Rubrica a cura di Fabio Lotti
Dapprima le cellule grigie, le stanze chiuse, gli indizi, i sospetti, la soluzione finale davanti a tutti con il detective baffuto (ma anche senza baffi) o l’amabile vecchietta a tirar fuori insospettabili deduzioni e beccare in castagna l’incauto assassino. Solo dopo è venuto il detective squattrinato, l’ufficio polveroso, la segretaria popputa, lo spazio aperto, il movimento, la corsa, la scazzottata, la pistola che canta ad ogni batter di ciglia. Questo è stato il mio percorso dal classico mystery all’inglese all’hard boiled americano. Ho amato il primo, ho sofferto e poi imparato ad amare anche il secondo. Sempre che si trattasse di autori che lo facessero amare. Quelli con le palle come Dashiell Hammett, per esempio, con questo L’istinto della caccia, Feltrinelli 2008, ovvero dieci racconti straordinari.
Inutile sprecare parole su Hammett ché tutti lo conoscono e sarebbe solo un vano sbrodolare di cose dette e ridette, magari citando pure lo stracitato giudizio di Chandler. Veniamo al sodo, cioè ai suoi racconti. Personaggio principale il detective (non mi pare di avere trovato il suo nome ma dovrebbe essere Nich Charles che viene fuori da altri lavori) della “Continental Detective Agency” di San Francisco alle dirette dipendenze del “Vecchio”, un vecchietto (appunto) robusto con i baffi bianchi, faccione roseo, occhi azzurri dietro occhiali senza montatura, cordiale meno “di una corda da capestro”. Prendiamo il primo racconto “Attacco a Couffignal”, tanto per avere un’idea. Due parole: Couffignal è una piccola isola a forma di cuneo abitata da gente che non sta per niente male (eufemismo). In una delle belle case che la punteggiano il nostro detective deve tenere sott’occhio i regali di nozze di una coppia di sposi (avete capito bene). Compito facile se non ci fosse di mezzo, la pioggia, il vento, la luce che va via, scoppi di esplosivi, sparatorie e dunque la necessità di lasciare i regali sotto lo sguardo vigile di due persone e vedere cosa succede là fuori. Succede la rapina ad una banca e al ritorno due morti ammazzati ed i regali, quelli più importanti, spariti. Qui scatta lo Sherlock Holmes nascosto in lui e in quattro e quattr’otto ti becca il colpevole (deduzioni impeccabili).
A volte deve ritrovare una figlia scomparsa di qualche riccone, se non addirittura due e allora è corsa, movimento, lotta, botte da orbi, coltellate e spari da tutte le parti. A San Francisco, dicevo, magari nel quartiere cinese tanto per dare un tocco di esotico tra buio, infide fanciulle, corse sui tetti, contrabbando di armi, menzogne e tradimenti. Con il nostro a risolvere i problemi e salvare il salvabile, magari dopo qualche tirata di sigaretta, un sorso di gin al ginger (ma va bene anche altro) andando anche un po’ contro la legge. Nich fa questo lavoro sia per i soldi ma, soprattutto, perché gli piace “È’ l’unico sport che io conosca e non riesco ad immaginare avvenire più piacevole che un’altra ventina e più d’anni di questo sport. E non ho intenzione di privarmene!”. Un cacciatore (da qui il titolo della raccolta) che non si lascia sfuggire la preda ma che non spara per uccidere (solo se costretto). Gli basta mirare al polpaccio o al ginocchio tanto per fermare l’avversario di turno.
Talvolta ci si sposta in Muravia sotto i colpi della rivoluzione (incasinamento politico) o nel deserto dell’Arizona dove da sceriffo se la deve vedere con la banda di mascalzoni che pullulano anche lì e dove prospera un mercato di immigrazione clandestina. Tutto il mondo, anche nei tempi passati, è paese.
Movimento, forza, brutalità, tensione e paura, puntigliosa osservazione e deduzione (anche molto dettagliata ) che non si guardano in cagnesco ma vanno a braccetto come bravi scolaretti. Personaggi colti nella loro vera essenza esteriore ed intima, presentati uno per uno, a partire dai suoi collaboratori ed informatori (come Dick Foley) fino al più bieco dei disgraziati maledetti, con la loro vita passata e la presente viva e pulsante. Orrori e tragedie, lievi speranze in un mondo che non lascia spazio ai deboli e agli onesti e l’ambiente esterno, cittadino e aperto, a fare da sponda a tutti i rimescolamenti dell’animo umano.
