Come ti costruisco un romanzo poliziesco (Le lunghine di Fabio Lotti)

Ormai sono tutti uguali. Quasi tutti uguali. I romanzi polizieschi, via. Si tratti di mystery, thriller, noir poco importa. Partiamo dal personaggio principale. Uomo o donna che sia. Prima domanda e prima decisione. Che cosa gli facciamo fare? Le risposte sono sempre le stesse: poliziotto/a, avvocato/essa, detective, giornalista oppure qualche amico/a del commissario di turno. Ma va bene anche un tipo qualsiasi che covi in se l’arte struggente di scovare assassini.
Scelto il lavoro ora creiamo il personaggio. Partiamo dall’uomo. Qui ci si può sbizzarrire come ci pare. Sia dal punto di vista fisico che del comportamento, del suo “essere” in definitiva. Meglio se solo che male o bene accompagnato, qualche tic, qualche fissazione, qualche tormento che lo caratterizzi. Naturalmente in stretto rapporto con la disgrazia per renderlo più vicino a noi che siamo pieni di disgrazie. Non so, tanto per dirne una, che abbia perso la moglie in un incidente stradale o che gli abbiano assassinato i genitori o abbia, come minimo, una sorella impasticcata. E la salute? Dove la mettiamo la salute? Di casi ne abbiamo già millanta. C’è chi soffre d’insonnia, chi di colite, chi ha l’ulcera, chi ha mal di cuore (angina pectoris), chi è cieco, chi in carrozzella, chi senza palle (alla lettera), chi ha devastanti sensi di colpa (di solito reduci militari) e aggiungetevi pure altre malattie a vostro piacimento senza tema di sbagliare. Lo stesso vale per la donna poliziotta, detective o anche semplice cittadina attratta inesorabilmente dai casini del crimine. Che sia impantanata, magari, in un matrimonio in crisi o già andato a male, così la facciamo del tutto simile ai millanta esseri femminili in giro per il mondo. Per quanto riguarda gli orientamenti sessuali niente problema. Anzi, se lesbica va pure di moda.
Per costruire un buon romanzo poliziesco occorre, dunque, un passato che ritorni funesto a tormentare il protagonista anche nei momenti più felici, o meno miserevoli della sua esistenza. Magari consolato da un altro personaggio allietato da altrettante disgrazie che in due si patisce meglio. E, a proposito degli altri personaggi, devono essere completamente diversi fra loro, con qualcuno, portatore sano di dialetto stretto (siculo, sardo, toscano…), a dare sorridente vivacità al linguaggio e diventare la macchietta simpatica del racconto. Immancabili, poi, le alte sfere a rompere i coglioni al povero detective di turno. E fai qui e fai là e fai presto, non c’è tempo da perdere altrimenti… Se mancassero le alte sfere a rompere i coglioni la vita del nostro detective sarebbe troppo banale, troppo facile via. Essenziale anche il classico bischero che viene infilato in gattabuia senza che c’entri un’acca con il terribile misfatto. Così sembra tutto compiuto, tutto risolto. A meno che il classico bischero in gattabuia non sia il vero assassino. Ma il lettore medio conosce anche questa eventualità per cui, quando si trova di fronte il classico bischero in gattabuia, sorride sornione fra sé e sé come a dire non ci casco mica, furbetto di un autore!
La trama, naturalmente, deve essere complessa e incasinata al punto giusto e con un finale così imprevedibile da far esclamare al solito lettore allibito “Ma che bella trovata!”, oppure talmente incasinata e incredibile da fargli comunque esclamare “Ma che bella stronzata!” In ogni caso bisogna farlo esclamare, pena la non riuscita del parto sanguinoso. Sanguinoso perché sangue ci dev’essere spruzzato per ogni dove. Altrimenti che noia che barba che noia alla Mondaini.
Tuttavia non bastano la trama e i personaggi per ottenere un buon risultato. Oggi bisogna infilarci anche la cucina. Se non ci si infila la cucina, la buona cucina siamo perduti. Il libello non venderà una copia. Dunque armatevi di pazienza e tirate fuori qualche ricetta deliziosa, magari tipica del luogo dove si svolgono gli avvenimenti. Ricetta condita, naturalmente, da qualche ottimo ed efficace strizzabudella. Fate ingozzare soprattutto il personaggio principale, fategli strabuzzare gli occhi che il lettore si diverte a vederlo su di giri. E bisogna infilarci anche il classico salto sul letto, soprattutto alla maniera del che ci do che ci do che ci do senza il quale il racconto perderebbe quel brividino sensuale attizzante la fantasia del citato lettore. Se poi i salti sul letto sono due o tre ancora meglio.
Per quanto riguarda il luogo in cui ambientare la storia maledetta basta scegliere quello in cui vivete. Ormai non c’è più posto libero dove siano avvenuti efferati crimini cartacei da sbrogliare. Tutta la penisola italiana è stata occupata. Anche il sottoscritto per i suoi tre libercoli ha fatto così. Visto che vive vicino a Siena la scelta del luogo misfattifero (mio conio) è stata proprio questa città adatta, tra l’altro, ad essere esaltata per le sue bellezze artistiche. E qui ne approfitto spudoratamente per citarli che la faccia tosta non mi manca: Partita a scacchi con il morto, Chi ha ucciso il campione del mondo? Scacchi e crimine e La diabolica setta di Caissa. Scacchi e sesso in collaborazione con il Maestro di scacchi Mario Leoncini.

Dunque riepiloghiamo. Per buttar giù un buon romanzo poliziesco basta:
1) un detective, maschio o femmina, incasinato da diversi punti di vista;
2) il passato che ritorna funesto);
3) qualche personaggio “particolare” a suscitar sorriso;
4) superiori che martellino i coglioni al detective di turno;
5) il classico bischero in gattabuia;
6) la buona cucina e l’altrettanto classico salto sul letto;
7) un luogo da esaltare dove avvengono i misfatti;
8) una trama incasinata, incasinatissima con un finale incredibile, diciamo pure impossibile che tanto è lo stesso.

E il gioco è fatto. In bocca al lupo!

P.S.
Dimenticavo! Infilateci anche internet che oggi va tanto di moda.

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