Letture al gabinetto di Fabio Lotti – Luglio 2019

Questa volta mi sono buttato sulle canzoni. Così, d’istinto, senza un piano preciso. Saltando di qua e là come un fringuello spensierato da un ramo all’altro. Ho rivisitato con l’animo in subbuglio vecchie canzoni che mi hanno riportato alla mente vecchi ricordi, e canzoni moderne, modernissime per non fare brutta figura con il mio nipotino. Canzoni melodiche, jazz, rock and roll, twist, pop, rap, strane, stravaganti, e chi più ne ha più ne metta. La musica, la musica che ti entra dentro a scioglierti un poco, a commuoverti, ma anche a scuoterti, agitarti, a farti sorridere e ridere. Quante canzoni e quanti cantanti! (maschi e femmine, s’intende). Vivi e concreti ma anche morti stecchiti che pulsano ancora dentro di me. Una nota, un volto, un gesto, un movimento, un acuto, uno scatto rimasto nel cuore che riaffiora improvviso. Mamma mia…

Pizzica amara di Gabriella Genisi, Rizzoli 2019.
E presentiamolo subito il nuovo personaggio di Gabriella Genisi, dopo la dirompente commissario Lolita Lobosco dei lavori precedenti. Ovvero il maresciallo Chicca Lopez “Piccolina sì, abbronzata, i capelli lunghi trattenuti da una coda. E carina forte, con quell’aria un po’ orientale. Ma tutta un fascio di nervi e muscoli scattanti, con una voce d’acciaio. Una di quelle piene di tatuaggi sotto la maglietta, se solo il regolamento non lo vietasse espressamente.” Insomma una specie di Soldato Jane con un passato tremendo alle spalle. Figlia unica di ragazza madre, lasciata dai genitori ai nonni e alla loro morte in una casa famiglia. Vive a Gallipoli insieme a Flavia, una biologa più grande di dieci anni.
All’inizio impegnata nella lotta contro il degrado della Terra dei fuochi e contro chi cerca di occultarla. Scrive perfino al ministro dell’ambiente per far luce su un Salento “oscuro e profondo” (ricordi dolorosi della cugina Caterina morta di leucemia). Per i suoi meriti diventa maresciallo al comando provinciale di Costadura e subito deve vedersela con il trafugamento della salma di Conte Tommaso fu Cataldo e con la morte (strangolamento, poi annegamento) di una ragazza alla Marina di Torre Chianca. Ma non finisce qui, perché arriva pure l’impiccagione di una ragazza in zona Castello, studentessa al liceo Pascoli, figlia di genitori abbienti. Ciò che lega i casi è un tatuaggio sul corpo, una semplice croce greca gemmata. A tutto ciò si aggiunge una serie di fatti precedenti, incredibili e inquietanti “Carcasse di animali avvolte in drappi scuri, ossa mescolate a cera di candele, persino un paio di taniche di una roba maleodorante che sembrava sangue”, ragazzini, seguaci di Marilyn Manson, ipnotizzati dal rock satanico, che sgozzano una coetanea in un rituale, due ragazze e un ragazzo che si tolgono la vita. Dal colloquio, duro e struggente con una “macara”, una strega (vedi il racconto della sua vita), vengono poi fuori feste, festini, riti di iniziazione sessuale in una masseria, a cui partecipano ”imprenditori, magistrati, giornalisti, politici di vario colore e ruolo”, pure un cardinale, un vescovo, un ministro della Repubblica, sottosegretari, emiri, banchieri, primari, dirigenti di azienda…
Un incredibile lavoro per il maresciallo Chicca Lopez, impegnata a casa in un rapporto sempre più difficile con Flavia e, in ufficio, con il capitano Biondi, classico “maschio sbruffone”. Per non parlare dei ricordi e degli incubi che la assillano e i nuovi dubbi sulla sua sessualità, confortata dall’amico psichiatra Gérard.
Prima di leggere il libro mi aspettavo ironia e sorriso sparsi ovunque come nelle vicende con la Lobosco, e invece mi sono trovato di fronte a scene e situazioni angosciose, drammatiche, drammaticamente esposte, tutto un caos e un pessimismo che si diffonde quasi da ogni pagina (rara avis momenti sereni). Per risolvere il caso, o meglio i casi che si intrecciano fra loro (arriverà anche un altro morto ammazzato), bisogna rischiare di persona con un particolare travestimento. In fondo, ma proprio in fondo, una piccola luce per la nostra Chicca. Chissà, forse con un tuffo nell’acqua…
P.S.
E la “pizzica”? Un ballo tradizionale del luogo che avrà la sua parte.

