Fabio Beccacini
Le conseguenze della Mole
Fratelli Frilli Editori
Recensione di Roberto Mistretta
Torna il commissario Giorgio Paludi e racconta in prima persona la sua primissima indagine a Torino e il proprio vissuto a Genova, senza mezzi termini né peli sulla lingua, nel nuovo romanzo di Fabio Beccacini Le conseguenze della Mole.
Un romanzo grondante sensualità e mistero, ben lontano dalla pornografia spicciola e splatter di cui sono farcite certe storie, giusto per il gusto di metterci dentro il sesso e vendere, come diceva Bukowski. Un romanzo orchestrato con introspezione dall’autore che ha analizzato a fondo il mondo della prostituzione, con la curiosità dello storico e la visione del sociologo, amalgamandoli nella verve del romanziere.
Siamo all’ombra della Mole nel 2002 e troviamo il commissario Paludi, da poco arrivato in città, alle prese con una serie di omicidi commessi contro le donnine. E troviamo anche un monsignore, figlio di un prete e di una puttana, allevato in un bordello e perciò esperto di storie di prostitute, che vuole confessare i suoi delitti proprio a Paludi.
Dal passato affiorarono come un magma lucente, piccoli e grandi aneddoti. Una certa Evelina, che alla fine dell’Ottocento lavorava come cucitrice in via Pietro Micca prima di iniziare a fare la vita nelle case di livello medio-alto di San Salvario. Una napoletana, Iris, prostituta decaduta che si ritrovò a esercitare nelle squallide case di via Conte Verde, e ancora, Yvette, malata di sifilide che morì di stenti e dolore dopo settimane di malaria.
In tutte le città della penisola si era ripetuto il canovaccio che aveva tenuto in piedi la famiglia a messe e bordelli, per dirla con Montanelli. Avevo anche io le mie storie. Pensai al vecchio casino che esisteva vicino a vico dell’Amor Perfetto a Genova, quasi alla chiusura su via Orefici. In quella zona c’era anche la casa chiusa più lussuosa di tutta la città: il Mary Noir.
Storie di ieri e prostitute assassinate di oggi, arrivate da ogni dove. Paludi, indagando, resta ammaliato da Martine, prostituta bellissima e sensualissima, nata per dare piacere agli uomini e con cui non si limita a un rapporto professionale, ma vive una relazione carnale, fatta di sesso e attrazione. Qualcosa che comincia a somigliare a un innamoramento e che fatalmente quanto brutalmente sarà spezzato.
Feci scivolare il lenzuolo fuori dal letto e la lasciai sedersi sul mio ventre, di spalle. Così potei osservare il sedere fasciato dalle mutande di pizzo chantilly nero, chiuse da un fiocco. Le scostò con abilità, senza sfilarsele.
Mentre veniva mi afferrò le gambe e ci affondò le unghie.
Poi rivolse lo sguardo verso i miei occhi stanchi e grati.
Ma non guardava me, guardava dentro di me.
Con quegli occhi mi attraversò da parte a parte e andò molto oltre.
È una storia torbida quella che ci racconta l’autore. Una storia le cui radici affondano nel fascismo, nelle cosiddette case chiuse e poi chiuse davvero con la Legge Merlin. L’ipocrisia di Stato che ha tolto le prostitute da luoghi di ritrovo noti a tutti per metterle in strada, al freddo, esposte alla pioggia, al gelo. Con ragazze nigeriane terrorizzate a cui fanno bere intrugli ributtanti a base di peli pubici e sangue mestruale. Giovanissime vite sottoposte a riti voodoo per tenerle soggiogate, minacciando ritorsioni sui familiari. Un’umanità dolente che facciamo finta di non vedere eppure vive e respira attorno a noi, vite reali, palpitanti di cui ci accorgiamo soltanto quando un assassino le uccide.
Storie di fili rossi e neri che tessono la trama di questa prima indagine torinese del commissario Giorgio Paludi.
Ebbene, le case le avevano chiuse. I bordelli erano diventati Starbucks, alberghi, negozi di vernice, Burger King, appartamenti e accoglienti case famiglia. Cosa era cambiato, dove erano finite tutte quelle anime? Io ne sapevo qualcosa, ero da poco in città ma la topografia mi era stata illustrata in maniera esauriente dai colleghi nei primi giorni di missione alla Seconda sezione.
Un romanzo che va gustato come un buon vino, e conta poco che lo si beva di botto o a piccoli sorsi, la buona letteratura come il buon vino, lascia in bocca sapore di buono.
Due parole sull’autore.
La prima volta che lessi Beccacini e conobbi il suo commissario, risale a una quindicina di anni fa, quando pubblicò Giorgio Paludi 44 anni il giorno dei Santi. Fattosi notare nell’ambiente grazie al suo primo romanzo Via Del Campo, Fabio Beccacini, scrittore e sceneggiatore di Imperia, confermò la propria verve creativa con quella nuova opera ambientata nell’inverno torinese, città industriale che sotto la sua patina di normalità nasconde deserti di solitudine. Un romanzo corale montato come un film che si dipanava nelle nebbie del Po. Un ragazzo in coma ma cosciente di tutto quello che accadeva attorno a sé, una bionda fatale, un ispettore narcolettico e lui, il commissario Giorgio Paludi ancora scottato dal G8 di Genova.
Seguirono Sushi sotto la Mole, Ultimi fuochi per Paludi e, tre anni fa, Mentre Torino dorme. Un altro caso per Paludi, un noir che si snoda tra Nord Italia, Europa, ex Paesi sovietici e Sudamerica. Romanzo in salsa hard boiled europea con richiami a Pulp fiction per ritmo e contenuti. Il commissario Paludi, 50enne e disilluso, comincia la sua indagine a Torino, dove in buona parte la storia è ambientata. L’opulenta città della Mole continua a suscitare gli appetiti di chi vuole arricchirsi in fretta e senza curarsi della legge: ‘ndrine calabresi e narcotrafficanti rumeni, albanesi, colombiani. Ben presto però la storia si sposta nel resto dell’Europa. L’autore tratteggia con maestria caratteri e spessore dei propri personaggi, rendendoli vividi e credibili, e tesse le vite altrui in una trama cinematografica articolata, sostenuta da una scrittura sapiente eppure asciutta, arricchita da vivacità linguistica che non scade mai nel volgare, neppure nelle descrizioni anatomiche più dettagliate.