Donato Carrisi
L’uomo del labirinto
Longanesi, 2017
Noir Hard-boiled
Un non-luogo: una città dove, a causa delle alte proibitive temperature, le autorità raccomandano alla popolazione di dormire di giorno e tengono aperti solo di notte uffici pubblici, tribunali e scuole, con conseguenti turni di ospedali, polizia e vigili del fuoco, orari di società private, negozi e centri commerciali; nomi e cognomi meticci, anglofoni perlopiù. Oggi: i giorni apocalittici dei cambiamenti climatici globali contemporanei. La 13enne Samantha Sam Andretti era stata rapita il 23 febbraio di quindici anni prima, faceva la seconda media, giocava a pallavolo e uno dei ragazzi più carini della scuola proprio quel giorno aveva chiesto di parlarle tramite interposti amici. Stava verificando fondotinta e capelli (castani) sui finestrini a specchio di un minivan bianco; qualcuno con una maschera gigante di coniglio l’aveva trascinata dentro, rinchiusa, tenuta poi in cattività in una specie di labirinto, con efferatezze varie (sevizie, abusi, inganni e giochi crudeli). Ora, non si sa come, è riuscita a fuggire, nuda, con tante escoriazioni e una gamba rotta; l’hanno portata in ospedale; gli immensi cumuli di farmaci ipnotici e la lunghissima durata di prigionia grigia (ha addirittura partorito?) renderanno lento e incerto il recupero fisico, psicologico, sociale. L’investigatore privato Bruno Genko ascolta la notizia, a suo tempo aveva cercato il sadico per conto del padre, era uno dei pochi casi che non aveva risolto. Ora è a fine corsa e ritira fuori le carte, cerca i poliziotti coinvolti nel caso. Sono appena scaduti i due mesi di vita che i medici gli hanno dato per la sua incurabile malattia (un batterio infetto nel pericardio). Ogni attimo in più è un’incognita e una sorpresa. Li dedicherà a indagare e, a fatica, troverà tracce per capire chi possa essere il coniglio, uno fra i tanti che purtroppo si dedicano a schiavizzare i figli del buio.
L’ottimo sceneggiatore (originariamente) Donato Carrisi (Martina Franca, 1973) ha avuto enorme mondiale successo dal suo peculiare modo di raccontare il lato oscuro della mente umana, sia con i premiati romanzi (dal 2009, questo è l’ottavo) sia con il recente film (del 2017, tratto dal sesto). I protagonisti sono i due sopravvissuti, narrati in terza varia (talora in prima la ragazza che non è certa di poter e voler davvero ricordare quanto accaduto), anche se vien presto fuori che anche Mila, Maria Elena Vasquez (eroina di due precedenti libri), stava indagando sul caso e che “l’uomo” del titolo è il rapitore carceriere, evidentemente uno di quelli con una vita normale, in apparenza. Pare siano tanti nel mondo i casi di bambini segregati in tane sotterranee, sepolti vivi da sadici “virtuosi” che non si accontentano di uccidere, si nutrono della paura permanente che inducono, vogliono costringere le vittime ad atti abominevoli, tenerle plagiate, consolandole (e consolandosi così) per il fatto di essere dei mostri. Alla lunga, il grigio rende mansueti. Come nelle opere precedenti, il mostro genera mostri, il meccanismo è a terribili scatole cinesi, si è sempre dentro una pessima matrioska russa più grande, anche se non è possibile rendersene conto ogni volta. L’ambientazione è di edifici, strade, ponti, paludi, campagne, neve, pioggia, sole; niente di denominato geograficamente, niente mappe, niente che consenta di rassicurarci. Il primo autentico “labirinto” è sempre nella nostra mente, lì l’autore vorrebbe portarci, dove i nomi non hanno alcuna utilità e, come dice la suora, “Dio è un bambino, non lo sapeva? Per questo quando ci fa del male non se ne rende conto”. Bruno si diletta ancora un poco con la tequila e il Bach di Glenn Gould.
(Recensione di Valerio Calzolaio)