Il gioco degli dei di Paolo Maurensig, Einaudi 2019.
Punjab 1965. Tutto ha inizio dalla ricerca di Norman La Motta, corrispondente del “Washington Post”, di Malik Mir Sultan Khan, grandissimo giocatore di scacchi sul quale aveva già raccolto in passato parecchio materiale e foto “che risalivano agli anni Trenta, quando era sbarcato in Europa al seguito del maharaja Sir Malik Umar Hayat Khan”. Quattro anni di successi per poi svanire improvvisamente e salire alle cronache giornalistiche come una specie di impostore a causa di uno scandalo relativo all’eredità di una delle donne più ricche d’America. La ricerca inizia partendo dal suo luogo di nascita, chilometri e chilometri in lungo e in largo, finché lo trova a Sargodha, nell’ospedale di una missione di preti colombiani “Macilento, ossuto, il volto scavato, ricoperto dalla barba incolta, e i lunghi capelli candidi che spiccavano sulla carnagione scura.” È malato di tubercolosi e accetta di parlare della sua vita proprio per far conoscere la verità oscurata dai giornali.
Ora il racconto in prima persona. Il karma, il destino sembra già tracciato sin dall’infanzia quando una tigre assassina prende di mira il suo villaggio e uccide i suoi genitori. A quindici anni diventa il carnac del villaggio, ovvero il guardiano degli elefanti. E c’è sempre la tigre a gettare panico e paura. A uccidere. Occorre chiedere l’aiuto del padrone, il maharaja Sir Malik Umar Hayat Khan, più semplicemente Sir Umar Khan. Ricco, ricchissimo tanto che “Tentare di scoprire a quanto ammontassero i suoi averi era come pretendere di sapere il numero degli astri in cielo o dei granelli di sabbia nel deserto di Thar”. Ricchissimo, dicevo, appassionato di sport e, soprattutto, del chaturanga, praticamente l’antenato degli scacchi. Un incontro che cambierà la vita al nostro Malik desideroso di conoscere e approfondire “il gioco degli dei”. Mostrando subito ottimo talento viene fatto trasferire a Delhi come servitore nella villa del padrone dove, tra gli altri impegni, assisterà alle partite tra Sir Malik e Kishanlanl Sarda, più volte campione del Punjab, che gli insegnerà anche le nuove regole del gioco occidentale. Al campionato assoluto di Delhi si piazza primo senza alcuna difficoltà.
L’atteggiamento di Sir Uman Khan mette in imbarazzo i convitati inglesi con i suoi discorsi sulla superiorità culturale dell’India, lui ricco ma pur sempre, per loro, un inferiore. Spesso tocca anche il tasto degli scacchi ma parlare di questo gioco è “come premere il dito su un nervo scoperto”. Ad eccezione di Howard Staunton, vissuto nel secolo precedente, non ci sono in Gran Bretagna “punte di diamante”, anche se gli scacchi risultano popolari. Malik gioca con i frequentatori della villa e vince. Solo qualche patta, su ordine del padrone, con le persone influenti. Fino a quando arriva la scommessa da parte di un maggiore inglese che il “sempliciotto” indiano non sarà capace di vincere il British Chess Championship, avendone diritto di iscriversi come suddito della Corona. Scommessa accettata: duecento libbre d’oro del riccone contro un penny dell’altro.
Il 15 marzo 1929 parte per l’Inghilterra con il suo padrone e il maestro Kishanlal Sarda. Viaggio lungo, stancante, l’attacco della malaria, la debilitazione, i primi dubbi e timori. Qualche incontro nei circoli scacchistici londinesi, qualche insuccesso, la difficoltà a trascrivere le mosse, i commenti di disprezzo della gente, dei giornali. Ed ora il British Chess Championship. Vinto, con grande gioia di Umar Khan. Fulminea la carriera, dura poco più di tre anni, ma ciò che lascia tutti di stucco è la sua vittoria ad Hastings contro l’ex campione del mondo Raul Capablanca. Che gli fa una certa impressione per il suo aspetto curato, vestito impeccabilmente, il fazzoletto che gli spunta dal taschino intonato con cura alla cravatta dal nodo sottile, fissato al colletto da una spilla d’argento, i capelli impomatati e la stretta di mano vigorosa. Una vittoria, però, che risulta “tra le meno brillanti” in un finale complicato che “gridava a gran voce alla parità”. Avrebbe accettato addirittura la patta se gli fosse stata chiesta. Ma Capablanca continua la partita fino a quando rovescia il re sulla scacchiera “senza rabbia né livore”. È l’ultimo incontro importante per Malik anche se poi vince a Berna, ad Amburgo e due volte il campionato britannico. Qualcosa si è spezzato, si ritrova lontano dalla patria in un mondo che non è il suo, in una città perennemente avvolta nella nebbia. E poi la guerra, la maledetta guerra, i bombardamenti, le complesse vicende personali, l’ospedale… E si ritroverà, addirittura, a New York! Qui il lavoro di tassista, l’incontro con la ricchissima Mrs Abbott, il loro rapporto, l’accusa di impostore, la vittoria della causa…
Non sveliamo altro. Una storia, un viaggio, un lungo viaggio di un uomo segnato dal karma, dalla tigre, dal destino. Un viaggio fra culture diverse, modi di agire e pensare diversi. Il colonialismo, il razzismo, la guerra. Un percorso, duro, difficile, nel corpo e nella mente. Sprazzi di gloria finiti nell’oblio come una stella cadente. E noi lettori ci ritroviamo improvvisamente lì, insieme a lui, con i suoi momenti di esaltazione, di gioia, i suoi dubbi, i suoi tormenti fisici e dell’animo. Paolo Maurensig ci ha donato la carrellata fantastica di una vita, una delle tante vite complesse di questo mondo. Che ci fa pensare e riflettere. Ora sorridenti, ora un po’ malinconici e commossi.

