Uno sguardo al passato (4)

Rubrica a cura di Fabio Lotti

Così, come mi frulla per la testa. Spunti di lettura, scrittori, sensazioni, emozioni, satirette per sorridere insieme

Il titolo mi ha intrigato. Un personaggio famoso della letteratura francese. Una morte per avvelenamento. Una indagine su una storia inventata Lo strano caso di Emma Bovary di Philippe Doumenc, Castelvecchi 2008. E allora leggiamola.
“Si chiama Emma Bovary e la sua storia è celebre: tragicamente e avidamente innamorata dell’amore, visse d’illusioni, tradì il marito, consumò se stessa e distrusse il suo matrimonio. In preda alla disperazione assunse una dose di arsenico che la portò rapidamente alla morte, o almeno così racconta Flaubert nel suo romanzo. È cosa nota però che il veleno preso una sola volta e in piccola dose, non è mai mortale…”.
E dunque l’autore vuole vederci chiaro e spedisce a Yonville per indagare “l’anziano Delévoye e il giovane praticante Remi”. Si parte dall’ultimo giorno di vita di Emma il 24 marzo 1846. Sospetto di un crimine da parte di due medici che l’hanno visitata, Larivière e Canivet. Piccole contusioni sul collo e sulla spalla. Partono, come già detto, Delévoye, Remi e anche il giovane d’Herville, esperto di flaconi e provette.
Esame del cadavere: colpi inferti da uno strumento contundente di forma arrotondata, polvere di arsenico di circa trenta grammi nello stomaco, piedi e mani graffiati da rovi e spine e frammenti anche nei capelli. Altro particolare rilevato da d’Herville: Emma incinta di cinque mesi (rientra nella casistica).
La vita di Emma si dispiega attraverso gli appunti presi da Remi durante le deposizioni di Tuvache, sindaco di Yonville, di padre Bournisien, di Charles Bovary marito, di Lheureux merciaio, di Homais farmacista, di Rodolph Boulanger proprietario terriero e amante di Emma, di Leon Dupuis praticante notaio e anche lui amante della signora, di Feliceté domestica di casa Bovary. E poi dell’esattore, del notaio e del conducente di diligenza (se non ne ho saltato qualcuno).
Charles afferma di avere trovato una lettera in cui Emma dichiara il suicidio. Purtroppo sparisce. Non mancano i colpi di scena: la confessione della signora Homais e poi quella di Charles Bovary e c’è pure Elisabeth Homais che si innamora di Remi e vuole andare via con lui (il paese le sta stretto). Ma l’inchiesta ad un certo punto viene chiusa (il motivo alla fine). Emma si è suicidata. Punto e basta.
Ripercorrere una storia bella artisticamente, anche se letteraria, fa sempre piacere. Se a questa si aggiunge il sospetto su una morte dubbia ancora meglio.