Stile secco e preciso come una stilettata, infiocchettato di pungente ironia che non risparmia nessuno. Le frecciate arrivano all’improvviso quando meno te lo aspetti. Ironia e auto ironia tanto da far esclamare al nostro detective alla fine di una frenetica avventura “Che vita!”.
Non aggiungo altro. È poco, è niente, ma di fronte a certi scrittori è meglio leggerli e stare zitti. Che ci si risparmia pure qualche brutta figura.
Lo sconosciuto n. 89 di Elmore Leonard, Einaudi 2011.
Jack Ryan, trent’otto anni, vari lavori, lotta strenua con l’alcol e poi notificatore di atti giudiziari, vive in un bilocale di un condominio a Royal Oak, una Pontiac Catalina due porte a sostituire la Cougar, sposato con “una ragazza tranquilla” che poi diventa una “zuccona sempre pronta a trovare il pelo nell’uovo”. Ergo divorzio e frequentazione con Rita, la segretaria di uno studio legale.
Da Jay Walt (capelli luccicanti di lacca) e poi da Mr Perez “tanto cordiale e amichevole” (quindi infido) il compito di ritrovare, con bei dollaroni sonanti, un certo Robert Leary jr, un azionista che possiede quote di una società senza saperlo.
Piccolo problema: il suddetto Robert è un delinquente, praticamente una carriera da assassino psicopatico. E non è il solo a cercarlo, lo vuole trovare anche Virgil, cappello a coprirgli leggermente l’occhio sinistro, baffoni da brigante, occhiali da sole, che ha un conto in sospeso con lui. Ad aiutare nell’impresa il nostro Jack Ryan l’amico Dick Speed, “un metro e ottantatré per novantacinque chili”, capelli su capelli, collanine strette e Levi’s attillati e scoloriti, in servizio presso la Criminal Investigation Division.
Tutto si complica con l’uccisione di Robert e l’entrata in gioco della moglie alcolizzata Denise, meglio conosciuta come Lee, depositaria delle azioni, presa di mira da Perez che vuole fregarla. La richiesta di aiuto a Jack (problema dell’alcolismo vissuto anche dall’autore) e il racconto prende il volo, una simpatia, un’amicizia, un amore che nasce.
Leonard è il Narratore, il Creatore di personaggi fusi con l’ambiente stesso da cui sembrano quasi venir fuori all’improvviso. Se ne inquadra uno, il principale in quel momento, nello stesso tempo eccone altri come venuti su dal nulla: il vecchio ubriaco che vomita, l’elegantone con l’aria da atleta professionista, le facce scialbe e grigiastre, il custode di un palazzo dall’aria “di uno che non sorride più da chissà quanto”, il barista spilorcio che versa con il lumicino e non sta neanche a sentirti, perfino i morti dell’obitorio fra cui lo Sconosciuto n. 89.
La storia si sviluppa, si complica, si gonfia quasi per partenogenesi, uno scorrere naturale degli avvenimenti con Ryan al centro della vicenda insieme a Lee, ai suoi dubbi e ai suoi tormenti. Una vita da balordo che può essere riscattata dedicandosi, finalmente, ad una “persona”, a qualcuno che ama e che può salvare. Con l’astuzia, la forza, i nervi d’acciaio, schivando i pericoli che incombono su entrambi.
Una storia di perdizione e redenzione sviscerata soprattutto dall’interno senza tante smancerie e trucchetti strappalacrime o subdole scenette di sesso esplicito, magari un po’ scontata in certi frangenti che ricorrono in storie similari, ma che può benissimo brillare tra i migliori classici del genere.
Lo sguardo della farfalla di Mario Baudino, Bompiani 2016.
“Mi chiamo Demi K, sono un assistente di libreria e più in generale il factotum del molto onorato signor Duccio Tancredi, cartolaio di paese e cacciatore di libri…” Ecco i primi due. Poi c’è Matteo Genisi che si è assunto da solo, senza parlare di stipendio, alla cartolibreria “Coraggi”. Tutti e tre in poltrona con il bicchiere in mano ricolmo di Barolo chinato. Da una parte Monsignore, il gatto. State a sentire. Una classica vicenda dello zio d’America, in questo caso di una zia, più precisamente la contessa Rita della Ruspa che lascia la sua magnifica biblioteca ad uno sconosciuto, ancora più precisamente a Giovanni Sterpa, single, bello robusto con “solida posizione economica.” (perché?). Il quale Giovanni ha chiesto a Duccio (il Capo) una valutazione della suddetta biblioteca. Misteriosa, a quanto sembra, piena di fruscii e rumori brividosi, forse da accostarsi alle “masche”, specie di streghe dispettose. Qualcuno, insomma, si aggira fra i libri, li sposta e non li rimette a posto. Che sia un fantasma? Ed un fantasma, verde tra l’altro, appare proprio a Giovanni sulla prima balconata della biblioteca (e giù miti e saghe nordiche, la storia di re Artù, del mago Merlino e dei cavalieri della Tavola Rotonda). A rendere il caso più fitto e misterioso la sparizione del libro “Il guardo della farfalla” citato dalla contessa nella sua lettera al solito Giovanni (sempre lui) insieme a un “tanti baci dall’Annwfyn” e buonanotte al secchio.
