Un giretto tra i miei libri…
Ogni tanto girello fra i miei libri. Ne ho tanti in casa e nel garage. Libri di ogni genere che il ragazzaccio di strada lottiano è diventato un lettore accanito. Giro e rigiro le copertine per vedere se spunta un ricordo o, almeno, una sensazione diventando la memoria sempre più stronza. Però, però ce n’è uno che mi riporta alla scuola elementare quando la maestra Elvira, in onore ai miei successi scolastici, me lo regalò per le vacanze: ovvero I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Li mortacci! Mi impantanai nelle acque del lago di Como e non ne uscii vivo maledicendo il Manzoni e tutta la sua schiatta fino a quando… Fino a quando, più avanti negli anni, volli rileggerlo nella edizione Sansoni del 1961 con il commento di Attilio Momigliano, e finalmente riuscii a capire la bellezza del romanzo e del dono della mia cara, indimenticabile maestra.
Assassinii sull’Orient Express di Manuela Costantini, Annamaria Fassio, Andrea Franco, Diego Lama, Giulio Leoni, Enrico Luceri, Roberto Mistretta, Marzia Musneci, Alberto Odone e Carlo Parri, Il Giallo Mondadori 2020.
Appena letto il titolo subito beccato, sicuro che mi avrebbe intrigato conoscere le invenzioni dei dieci autori su un treno così famoso. Avevo iniziato prendendo appunti e scrivendo una sintesi per ogni racconto, ma così facendo mi sono accorto che la cosa sarebbe stata troppo lunga e pesante per i lettori. Una specie di rece mallopposa difficile da digerire. Allora ho deciso di buttare giù come detta l’ispirazione.
Prima di tutto un felice abbraccio con personaggi quasi tutti già conosciuti con le loro caratteristiche, le loro tecniche investigative, le qualità o “doni” (i due cervelli, la percezione degli odori…), le debolezze, i tic, le manie (chi fuma il sigaro, chi lecca i bastoncini di liquirizia ecc…): l’avvocato Filippo Dolci, il commissario capo Erica Franzoni, monsignor Attilio Verzi, il commissario Veneruso, l’architetto Cesare Marni, il commissario Bonocore, il maresciallo Bonanno, l’investigatore privato Matteo Montesi, il Kriminalinspector Meingast (questo per me una nuova scoperta), il vicequestore Cardosa.
Ed eccoli lì sul treno famoso, scintillante di lusso, a godersi una bella vacanza con la compagna o il compagno della vita (ma anche da soli) o a dover compiere, magari controvoglia, il proprio dovere poliziesco. Costretti, volenti o nolenti, a dover sciogliere, in prima persona o apparentemente distaccati, il classico busillis dell’assassinio sul treno. Magari insieme a qualche grande scrittore o personaggio della letteratura gialla, come Conan Doyle o lo stesso Watson, tanto per portare solo un paio di esempi, e comunque sulle orme dell’inimitabile Poirot che può apparire anche nel titolo. In tempi naturalmente diversi che ognuno di loro sta trascorrendo la propria vita durante un determinato periodo storico.
C’è, prima di tutto, la creazione di una particolare atmosfera interna ed esterna. Di lusso, dicevo, di gusto, di perfezione, di eleganza, di smodato vivere, di piatti succulenti, intaccata da qualcosa che stride, che non va. Da qualche personaggio (ottima la caratterizzazione del “gruppo” a creare scontro di personalità) che se ne sta troppo tempo rinchiuso in cabina, da un suo improvviso cambio di umore, oppure da un segnale poco rassicurante del volto, degli occhi , di sorpresa, di paura, di odio, seguito dopo un po’ dalla scena raccapricciante della sua non voluta (però può essere anche voluta…), sanguinosa dipartita. Perché? Che cosa ha visto? Chi ha visto? Quale il movente? Sesso? Denaro? Invidia? Vecchi rancori? Mentre là fuori imperversa, magari, una tregenda di neve e il treno è costretto a fermarsi.
