Letture al gabinetto di Fabio Lotti – Giugno

OLYMPUS DIGITAL CAMERALa riunione gabinettistica condominiale è andata a puttana (pardon) per una di quelle cause insite nelle cose stesse. Eravamo tutti abbioccati sotto l’influsso ipnotico delle poesie d’amore declamate dalla sora Cecilia, una stagionata zitella dagli occhi a lemure che lo farebbe di pasta se potesse (si mormora che ci abbia provato anche con il prete), quando è arrivato il sor Quintilio, soprannominato “Puzzola” con quel che segue. Appena appoggiato il deretano elefantiaco sulla tazza l’esplosione è venuta al primo contatto suscitando terrore e scompiglio fra la compagnia dello sciacquone. Un fuggi fuggi generale peggio che se fosse scoppiato il terremoto con calzoni, gonne e mutande tenuti su alla bell’e e meglio, culi pallidi e flosci rigati di rosso, piselli raggrinziti (ad eccezione del ciondolante lombricone del sor Pasquino) e passere spennacchiate a filare via spediti come una tribù di anatre starnazzanti. Io sono rimasto fermo e tetragono al mio posto che il comandante non lascia mai la nave che affonda (Schettino conferma la regola). Ho avuto un attimo di sbandamento senza respiro, ho barcollato, sono caduto sbattendo la fronte sul bordo di una tazza e lì sono rimasto per un tempo indecifrabile. Ho ripreso conoscenza nel letto della mia casa con la figliola che sbraitava non so quali terribili minacce e la mogliera che scuoteva il capo come un albero sotto la tempesta. Ho capito, però, che non devo più andare a quelle stupide e zozze riunioni. Vedremo. Sono ancora un osso duro e la cultura va dispiegata dovunque.

Come sfruttare la realtà? Se in giro ci sono sempre più spesso donne picchiate e violentate dal maschio di turno ecco l’idea della vendetta. Più precisamente Le vendicatrici, un ciclo di quattro libri (addirittura) a firma di Massimo Carlotto e Marco Videtta per Einaudi Stile Libero. Da qui a novembre. Magari l’intenzione è buona (per carità), i libri saranno ottimi (di sicuro) ma tutta l’operazione mi lascia perplesso (colpa della vecchiaia).
Se a ciò si aggiunge, sullo stesso tema, Le Vendicatrici di autori vari (Cut-Up edizioni) la perplessità aumenta.

Ho visto Inferno di Dan Brown in libreria. L’ho lasciato lì.

Invece penso che prenderò (quando il borsellino tirerà un po’ il fiato) Il seguito dell’Iliade di Quinto di Smirne che l’epica mi è sempre piaciuta e pare prometta bene anche se l’autore è un tantinello invecchiato (ma forse promettente proprio per questo).

Dopo le sfumature ecco Vagina di Naomi Wolf. Aspetto con ansia il seguito Pene e Deretano.

Spiluzzicature:
Questa volta le ho fatte a casa. Ho preso dallo scaffale con somma cautela (i libri sono stracolmi degli stramaledetti acari che mi creano problemi) Romanzi e Racconti di Raymond Chandler a cura di Stefano Tani, Mondadori 2005 (famoso Meridiano!) e mi sono messo a scartabellare in qua e là su pezzi letti e riletti, con somma, ineguagliabile goduria. Non contento ho tirato giù con il fazzoletto sulla bocca a mo’ di bandito anche il Maupassant dei racconti e ho passant (una cazzata passantatemela) un paio di serate sulla tazza saltibeccando felice come un passero. Tra l’altro senza figlia e moglie tra i piedi!

Cinque strade per il delitto di John Bingham, Mondadori 2013.
“Io sono, credo, l’unica persona in grado di registrare tutti i fatti che concernono Philip Bartels. Ogni altra persona crede di conoscerlo, ma non è vero. Per cominciare, non sa che io sono, immagino, un assassino; più esattamente uno che ha compiuto il suo delitto sotto gli occhi di un funzionario di polizia il quale, sino ad oggi, è assolutamente all’oscuro di questa circostanza”.
Siamo a pagina diciannove e la cosa comincia a solleticarci. Già abbiamo alcune informazioni attraverso i ricordi di questo narrante così “particolare”. Intanto Bartles era il suo migliore amico, non bello, un po’ buffo, bocca larga, capelli ritti sul cocuzzolo, aborriva la pena per ogni essere vivente. In seguito arriveranno altri particolari.
Lo incontra a dieci anni, perseguitato a scuola dai compagni e da lui stesso, perde i genitori a tredici anni, vive con gli zii, si sposa con Beatrice Wilson. C’è, però, di mezzo Lorna Dickson di cui si innamora e da qui cominciano i guai perché Lorna piace anche al nostro “assassino”.
Non posso dire di più. Un viaggio lucido e allucinante nella mente e nel cuore dei due personaggi, un continuo riflettere, esplorare in profondità in stretta connessione con gli eventi narrati e con i ricordi che affiorano corposi. Storia interna-esterna che ti invita a pensare sull’imperscrutabile e diabolico mondo dell’animo umano.

