Dina Ionesco, Daria Mokhnacheva, François Gemenne
Atlas des Migrations Environnementales
Presses de la Fondation nationale des sciences politiques
2016 (in francese)
Pagine 151 (grande formato)
Euro 24
Scienza
Recensione di Valerio Calzolaio
L’aggettivo “ambientale” associato al migrare, in particolare ad alcune migrazioni forzate, viene oggi spesso usato dagli organismi internazionali e nelle ricerche accademiche. Le più forti impronte delle attività umane contemporanee sul clima hanno suggerito una categorizzazione, in particolare per le migrazioni ambientali forzate, cioè le migrazioni da ecosistemi divenuti inospitali a causa di comportamenti umani non violenti. Eventi geofisici e climatici provocano vittime e profughi. Grazie soprattutto ai dati raccolti dall’International Displacement Monitoring Centre (Idmc), è ormai possibile conoscere quantità e geografia dei delocalizzati a causa di eventi estremi climatici e geofisici, o di piú repentini inquinamenti e siccità. Dal 2008 al 2014, a causa di disastri di varia entità sarebbero stati delocalizzati (allontanati dalla loro residenza) oltre 185 milioni di individui umani in almeno 173 differenti paesi, una media di circa 26,4 per anno, con perdite economiche ingentissime. Le cifre annuali sono abbastanza disomogenee: si conterebbero 36,5 milioni di profughi ambientali nel 2008, 16,7 nel 2009, 42,4 nel 2010, 15 nel 2011, 32,4 nel 2012, 22,3 nel 2013, 19,3 nel 2014. Sono numeri che grondano dolore e sangue. Possono essere elaborati e comparati sul piano storico ed evoluzionistico (il clima ha sempre indotto mobilità di specie), sul piano scientifico (i fattori “ambientali” hanno tempi e modi differenti), sul piano culturale interdisciplinare (vi è sempre una multicausalità nell’emigrare), sul piano giuridico e istituzionale: la gestione equa e solidale dei flussi migratori, come chiede l’Onu nei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2016-2030.
All’inizio del 2015 l’International l’International Organization for Migration, IOM (organizzazione con 149 Stati membri), ha creato una divisione specifica su “Migrazioni, ambiente e cambiamento climatico”, rafforzando anche la collaborazione con università di vari paesi e con strutture dell’Onu (come la Convenzione per la lotta alla siccità e alla desertificazione, Unccd). Un anno dopo, a inizio 2016, tre ricercatori (una dirigente proprio di quella divisione Iom e due dell’autorevole facoltà parigina di Scienze Politiche) hanno realizzato questo bell’atlante globale delle migrazioni, con particolare attenzione a quelle “ambientali”. Da circa trent’anni l’espressione si utilizza per distinguerle da quelle “economiche”; in realtà tutto (nel migrare) è sempre intrecciato. Le migrazioni sono sempre e comunque ambientali, causa ed effetto di cambiamenti negli ecosistemi di partenza, di arrivo, di transito. La migrazione assolutamente “forzata” è una fuga e, nel corso del tempo, ha comunque componenti economiche e sociali. Perciò dovrà presto essere presa in considerazione l’esigenza di prevenire o assistere tutte le migrazioni forzate, in particolare quelle provocate dai cambiamenti climatici di origine antropica, e di gestire i flussi con politiche di migrazioni “sostenibili”, consapevoli della libertà di migrare, sancita dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani. Il volume è caratterizzato da un eccellente apparato cartografico, più di 100 mappe e grafici, precise e funzionali rispetto a testi chiari, completi e sintetici.