Simona Lo Iacono
La tigre di Noto
Neri Pozza, 2021
Recensione di Roberto Mistretta
Questo libro, scritto magnificamente, è nato per caso dalla conversazione tra due amiche, l’autrice e l’avvocatessa Rina Rossitto, attrice del Teatro di Noto. E, come tutti i libri nati per caso, riempie un vuoto lasciato dalla storia e rende merito a una scienziata siciliana che salvò migliaia di libri preziosissimi dalla folle distruzione dei testi ebraici perpetrata dai nazisti.
“Sto recitando a teatro un breve monologo che parla di una donna della mia città, purtroppo sconosciuta. Si chiamava Marianna Ciccone, ma tutti la chiamano “la tigre di Noto””. Così disse quel pomeriggio dell’inizio del 2019 l’avvocatessa all’autrice, al rientro dal carcere di Bicocca, dove stavano allestendo coi detenuti uno spettacolo di Nino Martoglio, “I civitoti in pretura”.
Simona Lo Iacono, magistrato presso il Tribunale di Catania e autrice di lungo corso con pubblicazioni di successo alle spalle, ricordiamo Le streghe di Lanzavacche, Il morso, L’albatro, ha voluto dare corpo e anima alla figura di Anna Maria detta Marianna, effettuando quel recupero della memoria che poi, con scrittura magistrale e aulica, ha affidato alla pagina scritta. Grazie a lei, Marianna Ciccone prende letteralmente vita nella Noto del 1891 quando vede la luce in una Sicilia agraria. Anche in famiglia vedono con ostilità e osteggiano l’interesse che fin da bambina Marianna mostra per i numeri, per i corpi celesti, per la scienza.
“La luce come il dolore è benevola solo con chi l’attraversa, mentre rifiuta di stanare gli indecisi e i superbi.”
L’autrice immagina la scienziata, ormai avanti negli anni e prossima alla sua dipartita, nel 1965, che sfoglia un album di foto e racconta a sua figlia la propria vita, a cominciare dal giorno del battesimo. L’infanzia in casa, col padre commerciante e distratto. La madre, bella ma ritrosa, incapace di gesti d’amore, sottomessa al marito, totalmente presa dalla salute cagionevole dell’altro figlio, Salvo, cardiopatico, che morirà presto e la getterà nello sconforto da cui mai si riprenderà.
Solo la cameriera, Rosa, sarà l’isola confortante e umanissima dove Marianna, picciridda, si rifugia per coltivare i suoi studi e la passione irrefrenabile che nel 1915 la portano a lasciare la Sicilia e a trasferirsi a Roma, dalle suore Misericordiose.
“Dalla finestra che si apriva nel cortile si slargavano i raggi romani, una qualità del sole che aveva molto a che fare con la pietra e con le catacombe.”
A Roma, Marianna frequenta la facoltà di Matematica. È l’unica donna. Ma sei mesi dopo il collegio viene chiuso, la guerra incombe e le suore sfollano. Rientrare in Sicilia o andare altrove? Si trasferisce a Pisa, vince il concorso di accesso alla Normale e conosce Cate, che le affitta una camera e diventerà un’amica fino alla fine dei suoi giorni. Sposa la teoria rivoluzionaria di Einstein, quando ancora è ben distante dalle prime dimostrazioni empiriche, e viene ancor più isolata dai colleghi, ma è adorata dai suoi studenti: “Insegnare era come mettersi in ascolto insieme ad altri. Accompagnarli, sapendo di accompagnare anche se stessi.”
Seguì per tutta la vita le traiettorie e le intermittenze della luce, la spettrometria era l’oggetto dei suoi studi. Fisica geniale e matematica capace, Marianna per un periodo legato ai suoi studi, negli anni Trenta vive anche a Darmstadt, parla fluentemente il tedesco, collabora col collega Herzberg, docente ebreo, che subisce le prime persecuzioni antisemite a cui scampa rifugiandosi in Canada. Rientrata a Pisa, lì rimane anche quando il secondo conflitto mondiale infiamma l’Europa e ben sapendo quali spietati piani i tedeschi stanno mettendo in atto, vale a dire cancellare un intero popolo, a cominciare dalla sua cultura, dalle sue radici, dai suoi libri, con la sua figlioletta seppellisce centinaia di testi ebraici conservati nella biblioteca dell’università. E si rifiuterà anche di consegnare alle SS i testi che non era riuscita a mettere in salvo e difenderà a costo della sua stessa vita la razzia degli strumenti ottici.
Il 7 ottobre 1944, il rettore della Normale, Luigi Russo, invierà un’accorata lettera di ringraziamento alla professoressa Marianna Ciccone: “Sono a conoscenza degli avvenimenti che hanno travagliato, durante la dominazione tedesca, l’Istituto di Fisica e so quale parte Ella, nella sua qualità di Aiuto, unico del personale sempre presente, abbia avuto nel proteggere gli interessi dell’Istituto e dell’Università, anche quando il suo fermo contengo avrebbe potuto cagionarLe serie conseguenze. Non posso fare a meno di porgerLe il vivo ringraziamento dell’Università e mio particolare e di tributarLe il mio incondizionato encomio”.
Dopo avere salvato i beni della biblioteca, alla fine della guerra proseguì i suoi esperimenti alla Normale di Pisa e insegnò Fisica sperimentale. Tra il 1953 e il 1954 trascorse un periodo di ricerca a Parigi, presso il Laboratoire de Psysique Atomique ed Nucleaire del College de France. Come docente esterna insegnò Spettroscopia (pur essendosi abilitata in due concorsi per professore ordinario, non le venne mai assegnata alcuna cattedra perché donna). Si spense nella sua casa di famiglia, a Noto, il 29 marzo 1965, dimenticata da tutti.
A fare riemergere la sua storia ha provveduto Mario Piccolino, neurofisiologo sperimentale che si imbatté nella lettera a firma di Luigi Russo e incuriosito, continuò le ricerche e trovò altri riferimenti sulla fisica italiana e sulla sua stoica resistenza alla razzia che i tedeschi volevano perpetrare nell’istituto di Fisica, portando via anche i migliori strumenti ottici, lasciando loro una sola scelta: o ucciderla sul posto o rinunciare alla razzia. I tedeschi desistettero e Marianna da allora, divenne la tigre di Noto.
Simona Lo Iacono recupera la sua storia e ne fa un romanzo intenso e struggente, mescolando accadimenti veri con la fantasia di chi scrive, restituendo voce, giustizia e memoria a una donna, a una siciliana coraggiosa, che visse in anticipo sui tempi il suo amore incondizionato per la ricerca scientifica e ne fece compagna di vita sino alla fine dei suoi giorni.