Taglio netto di Leigh Russell, Mondadori 2013.
Cittadina di Woolsmarsch piena di contrasti: ad est prostituzione e droga, ad ovest benessere e ricchezza.
Un serial killer problematico (altrimenti non sarebbe un serial killer) che uccide, strangolandole, ragazze bionde, la polizia a dargli la caccia attraverso soprattutto l’ispettore Geraldine Steel (il collega che fa coppia con lei, il sergente Peter, rimane ai margini), un giornalista ambizioso in cerca di notorietà e promozioni, una folla impaurita e inferocita. Questi gli ingredienti principali.
Vediamo un po’ di aggiungere qualche altro elemento partendo da Geraldine. Lasciata da Mark dopo sei anni perché troppo presa dal lavoro alla squadra omicidi del South East, genitori separati, sorella e nipotina, una figura piuttosto isolata e chiusa in se stessa, rimugina di continuo sui delitti, non riesce a rilassarsi e a dormire, si lascia guidare troppo dall’intuizione (lavata di capo dal superiore). Inizio di una storia sentimentale con il collega sergente Carter.
Subito sospettato il fidanzato della prima ragazza uccisa, un tipo manesco e violento. Poi, finalmente, arriva un particolare importante che emerge dalla deposizione di una insegnante. Il racconto si muove lungo direzioni già ampiamente codificate: le riunioni della polizia per fare il punto della situazione, le azioni del giornalista arrampicatore, la vicenda dell’assassino di cui si ripercorre la vita e i traumi, i “momenti” delle vittime prima di essere uccise, le minacce a Geraldine, l’epilogo finale movimentato e pericoloso.
Tutti elementi necessari alla confezione di un buon thriller.

L’ultima tappa di Anthony Berkeley, Mondadori 2013.
Siamo a Londra. Più precisamente in una villa di campagna nei dintorni della città. Grande festa in costume dedicata al delitto, gente vestita da assassino e da vittima. Per completare il quadro sul tetto una forca da cui pendono tre manichini.
La villa appartiene a Ronald Stratton, scrittore di romanzi polizieschi, divorziato e fidanzato con la signorina Lefroy, separata dal marito. Qui c’è anche, come ospite, il nostro Roger Sheringham, criminologo di fama che ogni tanto aiuta la polizia nei casi più spinosi. Fratello di Ronald è David sposato a Ena, personaggio “matto” che si pone al centro dell’attenzione del lettore e di tutti gli invitati: ventisette anni, esibizionista (“Ero un’attrice”, sospira) con la mania del suicidio, non vuole assolutamente che Ronald si risposi, si mette in mostra, si annoia, vuole andarsene dalla festa, non se ne va, se ne va, attacca bottone con lo stesso Roger, “attacca” con il dottor Chalmers. E a lui “Vuoi che mi impicchi?”, “Sì”, le risponde.
E impiccata viene trovata. Sulla forca al posto di un pupazzo. Suicidio o omicidio? Ma la sedia che doveva essere per forza sotto la forca perché non c’è? Ad indagare Roger tra una bevuta e l’altra di birra e l’ispettore Cramer “simpatico, gentile, conciliante” (due figure un pochettino scialbe).
Non posso aggiungere altro. Rilevo solo una iniziativa “particolare” di Sheringham. Congetture, ipotesi, supposizioni, certezze che svaniscono fino allo stupendo finale che scombina tutto.
Da artista.