Gli autori, espertissimi, danno sfogo a tutte le possibili strategie, a tutti i trucchi possibili per creare situazioni incredibili e allo stesso tempo risolvibili attraverso la sagacità dei loro beniamini, e ad una ricca varietà di stili che va dal velocissimo martellamento parolesco (mio conio) ad un fluire più morbido e lento. Sgomento, fibrillazione, scontro, paura, drammatiche rievocazioni di terribili vicende storiche (vedi, per esempio, quella dei desaparecidos) ma anche tocchi di humor e ironia (basterebbe da solo Veneruso), citazioni e rimandi, come doveroso, sentito omaggio alle opere della Christie insieme a qualche inevitabile ripetizione (il ventriloquo) dalle quali si percepisce appieno la passione, la gioia e il divertimento con cui sono stati scritti i racconti.
Ottima idea curata e realizzata da Franco Forte. Ora ci aspettiamo Assassinii sul palcoscenico.
Omicidi nel villaggio di Georgette Heyer, Edmund Crispin e Leo Bruce, Mondadori 2020.
Il villaggio, come scrive il nostro Mauro Boncompagni nella Introduzione, è il posto più congeniale al giallo classico in cui il male può scaturire dappertutto e da parte di chiunque. Oggi ne vedremo tre esempi eclatanti. Partiamo dal primo…
L’omicidio di Norton Manor di Georgette Heyer
L’avvocato londinese Frank Amberley sta andando con la sua potente Bentley lungo una stradina di campagna verso Greythorne mentre incombe foschia autunnale. Vede una Austin accostata sul ciglio, una ragazza appoggiata alla portiera e un piccolo foro di proiettile sul parabrezza. Alla guida un uomo ucciso. La ragazza ha pure una pistola ma la lascia andare (naturalmente la ritroveremo in seguito). Perché?…
La vittima è il maggiordomo di Norton Manor, una bella tenuta ereditata dal giovane Basil Fountain, dove il nostro avvocato potrà iniziare a svolgere le sue osservazioni, essendo stato invitato da sua cugina Felicity e dalla zia lady Matthews proprio lì per un ballo in maschera. Già la casa è da brivido perché sorge su “peccati e tragedie antichi” ed è “così misteriosa e silenziosa” che, appena varcata la soglia, si viene colti da “un senso di depressione”. Ma il delitto sembra quasi dare fastidio in questo piccolo mondo presuntuoso di partite a golf, biliardo, prelibatezze culinarie, denaro e denaro. Alcuni punti essenziali: il maggiordomo aveva messo una bella somma da parte; l’importanza di un certo libro; il classico testamento; il bosco oscuro e misterioso e poi l’amore. Ah! l’amore!
Dialoghi su dialoghi costruiti sapientemente (per cui i gialli della Heyer sono stati anche denominati “conversation thrillers”).
La morte nel villaggio di Edmund Crispin
2 giugno 1950. Il signor Datchery, “alto e magro, tra i quaranta e i cinquanta”, si avvia verso Cotten Abbas dove succedono strane cose. Una in particolare riguarda le lettere anonime, formate da parole ritagliate da articoli di giornale, che ossessionano gli abitanti e sfociano in omicidi. Dal paese emana aria di agiatezza, quella di un villaggio abitato da gente benestante, da una ricca borghesia. Datchery si presenta come uno studioso di sociologia che si occupa della vita rurale. In realtà, lo scopriremo in seguito, trattasi di Gervase Fen, professore universitario e detective dilettante chiamato a risolvere il mistero delle lettere anonime da uno dei personaggi. Tra questi spiccano la dottoressa Helen Dowing sulla quale pesa il pregiudizio delle dottoresse di un tempo, mentre invece tutto va a gonfie vele per il dottor George Sims, poi l’odiato Harry Rolt, padre di Penelope e Peter (un ragazzo piuttosto “particolare”) perché ha una segheria che rovina il paesaggio (tra l’altro non è snob come gli altri abitanti) e il signor Weaver, macellaio, praticante della setta dei Figli di Abramo. Con il contorno delle solite vecchiette di paese che sanno tutto di tutti.