Completano il quadro dei personaggi principali Erminio, che vive nella casa del custode; Gegia, amica di Demi, laureata in lettere e maestra di sci; la giornalista Giuditta Salvatoni spigliata il suo con la quale ci può scappar qualcosa; il capitano Inghigliosi (che ci fa?); la “fastosamente bella” e sensuale con lieve accento francese Chantal Leduc, la vampirona cacciatrice di libri. E tanto basta.
Raccontato in prima persona da Demi, citazioni librarie a go-go, tenebre, ombre, spari nella notte, l’assillo continuo del perché di questo lascito ad uno sconosciuto (ci deve essere sotto qualcosa), un ritorno agli anni di piombo (addirittura) e un racconto di Edgar Allan Poe che potrebbe svelare il mistero. Ma io vi consiglio di leggere il libro attraversato da una prosa elegante, briosa e gradevole. Che poi la trama sia più o meno verosimile conta il giusto.
Lo specchio nero di Gianluca Morozzi, Guanda 2015.
“C’era una ragazza morta con la gola tagliata dentro una stanza con la porta chiusa dall’interno, e un uomo morto in un bagno cieco con la porta chiusa dall’esterno. L’unica persona viva tra quelle due porte era lui e soltanto lui. Lui che aveva un coltello insanguinato in mano”. Trattasi di Walter Pioggia, scrittore e direttore di una piccola casa editrice di Bologna. Com’è finito lì, in quella stanza viola di via della Luna? Inizia così un tourbillon mentale alla ricerca di una pur semplice spiegazione, partendo dal ricordo degli eventi precedenti che risultano difficili e nebulosi. Ricordi vaghi, a intermittenza, lui e l’amico Mizio, il concerto al Botanique, al bar, una voce che lo chiama… Che si sia immaginato tutto? (tra l’altro è seguito pure dallo psicanalista) o che l’abbiano, addirittura, drogato?. In prima persona gli estratti da un suo libro: i ricordi dell’adolescenza, la famiglia problematica con la sorella che si droga e prostituisce, gli amici di scuola (lui il freak della classe), le ragazze, le canne, le prime esperienze sessuali, via da casa, l’incontro con un signore… E, insomma, “Nomi, facce, urla e pianti di un pesantissimo, insostenibile passato”.
Stacanovista, legge tutto quello che gli mandano gli scrittori, “testi densi”, “testi pop”, “gli obbrobri insalvabili”. L’incontro con Isabel, belloccia il giusto, e il suo libro “Lo specchio nero” da leggere e valutare per eventuale pubblicazione. Ottima intesa tra i due con fremiti stuzzicarelli finiti bene e si capisce dove. Alla notizia della scoperta dei cadaveri riprende l’assillo e la ricerca ossessiva della verità in un continuo alternarsi di alti e bassi. In corsivo qualcuno che soliloquia (mio conio) o scrive su Walter, il quale deve stare tranquillo fino a quando non incontrerà un cancello “E tutto finirà come deve finire” (miezzeca!).
Una Bologna descritta con affetto, stile brioso, ironia pungente sul mondo dell’editoria, musica, soprattutto rock, libri, scrittori, sogni, incubi, paura, l’amore che addolcisce, l’amore che ferisce, gli specchietti per le allodole, per noi lettori, doppio colpo a sorpresa finale tanto per gradire. Realtà e finzione, tutto si mescola e si inebria e mi immagino come si sia divertito l’autore a scrivere questa storia “strana” e inquietante (così come brividoso era stato il suo racconto Bambini nel grano in Delitti in vacanza di AA.VV., Newton Compton 2015). Aggiungo il mistero della camera chiusa insieme alla citazione degli amati scacchi. Una manna per il sottoscritto. Bel libro, noir o thriller psicologico che sia, anche senza il mistero della camera chiusa e la citazione degli scacchi.