“Il 26 aprile 1478, durante la messa domenicale, Lorenzo de’ Medici e suo fratello Giuliano, i giovani leader di Firenze, furono assaliti nel duomo. Giuliano fu pugnalato diciannove volte, e morì sul colpo, mentre Lorenzo, ferito solo leggermente, riuscì a sfuggire all’attentato. I fiorentini leali ai Medici reagirono, violentemente massacrando tutti gli attentatori che riuscirono ad acciuffare.
Questo audace attacco, uno dei più famigerati e sanguinosi complotti del Rinascimento italiano è noto come la congiura dei Pazzi”.
Così nel Prologo di L’enigma Montefeltro di Marcello Simonetta, Rizzoli 2008, lo storico che ripercorre gli anni tumultuosi che precedettero la congiura, “i suoi retroscena e le sue ripercussioni sugli eventi che ne sono seguiti”. Con qualcosa in più. La scoperta nel 2001 di una lettera che contiene informazioni fino ad ora sconosciute sulla detta congiura. Ed essa rivela che uno dei mandanti è… (un po’ di suspense)…  Federico Da Montefeltro, duca di Urbino. E l’altro addirittura il papa Sisto IV…
Prima, però, e più esattamente nel dicembre del 1476, abbiamo l’assassinio di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, che rompe gli equilibri di potere allora nella nostra penisola. Da qui parte il racconto (la storia degli eventi si legge proprio come un racconto) di Marcello Simonetta, discendente di Cicco Simonetta, cancelliere degli Sforza dal 1450, che ebbe un peso notevole in quelle vicende. E che si allarga ad altri eventi importanti legati più o meno strettamente all’argomento.
Il 26 aprile 1478 avviene il fattaccio già accennato all’inizio. Tutti i congiurati vengono presi e giustiziati. Francesco Pazzi è catturato nelle sue stanze del palazzo di famiglia, trascinato per la strada e impiccato alle finestre più alte di Palazzo Vecchio. Idem per l’arcivescovo Salviati e stessa sorte per Jacopo Pazzi. Cambia solo il luogo dell’impiccagione, Piazza Signoria. Jacopo Bracciolini, il famoso umanista, viene afferrato per i capelli da Cesare Petrucci e fatto sfracellare dalle finestre di Palazzo Vecchio. Gian Battista, conte di Montesecco (che è poi quello che rivela la congiura), è catturato tre giorni dopo e decapitato alla Porta del Podestà. Si salva solo il cardinale Riario, nipote del papa, messo in prigione. Il corpo di Jacopo Pazzi è dissotterrato dal popolo per ben due volte e poi gettato nell’Arno. Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, viene catturato un anno più tardi a Costantinopoli, portato a Firenze e impiccato il 29 dicembre 1479. I Medici rimangono al potere.
Il libro continua con le vicende intriganti che coinvolgono Firenze, Milano, Napoli e il papato. Ricco di personaggi, di avvenimenti, di malizie diplomatiche, di sospetti, di spie (ce ne sono diverse con nome e cognome), di documenti. Prosa accurata e piacevole, molte note a supporto, un indice sulle fonti e un’ampia bibliografia chiudono questo bel libro.