Primo problema, l’amica della dottoressa, Beatrice Keats-Madderly, si è impiccata. Le erano state recapitate cinque lettere con la posta del mattino ma era sparita quella con l’inchiostro violetto. Ad indagare il commissario Babington e l’ispettore Casby, mentre Datchery se ne va in giro per tirar fuori qualcosa dai pettegolezzi della gente. Nella testa quel colore violetto gli ricorda qualcosa… Ed arriva un morto ammazzato che forse sapeva troppo. Viene sospettata proprio Helen erede del patrimonio di Beatrice ma alla fine tutti in circolo ad ascoltare la ricostruzione dettagliata del vero Gervase Fen.
La moglie del dottore di Leo Bruce
Per il sergente Beef ci sono dei casi di omicidio in cui l’uomo del posto batte “tutti i furbacchioni di Scotland Yard” perché conosce la gente coinvolta. Vedi, per esempio, la morte della moglie di un dottore a Braxham. Più precisamente del dottor Markwright. Morte naturale, morte per tetano causata da una ferita alla mano secondo i soliti Capoccioni. Ma non per lui che conosceva i soggetti interessati. Morte naturale un corno! Trattasi di un vero e proprio omicidio, anche se…
Due romanzi ed un racconto diversi nella realizzazione stilistica e proprio per questo complementari. Rigore, leggerezza, stravaganza, citazioni colte, humor, ironia graffiante, pathos, tensione, movimento, paura. Eccetera, eccetera. Quando c’è qualcosa curata da Mauro Boncompagni, beccatela subito.
Dapprima le cellule grigie, le stanze chiuse, gli indizi, i sospetti, la soluzione finale davanti a tutti con il detective baffuto (ma anche senza baffi) o l’amabile vecchietta a tirar fuori insospettabili deduzioni e beccare in castagna l’incauto assassino. Solo dopo è venuto il detective squattrinato, l’ufficio polveroso, la segretaria popputa, lo spazio aperto, il movimento, la corsa, la scazzottata, la pistola che canta ad ogni batter di ciglia. Questo è stato il mio percorso dal classico mystery all’inglese all’hard boiled americana. Ho amato il primo, ho sofferto e poi imparato ad amare anche il secondo. Sempre che si trattasse di autori che lo facessero amare. Quelli con le palle come Dashiel Hammet, per esempio, di cui la Mondadori ci regala L’istinto della caccia, ovvero dieci racconti straordinari.
Inutile sprecare parole su Hammett che tutti lo conoscono e sarebbe solo un vano sbrodolare di cose dette e ridette, magari citando pure lo stracitato giudizio di Chandler. Veniamo al sodo, cioè ai suoi racconti. Personaggio principale il detective (non mi pare di avere trovato il suo nome ma dovrebbe essere Nich Charles che viene fuori da altri lavori) della “Continental Detective Agency” di San Francisco alle dirette dipendenze del “Vecchio”, un vecchietto (appunto) robusto con i baffi bianchi, faccione roseo, occhi azzurri dietro occhiali senza montatura, cordiale meno “di una corda da capestro”. Prendiamo il primo racconto “Attacco a Couffignal”, tanto per avere un’idea. Due parole: Couffignal è una piccola isola a forma di cuneo abitata da gente che non sta per niente male (eufemismo). In una delle belle case che la punteggiano il nostro detective deve tenere sott’occhio i regali di nozze di una coppia di sposi (avete capito bene). Compito facile se non ci fosse di mezzo, la pioggia, il vento, la luce che va via, scoppi di esplosivi, sparatorie e dunque la necessità di lasciare i regali sotto lo sguardo vigile di due persone e vedere cosa succede là fuori. Succede la rapina ad una banca e al ritorno due morti ammazzati ed i regali, quelli più importanti, spariti. Qui scatta lo Sherlock Holmes nascosto in lui e in quattro e quattr’otto ti becca il colpevole (deduzioni impeccabili).