La tabacchiera avvelenata di Richard Hull, Polillo 2013.
Villaggio di Scotney End. Henry Cargate, odiato da tutti, trovato morto in una carrozza ferroviaria dopo avere fiutato dalla sua tabacchiera il tabacco, in cui era mischiata anche polvere di cianuro di potassio, da lui stesso fatta acquistare per distruggere un nido di vespe. Si sospetta l’assassinio e una persona, di cui non si fa il nome (lo sapremo alla fine), è già sul banco degli imputati. Pubblico accusatore Blayton, avvocati difensori Vernon e Oliver, il giudice Smith che presiede il processo.
La vicenda si svolge su due piani temporali: l’andamento del processo in diretta con gli interventi dell’accusa e della difesa e il resoconto delle passate indagini condotte dall’ispettore Fenby di Scotland Yard “un uomo tanto coscienzioso quanto metodico, e trovava spesso che mettere le cose nero su bianco gli era di grande aiuto nel consentire di chiarire le sue idee”. Indagine difficile perché il morto, come già detto, suscitava antipatie dappertutto e, secondo il suo fornitore Macpherson, aveva pure contraffatto alcuni francobolli di valore.
Si tratta della classica ricostruzione minuziosa di orari e spostamenti con continui interrogatori, ipotesi, dubbi, ripensamenti e un occhio buttato anche sul giudice e sul dibattito nella giuria. Conclusione sorprendente con la domanda se si possa in qualche modo condizionare un processo.
Un bel malloppo di dati da masticare e digerire. Ci vuole pazienza e una certa propensione a questo genere di racconti. Allora si può rimanere veramente soddisfatti. Altrimenti, come diceva la Mondaini, che barba che noia che barba che noia…

Uomini e cani di Omar Di Monopoli, ISBN edizioni 2013.
Quando trovo un libro che mi prende non ho troppa voglia di farne il riassunto per i lettori. Insomma una recensione vera e propria con tutti i crismi. Mi viene, invece, l’istinto di buttare giù quello che sento senza pormi troppi problemi. Sbagliato, forse, ma è così.
Dunque siamo nel Salento, più precisamente nel comune di Languore dove si cerca di trasformare una salina in un parco naturale. Arrivano i divieti, le espropriazioni, la legge, insomma, a mettere a nudo una società fatta di violenza, abusivismi e situazioni ataviche incrostate nel tempo. Ognuno cerca di difendere quello che ha, magari sparando a chi cerca di cambiare le cose e imprigionando chi rimane vivo.
I personaggi sono colti nella loro concreta brutalità, nelle loro pose disgustose, negli istinti viscidi: il guardone di froci e coppiette che si tira una sega, l’omaccione che costringe il giovane ad esaudire le sue voglie malate, il maschilista violento, l’aizzatore di cani feroci e così via. Uomini e cani e non si sa chi sia l’animale.
Pure il paesaggio contribuisce a creare un’atmosfera dura e schifosa con la spazzatura, le erbacce, il letame, le zanzare, i moscerini, lo scirocco che mulina, gli scarichi che puzzano, l’arrivo della tempesta. Pochi momenti di stasi, di riposo, di calore umano con qualche lacrima che scorre per un abbraccio, per un ricordo, per un affetto che se ne va. La prosa ricca, quasi lenta, sorniona e avvolgente ma nello stesso tempo secca e precisa al bisogno, che lascia il segno sugli uomini e le cose. Con la nemesi pronta a prendersi, bastarda pure lei, la sua sanguinosa rivincita.
Qui è terra maledetta impermeabile al progresso dove i poveri sono veramente poveri, dove la politica famelica ha spolpato tutto, ha arraffato quello che poteva e ora non ci si può preoccupare per un paio di uccelli e per qualche papera spennacchiata a danno degli esseri umani. E Sputazza, unico che mi viene di citare, non si muove dalla sua casa “il fucile levato, lucente, pronto a far fuoco”. Che vengano a prenderlo.
Ma non siamo nel West. Siamo nel Salento. La nostra terra. La nostra magnifica terra.

«L’ho uccisa perché l’amavo». Falso! di Loredana Lipperini e Michela Murgia, Idòla-Laterza 2013.
Non è un giallo, non è un thriller, non è un noir. È una storia vera di omicidi. Assassino l’uomo, vittima la donna. Un numero sempre crescente in aumento. Centinaia all’anno. Una strage, un femminicidio. Donne abbandonanti, uomini abbandonati.
Da qui un momento di pausa, di riflessione. Anche di accusa da parte delle due autrici. Intanto non è la natura che fa gli uni diversi dalle altre. È la cultura che conta. Stereotipi da tutte le parti come i maschi predatori e le femmine predate. Fin dalla nascita. La morte della donna è sempre bella e avvincente. Basta solo qualche esempio, tra gli innumerevoli, nella letteratura, nella poesia, nel teatro, perfino nella musica. Voluttà e strazio nella morte femminile se ne trovano a iosa e la carezza nel pugno di Celentano è lì a ricordarci il problema.
Di converso si dice che gli uomini ammazzano perché fragili e ad aprire il conflitto sono state le femministe che negano l’ordine naturale dei sessi. C’è pure tra le donne chi sostiene questa tesi. E poi, via, la statistica non è così diversa da quella delle altre nazioni. Anzi il numero delle donne uccise in Italia sembra addirittura minore. Il femminicidio non esiste.
Io non voglio bloccarmi sulla terminologia, sulle definizioni. So per certo, tuttavia, che una caterva di donne vengono picchiate, violentate e uccise dagli uomini. Questo è un dato di fatto che pone un problema inquietante di cultura e di rapporto civile nella nostra società e ben vengano libri come questo a farci pensare, a farci riflettere su un fenomeno che non può essere trascurato se non, addirittura, messo da parte. Purtroppo è cronaca di tutti i giorni.

