#stodadio. L’enigma di Artolè – Carmine Caputo

Carmine Caputo
#stodadio. L’enigma di Artolè
Damster edizioni, 2020
Recensione di Roberto Mistretta

Agosto 2014. Appenino bolognese.
L’anziana maestra Teresa Ferrari viene ritrovata morta nel suo letto con un coltello conficcato nel ventre. A dare l’allarme una sua amica, la professoressa Gamberini, anch’essa in pensione. Tra i sospettati il nipote fannullone, Luca Ferrari, che le succhia i risparmi, un venditore ambulante che le ha venduto per sbaglio qualcosa di molto prezioso invece che la solita bigiotteria, e un altro tizio che si rifiuta di rispondere alle domande, Edgar Allan Scaccabarozzi.
Ad indagare il maresciallo dei carabinieri Antonio Luccarelli, che ha una cotta per la sensuale Simona, affiancato dall’amico Leo Stasi, insegnante precario, sposato con Lisa, due figli piccoli da accudire e un lavoro part-time in uno studio legale. Leo ha alle spalle studi di psicologia e ama inventare favole. Ha deciso di andare a trovare l’amico maresciallo perché a Tolè, sull’appennino bolognese, si organizza l’Artolè, originale manifestazione artistica che lo stimolerà molto nell’inventare nuove storie.
Lo invitava per il 24 agosto a partecipare ad Artolé, una manifestazione culturale che avrebbe avuto luogo nel borgo di Tolè, un grazioso villaggio appenninico noto per le sue acque di sorgente, le passeggiate nei boschi e l’arredo urbano fatto di sculture e quadri donati dagli artisti negli anni.”
L’autore ama visceralmente l’ameno borgo di Tolè e non fa niente per nasconderlo; al contrario, si sforza di offrirne una rappresentazione bucolica in cui l’afflato dei personaggi vorrebbe avere il respiro dell’umanità di provincia, tanto più autentico quanto meno sembrano di carta i suoi protagonisti e comparse.
Ho inventato di sana pianta le vicende e i personaggi che ho raccontato, su questo non c’è dubbio alcuno,” scrive l’autore nei ringraziamenti “ma non ho inventato Tolè, che è forse la principale protagonista di questa vicenda e che esiste davvero. Anzi, vi invito a visitarla. Ci ho vissuto due anni talmente intensi che magari li racconterò in un altro libro: continuo a frequentarla e spero di riuscire a farlo anche dopo l’uscita di questo romanzo. Tolè ha davvero una piccola straordinaria scuola elementare e delle maestre che si impegnano per mantenerla in vita nonostante il calo demografico.
L’evolvere della trama, di cui altro non diremo per non precludere di godersi la lettura, nonostante il colpo di scena finale, è ben lontana dai gialli classici e viene intercalata dalla voce narrante della stessa vittima.
La mattina del giorno in cui sono morta mi sono svegliata sorridendo, canticchiando una vecchia canzone di cui non ricordavo nemmeno più le parole. Dopo due giornate di orizzonte plumbeo e pioggia, il cielo era finalmente sgombro e un raggio di sole faceva capolino sul mio adorato paesino. Mi ero alzata presto, avevo aperto gli scuri con le mani tremanti, avvertendo un leggero batticuore mentre l’odore del caffè si diffondeva in cucina. Ero curiosa di percepire cosa ne sarebbe stato della festa di Artolè, la manifestazione alla quale anch’io avevo dato il mio contributo insieme a tanti altri paesani.
Così come l’autore non manca di presentarci le favole di Leo, assai ispirato dal contesto bucolico e artistico: “C’era una volta un’isola sperduta nell’Oceano Pacifico, abitata da una tranquilla popolazione di laboriosi pescatori, contadini e artigiani. La terra era molto fertile e consentiva di coltivare frutti succosi, grano dorato, ma soprattutto strepitose patate; le acque erano molto pescose e con la legna delle foreste gli abitanti costruivano abitazioni, arredamenti e barche sicure e confortevoli. In particolare, i falegnami del posto si erano specializzati nella realizzazione di orologi a cucù, a carica manuale, con un uccellino che ogni ora scandiva lo scorrere del tempo con un trillo trionfante.”
Non manca neppure la chiosa che suona come una filippica contro il romanzo giallo confezionato col solo scopo di vendere. L’autore mette in bocca a Leo parole di marmo nel dialogo finale col maresciallo: “Sta’ tranquillo, non voglio scrivere un giallo. Primo perché non ne sarei capace. Secondo perché ho conosciuto alcuni giallisti pieni di sé, convinti di essere il nuovo Camilleri o Lucarelli solo per aver venduto qualche migliaio di copie, che non si rendono conto di raccontare sempre la stessa storia. La citazione a effetto, l’omicidio a pagina 15, un po’ di sesso torbido a pagina 27, la descrizione del quartiere degradato che fa tanto noir e denuncia sociale, l’abuso di particolari anatomici copiati e incollati da Wikipedia e magari il colpo di scena finale in cui scopri che l’assassino è quello a cui non hai minimamente pensato, a cui nessun lettore sano di mente avrebbe minimamente pensato semplicemente perché è un colpo di teatro dell’autore per dimostrarti quanto la sa lunga, ma che non c’entra un fico secco con il resto della storia E più il finale è strampalato più le copie vendono. Per favore. E con gli stranieri spesso va pure peggio, dopo Dan Brown è tutto un fiorire di tomi di centinaia di pagine, infarciti di sette segrete e stralci di saggi storici scopiazzati malamente.

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