A volte deve ritrovare una figlia scomparsa di qualche riccone, se non addirittura due e allora è corsa, movimento, lotta, botte da orbi, coltellate e spari da tutte le parti. A San Francisco, dicevo, magari nel quartiere cinese tanto per dare un tocco di esotico tra buio, infide fanciulle, corse sui tetti, contrabbando di armi, menzogne e tradimenti. Con il nostro a risolvere i problemi e salvare il salvabile, magari dopo qualche tirata di sigaretta, un sorso di gin al ginger (ma va bene anche altro) andando anche un po’ contro la legge. Nich fa questo lavoro sia per i soldi ma, soprattutto, perché gli piace: “È l’unico sport che io conosca e non riesco ad immaginare avvenire più piacevole che un’altra ventina e più d’anni di questo sport. E non ho intenzione di privarmene!”. Un cacciatore (da qui il titolo della raccolta) che non si lascia sfuggire la preda ma che non spara per uccidere (solo se costretto). Gli basta mirare al polpaccio o al ginocchio tanto per fermare l’avversario di turno.
Talvolta ci si sposta in Muravia sotto i colpi della rivoluzione (incasinamento politico) o nel deserto dell’Arizona dove da sceriffo se la deve vedere con la banda di mascalzoni che pullulano anche lì e dove prospera un mercato di immigrazione clandestina. Tutto il mondo, anche nei tempi passati, è paese.
Movimento, forza, brutalità, tensione e paura, puntigliosa osservazione e deduzione (anche molto dettagliata) che non si guardano in cagnesco ma vanno a braccetto come bravi scolaretti. Personaggi colti nella loro vera essenza esteriore ed intima, presentati uno per uno, a partire dai suoi collaboratori ed informatori (come Dick Foley) fino al più bieco dei disgraziati maledetti, con la loro vita passata e la presente viva e pulsante. Orrori e tragedie, lievi speranze in un mondo che non lascia spazio ai deboli e agli onesti e l’ambiente esterno, cittadino e aperto, a fare da sponda a tutti i rimescolamenti dell’animo umano.
Stile secco e preciso come una stilettata, infiocchettato di pungente ironia che non risparmia nessuno. Le frecciate arrivano all’improvviso quando meno te lo aspetti. Ironia e auto ironia tanto da far esclamare al nostro detective alla fine di una frenetica avventura “Che vita!”.
Non aggiungo altro. È poco, è niente, ma di fronte a certi scrittori è meglio leggerli e stare zitti. Che ci si risparmia pure qualche brutta figura.
I Maigret di Marco Bettalli
Maigret, Lognon e i gangster del 1952
Scritto, come gli altri, numerosi, di questi anni, nell’“esilio” americano della Shadow Rock Farm nel Connecticut, il romanzo cerca di introdurre un po’ di America, dei suoi metodi polizieschi e criminali, in una Parigi piovigginosa e novembrina. I risultati sono molto migliori dei Maigret ambientati direttamente negli USA: vengono mantenuti i siparietti sulle differenze tra i due paesi, conditi dai “complessi di inferiorità” e dalla vaga stizza nei confronti degli americani, gangster e FBI non fa differenza, che credono di potersi permettere qualsiasi cosa, come se fossero a casa propria e la polizia francese non contasse nulla; ma l’ambientazione parigina garantisce più scorrevolezza, equilibrio e naturalezza. La presenza dei gangster causa anche una attività… fisica molto maggiore, con sparatorie, catture, inseguimenti che non sono propri dei Maigret tradizionali, ma sono inseriti con ironia e leggerezza. A introdurre la faccenda, la macchietta un po’ sforzata, ma comunque divertente, di Lognon, l’ispettore sfortunato, lagnoso e sempre nei guai (anche qui, passerà tutto il tempo dell’inchiesta ferito all’ospedale), nonché marito di una donna malaticcia e terrificante.
