William Paul Young
Il rifugio
BUR, 2013 (originale 2007)
Traduzione di Michele Foschini
Recensione di Roberto Mistretta
Si incunea sulla scia dei romanzi new age e intrisi di spiritualità Il rifugio, romanzo che ho riletto da poco.
Pubblicato in proprio anni fa, in poco tempo, grazie al passaparola dei lettori, acquisì visibilità fino ad arrivare al primo posto nella classifica del “New York Times”, dove rimase a più di un anno dalla pubblicazione.
Un romanzo che ricorda i libri di Coelho, la trilogia Brodo caldo per l’anima o La profezia di Celestino.
Inizia come un noir.
Phillips Mackenzie è un uomo distrutto. La piccola Missy, sua ultimogenita di cinque figli, viene rapita e uccisa da un serial killer che approfitta di un suo momento di difficoltà mentre la famiglia si trova in campeggio.
Mackenzie è impegnato a salvare due suoi figli dall’annegamento quando Missy scompare. Di lei troveranno soltanto il vestitino sporco di sangue nel rifugio utilizzato dal serial killer per fare perdere le tracce. Anni dopo Mack riceve un messaggio: “Mackenzie è passato un po’ di tempo. Mi sei mancato. Sarò al rifugio il prossimo fine settimana, se hai voglia di incontrarmi”.
Firmato Pa, ovvero il nomignolo che sua moglie adopera quando si rivolge a Dio. E qui la storia assume una connotazione che esula dal giallo tout court e diventa teologica e spirituale. Mack troverà Dio in una veste inedita che certo non si aspettava. Farà diretta conoscenza con Gesù, molto umano e dalle tipiche fattezze arabe, e si interfaccerà anche con l’imprevedibile Sarayu, lo Spirito Santo.
Ma non mancherà neppure la saggezza di Sophia. E Mack comincerà un lungo, dolorosissimo percorso dentro il proprio cuore devastato. A ogni tappa un nuovo dolore, ma è quello il solo posto dove potrà troverà la pace, nel suo cuore di padre distrutto dal dolore e dalla rabbia.
E infine, come tutti i gialli che si rispettino, non mancherà il colpo di scena.