I Maigret di Marco Bettalli

Un delitto in Olanda del 1931
Molto originale per ambientazione, con Maigret alle prese con le abitudini e i personaggi di un piccolo paese in Olanda, dove un odiosissimo (Simenon si sfoga spesso con inusitata durezza sulle figure di professori universitari e intellettuali in genere) professore francese, dopo aver tenuto una conferenza, viene invischiato in un sorprendente omicidio che scuote profondamente la minuscola comunità. Lo scioglimento, giallisticamente non spettacolare (la colpevole non poteva non essere tra i principali indiziati fin dall’inizio, vista anche l’esiguità del numero dei protagonisti), avviene “alla maniera di Poirot”: tutti in una stanza, con il deus ex machina che sa tutto e gli altri che sono nel buio più completo (particolarmente idiota l’ispettore olandese). Nel complesso, un esperimento abbastanza riuscito: il contesto sociale (borghesia conservatrice e oppressiva vs ansia di libertà della gente semplice), alla fin fine, lo ritroviamo identico anche a Parigi; qui si aggiungono simpatiche riflessioni sulla difficoltà di comunicare (Maigret notoriamente conosce solo il francese; l’olandese poi…) e considerazioni, non certo approfondite, sulle differenze tra Francia e Olanda nelle dinamiche di relazione tra i sessi.

Il crocevia delle Tre Vedove del 1931
La potremmo definire una pièce teatrale (vista la sostanziale unità di tempo e di luogo) in un paio di atti, più una commedia che una tragedia, perché anche le tragedie che si susseguono sono osservate con tono leggero, senza che vengano prese davvero sul serio. Tutto avviene con pochi protagonisti, in un crocevia con tre case a 50 km da Parigi, in un paio di belle giornate di aprile. Il caso è inizialmente complicatissimo, per poi sciogliersi in modo semplice: tutti, ma proprio tutti, sono colpevoli in diversa misura (l’unico a essere condannato a morte sarà tal Guido Ferrari, credo unico italiano a subire questa sorte in tutti i Maigret) tranne, ovviamente, il primo indiziato, che subisce un pesantissimo interrogatorio di 17 ore, con il quale il libro si apre. Il risultato di questo pastiche è godibilissimo: comprese le turbe erotiche di Maigret alle prese con la protagonista, molto “d’epoca”, con vestaglie che si aprono per un istante, occhiate languide, profumi inebrianti e quant’altro. Se vogliamo, tutta la faccenda è estremamente caricata e, diciamolo, abbastanza inverosimile; ma i ritratti (dell’assicuratore piccolo arrampicatore sociale, del garagista ex-pugile, di altre figure minori) sono divertenti e la coppia Maigret-Lucas appare in ottima forma, nonostante sia al centro di almeno un paio di sparatorie e corra dunque rischi inusitati (anche se molto più comuni nei primi Maigret rispetto ai successivi).

Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)

Mia o di nessuno di Ugo Mazzotta, Todaro 2019.
Da sempre la vita del vice commissario Pelagia Corsi è stata segnata dal suo nome di battesimo. Un nome che la perseguita da sempre, impossibile dimenticare l’incubo delle risate dei compagni di scuola alle elementari. Poi sono arrivati quelli delle superiori che, sfogliando la Treccani, scoprivano che sì era esistita una Santa Pelagia, forse due, ma la più famosa prima di assurgere alle vette della beatitudine avrebbe esercitato la vecchia “ehm professione”, per cui da quel momento rischiava di farsi chiamare “santa zoccola”. Non basta, oltre tutto Pelagia è un nome che praticamente nessuno riesce a dire in modo giusto, malmenato spesso dagli amici in Pilli, Pel o roba del genere. In realtà la nostra povera vice commissario, complessata dal piedistallo concesso ai genitori, padre grande pittore, madre francese di gran classe, è afflitta da sempre e nei momenti sbagliati da una petulante voce interiore che, con il baritonale timbro paterno, l’accusa di fare stupidi errori, di non capire un’acca perché logicamente non può supinamente accettare le sue scelte di vita e di lavoro. Eh già! Certo, come avrebbe potuto un grande artista, eccellente pittore, anzi un genio acclamato dal mondo intero, morto qualche anno prima lasciandola erede di cospicue sostanze, accettare con gioia che l’unica figlia, alla quale aveva dato una perfetta educazione internazionale arricchita da svariate conoscenze linguistiche, invece di seguire un’altra strada o magari provare a seguire le orme paterne, avesse scelto di diventare ufficiale di polizia? Ora però ricominciamo da capo, torniamo al giallo e ricapitoliamo per i lettori. La vice commissario Pelagia Corsi (romanesca d’origine) vive a Napoli in una splendida villa Liberty al Vomero con Milky, un piccolo serpente del latte, innocuo ma copia sputata del corallino; si serve creativamente dell’arte giapponese del “kintsugi” e fatica parecchio ad avere relazioni affettive stabili. È in forza al commissariato napoletano del Vomero agli ordini dell’anziano commissario Del Vecchio, ma da un giorno all’altro si trova coinvolta in una complessa indagine che preannuncia connivenze tra camorra, prostituzione e malavita cinese. Come può un supermarket cinese collegarsi a un noto avvocato, diventato famoso su quotidiani e in televisione per aver denunciato la scomparsa della moglie? Nel corso delle indagini sul caso, coordinate da una spiccia magistrato, salterà fuori un possibile legame con la sparizione, qualche giorno prima, di una bella ginecologa napoletana, vittima sconvolta di un misterioso stalker. Eh già, perché sul cellulare segreto della donna, che da mesi si scoprirà aveva una relazione, poco prima della scomparsa era arrivato il messaggio: “Mia o di nessuno”. La donna si è allontanata per sua scelta? È stata rapita? È morta, vittima di una mano omicida? Il marito, l’avvocato Adolfo Tommasi, ben ammanicato in alto loco, non la racconta giusta. È coinvolto nella faccenda? La povera Pelagia ha per le mani una brutta gatta da pelare, un’indagine tutta in salita costellata di ordini e richiami anche per i cavilli e gli ostacoli imposti dai suoi superiori. Insomma, proprio lei che i paletti non li sopporta, non può muoversi come vorrebbe, ma vada come vada, nessuna stolta burocrazia le impedirà di mettersi lo stesso non ufficialmente sulle tracce dello stalker e potenziale assassino. Niente e nessuno potrà fermarla perché, in virtù della sua testardaggine, districandosi tra false piste e mettendo a rischio persino la propria vita, il vice commissario Pelagia Corsi riuscirà alla fine a far combaciare tutti i pezzi di un puzzle da paura e sbrogliare il caso.
Mi piace Pelagia Corsi, nuova e indovinata protagonista di Ugo Mazzotta per una storia densa di humour (come non citare la sofferenza del vice ispettore nel redigere i rapporti di routine nei consueti gergalismi questurini). E comunque una storia azzeccata che ha per degna cornice viva, verace e palpabile una grande Napoli da cartolina.