Bloodman di Robert Pobi, Mondadori 2013.
Jake Cole, agente speciale dell’FBI, ritorna a Montauk, Long Island, dopo trent’anni per seguire il padre Jacob, famoso pittore colpito dall’Alzheimer che si trova in ospedale (si è dato fuoco e gettato da una vetrata). In arrivo un terribile uragano e nello stesso tempo una donna e il suo bambino vengono scuoiati vivi. Urge il suo aiuto alla polizia locale.
Jake, tratti marcati, occhi neri inespressivi, vistoso tatuaggio, vita passata tra coca ed eroina, apparecchio sotto la clavicola contro gli attacchi cardiaci, lettore di Dante e della Divina Commedia (pure uno spunto su Sherlock Holmes). Ha la capacità di immedesimarsi nel colpevole (“Il suo vero, grande dono, perfino più grande del talento del padre, consisteva nel saper dare forma e colore ai momenti finali delle vite altrui”) e capisce subito che si tratta della stessa mano dell’assassino che aveva colpito sua madre tanti anni fa (delitto insoluto).
Moglie Kay e figlio Jeremy, sesso ai limiti. Altri personaggi: sceriffo Mike Hauser, agente William Spencer vecchio amico di scuola, dottoressa Nancy Reagan, David Finch il “primo gallerista a scommettere su Jacob”, lo zio Frank.
La vicenda si “arricchisce” di altri morti ammazzati e scuoiati vivi, numerosi flash back, ricordi inquietanti come quello del cane Lewis trovato sgozzato quando era ragazzino.
Ritmo serrato e avvolgente in stretto rapporto con l’uragano che si fa sempre più forte. Misteriosi dipinti del padre con orribili figure senza volto (quello dell’assassino?) che assillano la mente di Jake la cui famiglia si trova in pericolo.
Una storia costruita su piloni ormai consolidati da tempo, ricca di mistero, suspense e azione con il nostro eroe tormentato tra passato e presente. Finale frenetico e piuttosto prevedibile.

Presento con piacere un contributo del nuovo gabinettaro scacchista Alessandro Colosimo, ovvero Zenone, che scrive su http://soloscacchi.altervista.org/
Vi sono libri che rischiano di passare inosservati perché fuori dalla grande distribuzione organizzata o non supportati da particolari flussi culturali. Questo va a nocumento sia dell’autore, consapevole della difficoltà ad essere conosciuto, sia del lettore, inconsapevole di non avere potuto leggere qualcosa di buono. Nel caso del libro che vi voglio proporre per questo mese di giugno, Cactus di Massimo Mannucci (Casa Editrice Fiorentina, anno 2006, pagg. 128 e in ebook anno 2010), a guadagnarci è anche una nobile causa, dato che i proventi della vendita sono devoluti alla Lega Italiana Fibrosi Cistica.
Cactus è una raccolta di otto racconti noir, alcuni molto brevi, con protagonisti uomini che, per cause diverse, diventano criminali. Il filo conduttore, infatti, non è tanto il crimine tout court ma l’uomo che c’è dietro e l’ambiente che induce i protagonisti negativi di ogni racconto a quei comportamenti antisociali. Vi sono evidentemente vittime dirette dei crimini commessi ma anche quelle indirette, in questo caso anche gli stessi autori. Lungi però dall’indulgere pro reo, l’autore, che è anche un magistrato in attività, ci propone tipi criminali che vengono spesso travolti dalle piccole o grandi macchinazioni da loro stessi messe in atto o dalle loro inadeguatezze, ma non c’è giudizio né morale né giudiziario in questi racconti, solo la volontà di scavare nella psicologia dei personaggi. Queste otto pugnalate nell’anima del lettore vengono inferte dall’autore con maestria, sia con la narrazione in prima persona  (e questi sono i racconti più riusciti) sia con l’onniscienza dello scrittore.
Cosa rimane alla fine della lettura? Amarezza per vicende criminali che sembrano incredibili ma che, purtroppo, sappiamo essere reali. Delitti che vengono puniti e “definiti” dalla Società nell’ambito asciutto delle regole giudiziarie e che nascono, crescono e sono la conseguenza, dell’aridità dei sentimenti, proprio come un Cactus nel deserto.

