mia vita privata. Quindi il tempo che mi resta per scrivere è limitato, e forse è giusto così. Devo organizzare la realizzazione di una storia per fasi successive. Prima scrivo un soggetto, da un’intuizione iniziale ed elementare della trama. Poco per volta, cresce fino a diventare completo. Poi definisco tutte le scene in ogni loro elemento: situazione, personaggi, atmosfera, ambientazione, clima, suspense, indizi da seminare (nascondendoli) e collegamenti con scene seguenti. Costruisco con pazienza un congegno simile a un orologio a carica di un tempo, dove il bilanciere, le ruote dentate, le lancette, il bariletto assolvono la loro funzione prima singolarmente e poi insieme. Come strumenti da accordare uno alla volta, e infine nell’orchestra. Racconto situazioni ispirato dalla cinematografia di genere che conosco abbastanza bene, creo prospettive, attraverso gli occhi dei personaggi. A questo punto, divido la scaletta in capitoli, stimo grazie a po’ di mestiere quanto deve essere lunga senza perdere ritmo e tensione, senza perdersi in descrizioni sterili. E finalmente comincio a scrivere il romanzo.
Secondo la tua ormai consolidata esperienza narrativa ai massimi livelli, cosa deve avere un buon romanzo per piacere ai lettori?
Grazie della tue bellissime parole che mi fanno tanto piacere. Io ho sempre bisogno di avere la fiducia, il sostegno, l’affezione di chi legge le mie storie. Può piacere (spero) solo un romanzo onesto. Che deve avere due elementi indispensabili: essere coerente e concreto. In altre parole: se è pubblicato con l’etichetta di un certo genere narrativo, rispettarne le caratteristiche essenziali. E poi sviluppare un’idea che abbia il respiro del romanzo, e non uno spunto esile che sia poi esasperato maldestramente per assecondare una certa esigenza autoriale di chi lo scrive. Costruire una struttura artificiale priva di sostanza, una cattedrale di panna montata. Forse bella a vedersi (ne dubito), ma senza fondamenta.
Ai tanti che ti guardano con ammirazione e un pizzico di invidia, cosa suggeriresti per rendere appetibili le loro storie?
Non credo di suscitare l’invidia di nessuno. Chi mi apprezza, non prova questa sensazione. Altri addetti ai lavori, diciamo così, detestano quello che scrivo perché detestano il giallo vero, quello che loro non sanno scrivere ma vorrebbero spacciare per tale. Di solito, è compito dei lettori risolvere questo equivoco, decretando con i loro acquisiti, il destino di edizioni, collane e autori. Quando leggo una storia, cerco di capire se nasce da uno spunto esile e sterile esasperato oltre ogni limite, e se rispetta i canoni del genere a cui aspira appartenere. Purtroppo, questa combinazione si verifica di rado, Quando si verifica, la storia è valida. Secondo me.
Il tuo commissario Buonocore lo abbiamo ritrovato anche nel racconto Il giorno non deve sapere che fa parte di Assassinii sull’Orient-Express, l’antologia che ha raggruppa dieci autori vincitori del Premio Tedeschi chiamati a fare indagare i loro investigatori sul treno del mito. Quali sono le difficoltà per uno scrittore di adattare il proprio personaggio al filo conduttore di un tema comune di un’antologia come quella?
La difficoltà per me non è tale. Si tratta solo di stimolare la fantasia, intuire un espediente narrativo, e analizzarlo con razionalità e freddezza, comprendere se può essere valido per i lettori (quelli veri della collana, che spesso non coincidono con il pubblico dei “social network”, per fortuna). Se non fosse tale, scartarlo e aspettare che l’immaginazione suggerisca l’idea migliore, un po’ come il filo dell’aquilone che appare davanti agli occhi del commissario Buonocore, e si lascia afferrare solo al momento giusto. L’ispirazione spesso giunge improvvisa e imprevedibile anche da narrativa o cinematografia di genere. Come accade in questo racconto, dove non a caso è citata una famosa trama di Agatha Christie che in Buonocore diventa un incentivo per una spiegazione ingegnosa del mistero.
Se potessi scegliere un tema comune per una nuova antologia di giallisti, cosa suggeriresti?
Roma e il Giallo, una coppia millenaria.
Giallo perché delitto, che in realtà significa crimine nel senso ampio del termine ma è diventato per abitudine sinonimo di omicidio.
Roma perché nel suo certificato di nascita compare anche questa parola: omicidio. Anzi, addirittura fratricidio. Interpretando a modo nostro la mitologia, o la storia che spesso vi sconfina, possiamo affermare che i genitori di Roma sono Romolo e la Morte. Di Remo, naturalmente, nel Giallo come nella narrativa non c’è posto per due padri.
Forse è proprio questa singolare coincidenza, credo unica nel destino di una città tanto antica, ad aver contribuito a renderla eterna. Perché la vita, perlomeno quella terrena ha una fine, la morte no.
Roma e il Giallo. Quello classico, perché Roma non è città da atmosfere e ambientazioni hard boiled, e se lo è stata, è durato poco, in confronto a poco meno di 2800 anni di storia. E se qualcuno obietta che esiste narrativa letteraria, televisiva e cinematografica che racconta una città di malavita organizzata, gangster, bande criminali, allora rispondo che sì, è vero, ma quella narrativa non è un Giallo.
Roma non è una metropoli europea come Milano, moderna anche nel crimine fin dai tempi di Giorgio Scerbanenco. Questione di atmosfera, ambiente, tradizioni, cultura.
O di vento?
L’avvocato Agnelli alluse all’effetto secolare dello Scirocco per spiegare certi bizantinismi della politica che gli parevano eccessivamente sottili, lenti, forse contorti. Parafrasando l’avvocato Agnelli, a Roma si sente l’effetto di secoli di Ponentino.
Perché se a Milano il crimine urla, a Roma sussurra.
Milano ha luci e ombre, che si stagliano nei loro profili netti.
Roma è città di chiaroscuro, che tutto rende ambiguo, incerto, difficile da decifrare. A Roma non si minaccia direttamente, con comportamenti violenti, sguardi spietati, frasi esplicite. A Roma si allude, con parole bisbigliate, occhiate impassibili ma eloquenti, gesti sornioni.
E il sussurro esplode più violento di un grido, in un giallo autentico.
Salutiamoci raccontando qualcosa ai nostri lettori del nuovo romanzo con protagonista il commissario Buonocore. Cosa ci riserverai stavolta?
Una vedova di 65 anni giace morta nel suo signorile appartamento del Vomero, a Napoli. Una rivoltella di piccolo calibro, una ferita alla tempia. Suicidio, sentenzia il medico legale, sostenuto dal magistrato, provocato dalla diagnosi inesorabile di una malattia neurologica. Un quadro della Scapigliatura, una cartella clinica, una sensazione, un biglietto strappato, qualche frase ambigua bastano al commissario Buonocore per sospettare un omicidio, scatenato da un sentimento antico come il mondo. E ha ragione. Ma deve arrivare alla verità senza fretta, perché Il tempo corre piano, come il titolo del romanzo in edicola nel 2023.