Con La nave dei vinti, TEA 2019, Leonardo Gori fa un regalo ai suoi lettori scrivendo il terzo e finora sconosciuto capitolo della saga di Bruno Arcieri…Gennaio 1970: Bruno Arcieri guarda bruciare nel portacenere del bar della stazione di Firenze il biglietto aereo che avrebbe potuto portarlo da Elena, in Israele. È un taglio netto, definitivo. Ormai ultrasessantenne, ha scelto di rinunciare a lei per sempre, non partirà mai più. È mezzanotte, c’è solo Marie, il conforto della sua presenza, il vederla seduta al tavolino accanto a lui, la sua dolcezza e la sua cauta curiosità sui fantasmi che tornano dal passato. Quei fantasmi di una vecchia storia, compressi troppo a lungo, pronti a traboccare e che Arcieri decide di condividere con Marie, la donna del suo futuro. Una grande storia che Leonardo Gori affida a un lungo, quasi interminabile, racconto notturno che comincia a mezzanotte davanti a un bicchierino di cognac al bar della stazione e continua fino alle tre di notte, dipanandosi in un lungo giro a piedi, nella gelida cornice della Firenze di notte, le sue vie e le sue piazze, per concludersi di nuovo per strada la mattina dopo.
Genova, marzo 1939: Bruno Arcieri, capitano dei Carabinieri da pochi mesi in servizio a Roma, da poco agente del SIM con ufficio segreto in Piazza Navona, è stato spedito là in fretta e furia dal Comandante, il suo nuovo capo, per una missione urgentissima e misteriosa con Nanette, conturbante trentenne dal passato difficile, diventata collaboratrice esterna dei Servizi. Un’improvvisa partenza notturna che gli ha persino impedito di avvertire Elena Contini, in arrivo da Firenze per stare con lui. Il suo compito è salire su un piroscafo inglese, attraccato nel vecchio porto con una grossa falla subita durante una tempesta, che trasporta un carico di profughi, spagnoli e non, in fuga dalla guerra civile, partiti da Barcellona, per verificare l’identità dei passeggeri. A bordo nel salone della nave trova un prestigiatore che ha organizzato uno spettacolo per uomini, donne e bambini. Degli squadristi sono già sulla nave e stanno torchiando in malo modo il comandante. Arcieri deve imporsi e far valere la sua autorità per allontanarli. Usando il prestigiatore come interprete, scopre dal capitano che qualcuno ha ucciso e nella stiva c’è un cadavere non identificato. Ma la sua missione si complica quando riceve l’ordine di collaborare con un emissario del Vaticano, il vescovo Eugenio Winkelmann. Il vescovo deve incontrare un agente segreto nascosto tra i profughi, nome in codice Morgan, che sarebbe in possesso di documenti molto importanti sul patto di non belligeranza pronto a essere siglato tra Molotov e Ribbentrop. Documenti di vitale importanza che forse potrebbero scongiurare l’invasione della Polonia e il dilagare del nazismo. Arcieri sale a bordo e comincia gli interrogatori nel tentativo di individuare l’agente Morgan. Ma la situazione è tesa e difficile. Bisogna trovare il modo di far sbarcare i passeggeri assediati dagli squadristi e, nonostante l’abile diversivo organizzato da Arcieri, l’operazione si rivela molto più complessa e impegnativa del previsto, tra letali agguati di spie, profughi che non possono essere rimpatriati e devono trovare una via d’uscita, agenti che fanno il doppio gioco e un avventuroso susseguirsi di inseguimenti.
Mettendo a fuoco quei terribili mesi che precedettero lo scoppio della guerra, quando l’Europa cominciava a slittare verso il baratro, Leonardo Gori rievoca per bocca di Bruno Arcieri l’atmosfera angosciante che incombeva sul mondo intero. E mette, lui, uomo di cultura, innamorato della letteratura anglosassone e della musica d’oltreoceano, del jazz, il militare retto, abituato a ubbidire, l’uomo senza tessera di partito, già antifascista nel segreto dell’ animo, di fronte ai primi seri dubbi, alle prime vere scelte decisionali. Quelle che hanno formato il Bruno Arcieri del 1970, romanzo dopo romanzo, facendolo diventare un uomo segnato dall’età, dalle esperienze vissute e dalla disillusione. Un personaggio gravato dall’esigenza di ricordare e di spiegare, anche a se stesso, cosa hanno significato quei drammatici eventi, quali conseguenze hanno avuto nella sua storia, forse addirittura cambiando radicalmente la sua visione di vita. Poi nello stesso romanzo, vincendo i limiti del tempo e dello spazio, Gori fa incontrare di nuovo le donne di Arcieri, tutte e tre espressioni del suo mondo interiore, del sogno, del desiderio del mito e della quotidianità. Ognuna rappresenta una faccia del suo universo personale: Elena Contini è l’ideale che non può tornare, Nanette giovane e splendida rappresenta il perduto mondo delle finzioni delle ombre profumate, Marie è l’oggi, l’attuale serena concretezza di un possibile futuro.
Il romanzo ha tratto ispirazione da una storia vera.

