Il serpente maiuscolo – Pierre Lemaitre

Pierre Lemaitre
Il serpente maiuscolo
Mondadori, 2022
Traduzione di Elena Castellini
Recensione di Patrizia Debicke

In questo suo primo romanzo, Pierre Lemaitre si diverte a costruire una esasperata, misteriosa, gustosa e perfida novella, in cui si legge, si ride e si pensa poco. La trama è rassicurante e non approfondisce la psicologia dei personaggi, provocando piuttosto una reazione immediata. Reazione che nascerebbe, così pare, dal nostro cervello rettiliano, quello più antico, dove gli stimoli e le risposte immediate ignorano l’ambivalenza, per cui “tigre” significa “scappa”, “fuoco” equivale a “non toccare, brucia”, “sete” è “devo bere” e così via.
Ma chi sarebbe Il serpente maiuscolo? Beh… questo sta a voi scoprirlo.
A noi viene presentata subito la protagonista della storia: Mathilde, sessantatré anni, bassa di statura e abbastanza voluminosa (pesa 78 chili). Ma dal viso si vede che è stata una bella donna. Persino molto bella, con vaporosi capelli biondi e splendidi occhi azzurri. Con il passare degli anni il corpo ha ceduto, ma lei cura ancora in modo quasi maniacale i particolari della persona. E dunque indossa solo abiti eleganti e costosi (non ha problemi economici), va dal parrucchiere ogni settimana, usa un trucco raffinato e, soprattutto, la manicure è sempre curatissima. Sopporta con distacco le rughe e i chili in più, ma non vorrebbe mai avere delle mani in disordine.
Mathilde è la vedova di un medico e ha un’unica figlia, con la quale ha ben pochi rapporti, sposata con un americano.
Ha appena trascorso un noioso fine settimana in Normandia, ospite nella loro casa di vacanze, e sta faticosamente riguadagnando Parigi in macchina: ma l’autostrada è un vero delirio. Tutta colpa dei parigini e delle code. I giorni in cui deve lavorare, ormai, per lei finisce sempre così: nervosismo, agitazione e compagnia bella. Figuratevi poi sommati a un intenso traffico con il rientro dal fine settimana…
Mathilde Perrin abita con Ludo, tranquillo cane dalmata di appena un anno, in una villetta a Melun, a 40 km da Parigi.
Come si potrebbe mai immaginare che dietro quella impeccabile signora elegante, curata e sovrappeso si nasconda un diabolico assassino? Ma lei lo è e lo è sempre stata. Implacabile, fin dalla prima giovinezza, precisa e addestrata a uccidere senza fare una piega, Mathilde non ha mai sbagliato un colpo, realizzando con innata perizia e come un bravo soldatino tutti gli incarichi che il comandante, suo ex amante e suo superiore durante la Resistenza, le assegnava a quei tempi e continua ad assegnarle dopo tanti anni.
Ma, con quest’ultimo incarico neppure tanto difficile, qualcosa non funziona. Sarà la stanchezza, o forse è colpa del caldo improvviso… ma Mathilde, che nella sua lunga carriera ha eseguito solo operazioni lisce, pulite, senza pecche, stavolta si concede un omicidio sanguinario, persino troppo. Certo, avrebbe potuto tirare da più lontano, usare un solo proiettile, fare meno danni, però, tirate le somme, quel che doveva fare l’ha fatto… Ma per il futuro si dovrà parlare, chiarirsi, perché da un po’ di tempo c’è qualcosa che non carbura più come dovrebbe . Mathilde stessa se ne rende conto. Per esempio, dopo aver fatto fuori il bersaglio ha dimenticato di far sparire la pistola, come sarebbe la “regola”. Nelle sue ultime missioni le sono scappate di mano alcune inutili e gratuite crudeltà, roba che poi ha dovuto riparare eliminando scomodi testimoni… Sempre pericoloso. E la sua memoria sbarella un tantino. Dove diavolo ha cacciato il bigliettino che doveva bruciare? Fino a quando comincia a perdere la testa: raddoppia i bersagli, si convince persino che il suo vicino di casa, Monsieur Lepoitevin, l’ineffabile coltivatore di ortaggi, le abbia ammazzato il cane, addirittura decapitandolo… Ma quando Mathilde, pur continuando a girare a vuoto, si rende conto di rischiare la pelle, contrattacca, scatenando scintille.
L’ispettore Vassiliev, vittima del commissario Occhipinti e suo scaricabarile per i casi più rognosi, che deve indagare su quella serie di bislacchi omicidi, non ci capisce un’acca, gira a vuoto e non riesce a trovare un vero appiglio in tutta quella confusione. Anzi, sente la testa piena di serpenti ma sa di dover scoprire il serpente maiuscolo, quel misterioso assassino che continua a colpire senza nessuna logica apparente.
E anche noi non siamo messi bene: non sappiamo il motivo per cui a Mathilde vengano commissionati degli incarichi, che poi sono dei veri e propri contratti, di uccidere delle persone, né chi potrebbe essere il gran burattinaio che dirige il gioco e passa gli ordini al capo di Madame Perrin.
Scritto e ambientato nel 1985 e mai presentato a un editore, Il serpente maiuscolo è il primo noir di Lemaitre, un libro scritto prima che la sua vita prendesse tutt’altra direzione, fino all’esplosivo exploit nella scrittura e ai successivi meritati successi dal 2006.
Un romanzo dimenticato, chiuso in un cassetto per restarci più di trentacinque anni, ma che, finita la stesura del Dictionnaire amoureux du polar, Lemaitre ha deciso di ritirare fuori e, dopo averlo riletto e ripulito un po’, anche di far pubblicare, volutamente senza rimaneggiarlo, proprio come l’aveva concepito allora.
Stuzzicante, ancora acerbo ma dotato a tratti di esilaranti spunti geniali che fanno già intuire i semi di quanto porterà Lemaitre a farsi strada e primeggiare in letteratura, non si può dire che Il serpente maiuscolo sia un capolavoro, ma è senz’altro un libro in grado di fare passare qualche ora in gradevole e corroborante compagnia. Libro scritto, come ha dichiarato l’autore nella sua arguta premessa, per completare un cerchio con il primo giallo noir che diventa l’ultimo… quasi a sigillo di questa sua considerevole fase letteraria.

Pierre Lemaitre ha insegnato per molti anni letteratura ed è approdato tardi alla carriera di scrittore e sceneggiatore. Nel suo primo romanzo, Travail soigné, Lemaitre ha reso omaggio ai suoi maestri (Ellroy, McIvanney, Easton Ellis, Gaboriau). Il libro è stato insignito del Prix du premier roman al Festival di Cognac nel 2006. Il Dizionario delle letterature poliziesche, a proposito del libro, ha sottolineato come il “romanzo si faccia ricordare per alcune scene di estrema violenza”. A questo proposito, l’autore ha avuto occasione di chiedersi “Nei fatti di assassinio, come si definisce un limite ‘ragionevole’?”

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