Un breve spunto anche da parte di Stefano Bellincampi, responsabile del blog Scacchierando (si capisce che sono un appassionato di questo gioco?).
Tra i libri che ho letto nell’ultimo anno mi ha colpito particolarmente 22/11/63 di Stephen King, Sperling & Kupfer 2011, nel quale il protagonista torna al 1958 (stesso anno del film Ritorno al futuro!) e trascorre 5 anni nel passato allo scopo di tentare d’impedire l’omicidio di John Kennedy. Il filone dei viaggi nel tempo mi ha sempre affascinato e questo libro non ha tradito le attese: l’ho letto in pochi giorni nonostante la lunghezza, è appassionante, con parecchi colpi di scena e un bel finale, descrive molto bene la provincia americana dell’epoca. Penso che quest’opera abbia segnato il ritorno di King ai livelli che gli competono.

Termino con la nostra affezionatissima Patrizia Debicke (la Debicche)

Sangue giudeo di Luca Filippi, Leone Editore 2012.
Mi piace definire questo romanzo di Luca Filippi (il dottore che scrive) un accurato giallo storico, arricchito da un’interessante versione medico legale, thriller. Con il suo Sangue giudeo l’autore (un esperto del ramo) ci ripropone il suo collega rinascimentale, Tiberio da Castro, coinvolto in un’indagine sulla spaventosa uccisione di una ragazza ebrea sul cui corpo l’assassino ha inciso una misteriosa XP, che sta per Christos in greco. Ma gli ebrei di Roma, in quanto fonte tributaria della ventesima, stanno  molto a cuore al papa Borgia e a suo figlio Cesare, il Valentino, che deve finanziarsi le guerre di conquista italiane. E proprio dal Valentino Tiberio da Castro ha avuto l’ingiunzione di scoprire il colpevole e risolvere il caso. Boccone amaro da ingoiare, ma Filippi gratifica il suo protagonista con una spalla per le indagini, e che spalla: la Leonessa, ovverosia la bella e famosa contessa Caterina Sforza (vedova Riario, vedova Feo e vedova Medici), condotta prigioniera a Roma. Caterina Sforza, figlia di Galeazzo e nipote del grande Lodovico il Moro, la maestra di ricette di cosmetica, di incanti e di alchimia, gli rivelerà che l’arma del delitto è l’arsenico ma, meditando la fuga, lo trascinerà con la magia della sua persona nella mortalmente pericolosa spirale di un complotto, mentre l’assassino di ebrei continua a uccidere.

Un caro saluto da…
Fabio, Jonathan e Jessica Lotti

8 Comments

    1. Dopo un anno di letture al gabinetto, posso affermare senza tema di smentita che Fabio Lotti ha numerosi fan, e che la mogliera farebbe bene a tenere gli occhi aperti 😉
      Grazie per essere passata a commentare; magari prima o poi vorrai mandarci qualcosa delle tue letture al gabinetto, Luisella?
      Un caro saluto 🙂

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  1. Un saluto e un ringraziamento ad Annalisa che ha accettato il mio invito. Con quello della Pimpi già due interventi. Se me ne arrivano anche un altro paio siamo a posto. Ancora la Buccherina non sa niente ma sono sicuro che approverà.Praticamente una sorpresa.

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  2. Buonasera come curatore dell’antologa “Le vendicatrici” edita dalla Cut Up vorrei sprecisare che l’idea del libro risale al giugno 2010 e l’ultimo racconto ‘è arrivato a giugno 2012. Quindi ben prima di certi clamori. La invito a leggere il libro prima di esprimere opinioni a riguardo. Grazie.

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    1. Quale “opinione” è stata espressa, esattamente, che non le garba? Perché mi sembra che Lotti si sia limitato a esprimere una certa perplessità sul fatto che un tema di cronaca sia “cavalcato” dagli scrittori e dagli editori. Io, ad esempio, sarei stata ancora più drastica sull’argomento. Per esprimere un’opinione del genere non occorre aver letto il libro, basta vedere il modo in cui viene presentato.
      Questo senza nulla togliere alla bravura degli autori, alcuni dei quali di mia diretta conoscenza.

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