L’occhio di giada di Diane Lang, Sperling e Kupfer 2007.
“Mei è una giovane cinese intraprendente e coraggiosa. Vive a Pechino, ha un’agenzia di investigazioni tutta sua, possiede un’auto – cosa non da poco per una donna anche nella Cina d’oggi – e ha per dipiù un segretario maschio. Un giorno Zio Chen, un amico della madre di vecchia data, si presenta da lei con un’insolita richiesta: la prega di ritrovare l’occhio di giada, un antico sigillo d’inestimabile valore “scomparso” durante i saccheggi della Guardia Rossa nel periodo della Rivoluzione culturale ma che lui ha buoni motivi di ritenere ancora in città. Affascinata dalla romantica leggenda che ammanta il gioiello, l’investigatrice si mette all’opera sfidando corruzione e omertà e contattando personaggi disparati. E, mentre indaga, si trova non solo a percorrere la storia più oscura del suo Paese, ma anche a scoprirne lo scrigno dei segreti della sua vita privata e famigliare: come morì il padre? Quale terribile colpa sembra nascondere la madre ora gravemente malata? Perché il suo primo e unico amore la lasciò e ora ricompare all’improvviso?”.
Vediamo un po’ questa Mei Wang: ha il suo ufficio in un vecchio palazzo del distretto di Chongyang di Pechino, una agenzia di consulenza perché gli investigatori privati sono messi all’indice. Criticata aspramente dalla sorella minore Lu “…sei un’asociale, non ti intendi di politica, non hai guanxi, nessuna delle conoscenze e contatti di cui avresti bisogno”. Caratteristiche di Lu: tre anni più giovane e di una bellezza straordinaria. “Dolce, affascinante e piena di talento”. Primo segno di un contrasto più grande. Suo assistente (di Mei) Gupin un giovane di venti anni “con le spalle larghe e i muscoli che gli trasparivano dietro la camicia”. Timido e onesto. Costretta a lasciare il campo di lavoro e il padre scrittore insieme a sua madre Ling Bai che da giovane lavorava in una rivista di propaganda chiamata La vita delle donne. Ha trenta anni, viso tondo e capelli lunghi alle spalle. Il naso affilato e “La gente dice che mi fa sembrare sempre arrabbiata”. Ha studiato all’università di Peking. Fidanzata con Yaping che la lascia, si sposa e viene lasciato a sua volta (ben gli sta!). Si incontrano di nuovo. Lui le spiega che non ha continuato con lei perché si sentiva inferiore. Mei lascia il posto al Ministero in continua pressione con un uomo di potere che la vuole a tutti costi come amante. Si sente incompresa dagli altri e Mama (la sua mamma) la paragona al padre, un uomo solitario che viveva di letteratura, di principi e ideali “Mei è diventata proprio come suo padre: sta sempre a guardare gli altri dall’alto in basso, sempre a giudicare”. E infatti Mei avrebbe voluto diventare una scrittrice proprio come lui. Rimprovera alla madre di averlo abbandonato. Carattere forte “Un’agenzia investigativa le avrebbe dato l’indipendenza che aveva sempre desiderato. E le avrebbe dato anche la possibilità di dimostrare a tutti quelli che le avevano voltato le spalle che avrebbe avuto successo anche da sola”. Siamo nel 1995 dato che Lu si deve sposare proprio in questa data. Per lei conta soprattutto la bellezza e l’immagine. Sono diverse fra loro. Mei pensa addirittura di non andare al suo matrimonio. Parole buone dallo Zio Chen “Tu sei sempre stata la mia preferita. Non sto dicendo che Lu non mi piace, ma tu sei diversa. Sei coraggiosa. Non corri dietro alle cose come invece fanno gli altri”. Contento che abbia avviato un lavoro in proprio. Sa mettersi anche in ghingheri se l’occasione lo richiede. Ha una Mitsubishi rossa donatale dalla sorella (in questo caso gentile). Spesso colpita dai ricordi, soprattutto del padre e della madre. Assomiglia molto nell’aspetto fisico a sua madre con il naso dritto e affilato. Quando si ammala si sente in colpa per averla ferita. Sa parlare con la gente e accattivarsela. Dentro di sé avverte sempre l’attrazione per l’unico fidanzato. Quando sta per incontrarlo di nuovo “una travolgente miscela di emozioni si scatenò dentro di lei, come l’acqua che sale da un pozzo profondo, i suoi pensieri si fecero confusi”. In contrasto se vederlo o meno. Un suo giudizio “A scuola non ti sei mai integrata completamente, e non ti facevi coinvolgere da ciò che ti accadeva intorno. Un sacco di gente ti considerava arrogante. Io, invece, pensavo che fossi isolata ma felice di esserlo”.
Triste conclusione “Sembra tutto sbagliato. Ho sempre pensato che la verità e l’amore mi avrebbero resa felice. Ma non è stato così”.
Il fulcro del libro non è tanto costituito dalla vicenda gialla ma questa, come avviene sempre più spesso, costituisce l’occasione per mettere in luce le magagne di una società (fabbriche della contraffazione, polizia menefreghista, sfruttamento dei lavoratori che vengono dalle province ecc…). La conclusione: ciò che conta in America è il denaro, in Cina il potere.