I segreti della famiglia Turner di Alex Sinclair, Newton Compton 2019.
Emma Turner si sveglia in ospedale, ma non è un ospedale qualunque. Si trova a Hopevall ed è praticamente prigioniera in un ospedale psichiatrico. Non ha idea del perché si trovi là. Di come ci sia arrivata e dove siano suo marito e suo figlio. Perché non vengono a vederla? Cosa è successo? Con una diagnosi di Post Traumatic Shock, la sua mente sta bloccando gli spaventosi eventi che hanno portato alla sua ammissione nella struttura psichiatrica e cerca di proteggerla da un’inaccettabile verità. Ma cosa ha mai fatto per non aver più diritto a vedere la sua famiglia?…
Alex Sinclair narra l’odissea della sua infelice protagonista seguendo due diverse linee temporali. In quella che si svolge al presente, Emma è sbandata, immemore, ricoverata in un ospedale psichiatrico, sta lottando contro i suoi personali demoni ed è perseguitata da incubi che non riesce a inquadrare compiutamente. La seconda linea temporale si rifà invece a ciò che è avvenuto nel passato ed è ambientata durante le ultime settimane prima di… Prima di cosa? Le due linee, correndo contemporaneamente avanti e indietro, non fanno che aggiungere angoscia, suspense e mistero alla trama fino a quando, con una repentina svolta, porteranno alla luce la contorta e subdola distorsione di una lucida e crudele mente criminale.

Le letture di Jonathan
Cari ragazzi,
oggi tocca a Da scamorza a vero topo in 4 giorni e mezzo! di Geronimo Stilton, PIEMME 2017.
In questo racconto non ci troviamo né per le vie di una metropoli come New York, né in qualche avventura del futuro o del passato. Tramite sua sorella Tea, Geronimo ha parlato con il suo caro amico Iena che l’ha invitato all’aeroporto di Topazia per fare uno scoop giornalistico. Geronimo, però, deve essere bendato. Accetta la proposta e si reca all’aeroporto dove parte con il suo amico Iena, grande sportivo, per un posto che non conosce. Dovrà affrontare con altri partecipanti una maratona di ben 120 chilometri! Dove? Nel deserto del Sahara, tra tempeste di sabbia, scorpioni, svenimenti, vipere cornute e altri ostacoli. E sarà così bravo che da scamorza diventerà un vero topo sportivo!
Ogni tanto incontreremo espressioni arabe, piatti tipici di quelle popolazioni e un manuale di sopravvivenza nel deserto. Insomma questa gara non sarà solo ricca di pericoli e colpi di scena, ma potremo anche imparare a sopravvivere nel deserto.
Io, però, preferisco il mare. (Sono d’accordo con te, Jonathan! A.)

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