La ragazza di Hopper – Fabio Bussotti

Fabio Bussotti
La ragazza di Hopper
Mincione, 2021
Recensione di Patrizia Debicke

La ragazza di Hopper è la settima avventura del Commissario capo Flavio Bertone, nato dalla penna di Fabio Bussotti, attore e sceneggiatore, italianissimo di nascita e di successiva esperienza lavorativa e intellettuale, che ha scelto Madrid come sua seconda patria.
Settimo appuntamento con pittura, teatro, poesia e letteratura, come “denunciano” fin dal titolo anche i precedenti romanzi (L’invidia di Velázquez, Il cameriere di Borges, Le lacrime di Borromini, L’amico di Keats, Al cuore di Beckett e San Francesco al Central Park). La ragazza di Hopper prende spunto da un celebre dipinto del 1931 di Edward Hopper, “Stanza d’Albergo”, conservato nel Museo madrileno Thyssen-Bornemisza, famosa pinacoteca e centro culturale della capitale spagnola con sede nel palazzo di Villahermosa, a pochi passi dal museo del Prado.
La telefonata dell’ispettore Ciccio Cacace convoca alle sette del mattino il commissario Flavio Bertone, molisano, alcolista cronico, depresso e da anni stanziale al commissariato Esquilino, e lo porta all’hotel Massimo D’Azeglio, poco lontano dalla stazione Termini, dove si troverà davanti a un brutale delitto. Poco prima infatti il cadavere seminudo di una cameriera, una bella ragazza bionda di origine rumena, Nora Rednic, è stata scoperto nella camera 684 dalla collega peruviana, che faceva il suo stesso turno di notte.
La giovane morta, che le ecchimosi sul collo dicono strangolata a mani nude, è stata ritrovata distesa sul letto, con addosso solo una canottiera e delle mutandine rosa. Vicino a lei, sul ripiano di un mobiletto déco, ci sono un mazzo di chiavi, la divisa da cameriera ben piegata, una crestina color crema. Le scarpe lasciate davanti alla poltrona, così come i collant abbandonati ai piedi del comodino, avvalorano l’ipotesi dell’ispettore Pizzo che la vittima potesse conoscere il suo assassino. Ipotesi che pare probabile anche al commissario Bertone, soprattutto perché tutto l’insieme suggerisce che si sia lasciata uccidere senza opporre resistenza. Gli occupanti delle stanze vicine, interrogati, dichiarano di non aver udito alcun rumore.
Ma le pareti vuote e impersonali della camera, la donna con la sua canottiera rosa, la luce bianca mattutina e i lineamenti della morta sono particolari evocativi per l’ispettore Pizzo, che durante una vacanza con la moglie in Spagna ha visitato i musei madrileni, compreso il Thyssen, e gli ricordano “Stanza d’Albergo”, dipinto da Hopper. Un’opera che dà sensazione di solitudine, di tristezza. Nelle tasche della Rednic il medico legale troverà una breve lettera d’amore scritta metà in italiano e metà in spagnolo. Ma senza firma.
Ancora una volta il Commissario Bertone si trova per le mani un gran bel rompicapo, e non gli ci vorrebbe proprio, con lo stato d’animo che si trova ad affrontare. Dopo un periodo di isolamento dovuto alla pandemia, che lo ha abituato alla solitudine, modificandogli per mesi la vita, ha capito di dover fare i conti con se stesso e con quello che vuole davvero. Motivo per il quale si prende i suoi tempi e ha allentato i rapporti con Massimiliano e Laura, figlio e quasi nuora della sua ex, l’amatissima Rosa, ormai morta d’infarto da due anni. E, forse anche per questo, non vorrebbe riprendere i rapporti affettivi con la critica d’arte Mafalda Moraes, direttrice del Whitney Museum di New York, per breve tempo direttrice del museo madrileno Tyssen, esperta di Hopper, che invece dovrà chiamare in aiuto sul caso confessandole “di essere finito in un quadro di Hopper e di non riuscire più a uscirne”.
Potrebbe servirgli la comparsa nella storia del pittore e sua moglie nel 1963, nella loro casa di Truro, durante la visita del giornalista irlandese Brian O’Doherry, e la premonizione di Hopper? Ma dopo il flash back a Cape Cod, eccoci di ritorno al commissariato dell’Esqulino, alla ricerca dell’assassino della povera Nora Rednic, donna infelice, coltissima, sola e tradita. Suo marito, un grande e grosso muratore rumeno, forse la picchiava, il cuoco peruviano dell’albergo invece le scriveva lettere appassionate, ma cosa poteva mai volere da lei una ricca contessa romana? Il commissario Bertone vorrebbe cercare lucidità nella vodka e risolvere il caso. Ma come? Molti sospetti, poche certezze… Avrebbe forse potuto dargli una mano un vecchio amico, morto suicida?
Nonostante l’apporto alle indagini dei devoti collaboratori Pizzo e Cacace e della vicecommissaria Borgonovo, e pur non essendo abituato a viaggiare, Bertone si troverà, al di là dell’Oceano, a doversi calare da solo in una pericolosa avventura degna di un film poliziesco.
Ma la realtà presenta tanti trabocchetti, è complicata, difficilissima da capire e da interpretare: quasi come un misterioso e simbolico quadro di Hopper.

Fabio Bussotti è nato a Trevi nel 1963. Attore di teatro e di cinema, si è diplomato presso la Bottega Teatrale di Firenze nel 1984. Ha lavorato in teatro con registi quali Adolfo Celi, Alvaro Piccardi, Ermanno Olmi e al cinema, tra gli altri, con Liliana Cavani, Federico Fellini, Luigi Faccini, Maurizio Zaccaro, Mario Monicelli. Ha vinto nel 1989 il Nastro d’Argento come migliore attore non protagonista per il film Francesco di Liliana Cavani. Allievo di Vittorio Gassman, è stato impegnato in teatro al fianco di Alessandro Gassman in La Parola ai Giurati e in tv tra i protagonisti della fiction Dottor Clown.

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