L’occhio indiscreto di George Harmon Coxe, Polillo 2011.
Un imputato di omicidio, Nate Girad (dieci anni di racket) viene assolto per l’abilità dell’avvocato Mark Redfield. Alla festa per festeggiare l’evento partecipa anche Kent Murdock, ottimo fotografo del “Boston Courier Herald” che abita (bilocale economico) nello stesso palazzo di Nate. Qui incontra la ex moglie piuttosto ingrifata col sesso che non vuole il divorzio (però con 10.000 dollari si può fare…) e una bella ragazza in blu che lo snobba. Solo che più tardi se la ritrova impaurita nella sua vasca da bagno, mentre il sergente Bacon la sta cercando. C’è stato un omicidio e a rimetterci le penne è stato proprio l’avvocatone famoso. Non mancano i sospetti fra cui il fratello della ragazza.
Kent chiede al suo superiore due settimane di tempo per risolvere il problema e intascare diecimila dollari di ricompensa, metà dall’Ordine degli Avvocati e metà da un giornale concorrente (così mette a posto la moglie).
Qualche spunto su Kent: corpo asciutto, agile e robusto, occhi castani “simili a schegge di rame”, sempre in buoni rapporti con la polizia, si sente a disagio nel nascondere la ragazza (chiaro che nasce una “simpatia”), fuma sigarette ma non disdegna di tirare boccate da una vecchia pipa, whisky al bisogno, minacciato da un bel gangster che aveva visto nei paraggi dell’omicidio.
Altri elementi: un balordo che sa qualcosa (che fine farà?), un giovane giornalista che vuole farsi strada e che gli sta alle calcagna, classici momenti di tensione, pugni, spari, schivate, una lampadina da flash che scoppia al momento giusto.
Discreto approfondimento dei personaggi (almeno di alcuni), qualche spunto sulla società, un vecchio omicidio che può avere legami con quello attuale.
Un hard boiled psicologico dignitoso che decolla traballando.

L’odore del peccato di Andrea Franco, Il Giallo Mondadori 2013.
Già trovato il nostro uomo (don Attilio Verzi) in L’odore del dolore in Giallo 24-Il mistero è in onda di AA.VV., Il Giallo Mondadori extra 2013, che mi colpì per la sua originalità.
La vicenda si svolge a Roma in dieci giorni dal 16 al 26 giugno del 1846. Don Attilio Verzi ha un dono particolare “che molti avevano additato come una maledizione del demonio”. Percepisce gli odori nel profondo, “vivi come può essere viva una persona, vicini come la carezza di una madre o lo schiaffo di un padre che educa un figlio”. Centinaia di preghiere sotto la guida del bigotto padre Ruggero Ancillotti, conseguenza incubi ripetuti. Cercato dal papa per scovare l’assassino di un giovane prete, don Pasquale Masini, colpito al capo nella chiesa dei Santi Vito e Modesto. Questi era al seguito del cardinale Karl Kajetan per porre un veto proprio alla elezione del suddetto papa Mastai Ferretti (Pio IX) su ordine di Ferdinando I d’Austria.
Don Attilio viene aiutato nella ricerca del colpevole dal padre Augusto Giani, anch’egli con le sue passate sofferenze (le “cicatrici”) e in seguito dal capitano della Milizia Jacoangeli. Di fronte al morto ammazzato un odore che stona con tutto il resto e che lo assillerà per l’intera l’indagine (il “moscone” per la testa). Sempre in giro a raccogliere informazioni, partendo dalla sorella Rebecca, madre superiora dell’istituto Angelica dove era stata alloggiata una parte del seguito del cardinale, fra cui il giovane prete ucciso. Ricordi di padre Costantino Patrizi che non considerava la sua una maledizione, spinte continue dall’alto per trovare presto il benedetto “moscone” che gli ronza per la testa. Intanto si scopre che un ragazzo (l’Orbo) aveva minacciato don Pasquale Masini…
Racconto lieve, leggero, delicato, più “dentro” che fuori (ottima psicologia), qualche spicchio di realtà e critica agli uomini di Fede che hanno dimenticato Dio. Trama semplice, lineare e forse troppo semplicistica per chi ama storie più complesse. Ma la mano c’è e si sente.

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