La rivoltella di Maigret del 1952
Siamo a giugno, fa caldo e il clima è pre-vacanziero. Il furto, anomalo quant’altri mai (e diciamolo pure, del tutto inverosimile) di una rivoltella a casa di Maigret, in presenza della signora Maigret, da parte di un ragazzo per bene, per il quale la suddetta aveva subito manifestato sentimenti materni, dà il via a una storia tanto complessa quanto poco sensata e, nel complesso, di scarso interesse. Tutta la vicenda è incentrata sulla figura tragica di François Lagrange, grasso, flaccido, debole, patetico e un po’ schifoso personaggio, avventuriero, ricattatore, imprenditore, viveur di terza tacca e coglione di primissima categoria. Scoperta la sua colpevolezza, si fingerà pazzo e forse eviterà la pena capitale. La parte migliore, che salva il romanzo dal voto minimo, è la trasferta a Londra, con i siparietti del commissario alle prese con le abitudini inglesi, i funzionari di Scotland Yard e le regole immutabili dei grandi alberghi come il Savoy, luoghi, lo sappiamo già, che il nostro ha sempre cordialmente odiato. En passant, apprendiamo, notizia contenuta credo solo qui, che i nomi di battesimo completi di Maigret sono Jules Joseph Anthelme.
Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)
Perla nera di Lisa Marklund, Marsilio 2020
Una storia di amore, passione, avventura, molto diversa, sia come personaggi che per l’ambientazione esotica, da quelle scritte in precedenza da Liza Marklund. Manihiki è un minuscolo ma splendido atollo nell’oceano Pacifico, parte delle isole Cook, uno degli arcipelaghi tropicali più isolati al mondo, collegato via radio con il resto del pianeta. Le isole Cook, quindici e distribuite all’interno di una vasta area, sono una nazione indipendente del Sud Pacifico, legata politicamente alla Nuova Zelanda. La sua popolazione è di razza Maori. Manihiki, che possiede un aeroporto usato praticamente solo dai mercanti di perle con i loro jet privati, è abitualmente tenuta in comunicazione con il resto del mondo per mezzo di una nave postale che fa il giro dell’arcipelago e getta l’ancora più o meno una volta al mese. La nave provvede all’arrivo dei rifornimenti da Rarotonga, l’isola maggiore. Salvo che non vada a finire tra gli scogli, come è accaduto due anni fa alla vecchia Manuvai, un ex cargo trasferito nel Pacifico dopo oltre venti gloriosi anni nell’Atlantico, per cui da allora gli isolani sopravvivono con le loro risorse, ma manca il gasolio per far funzionare i generatori di elettricità. Naturalmente non esistono auto, ma solo motocicli e la vita è fatta di poche cose, soprattutto la pesca delle perle.
Kiona lavora nella fabbrica di perle di famiglia, nel fiorente settore di allevamento delle perle nere dell’Oceano Pacifico, di cui Manihiki è la punta di diamante per l’eccezionale qualità. Nei quattro km della sua laguna ci sono infatti diversi allevamenti o piantagioni che danno lavoro a molti abitanti del luogo. L’allevamento e la pesca delle ostriche è un’attività faticosa e molto pericolosa, perché per la manutenzione è necessario immergersi in apnea fino a grandi profondità. Sua sorella Moana infatti è morta annegata l’anno prima. Aveva solo ventidue anni ed è rimasta impigliata durante un’immersione. Kiona, che se ne fa una colpa senza ragione per non essere riuscita a liberarla in tempo, continua tuttavia ogni giorno a immergersi come prima. La loro è un’attività dura ma redditizia, che si rinnova stagione dopo stagione con la consuetudine di una routine. Kiona non ha mai visto il mondo, ma è curiosa e istruita. A Manihiki i ragazzi frequentano la scuola, possono leggere molti libri, lei ne possiede e ne ha letti moltissimi, ma sogna di continuare a studiare e andare all’università di Auckland come avrebbe dovuto fare sua sorella. La sua vita è sempre la stessa, secondo i tranquilli ritmi dell’isola, divisa tra la pesca delle perle e l’aiuto alla madre Evelyn, diplomata infermiera e in pratica unica presenza medica nel dispensario locale, fino al giorno in cui, dopo l’allerta per un uragano, una barca a vela va a schiantarsi contro la barriera corallina. I soccorritori riescono appena in tempo a raggiungere il relitto che sta per affondare ed estrarre l’uomo che si trovava a bordo. La madre di Kiona curerà la profonda ferita alla testa del naufrago, riuscirà a stabilizzare la sua disidratazione, cercherà in qualche modo di sistemare la mano destra, evidentemente fratturata malamente, e di raddrizzare e ingessare la gamba destra rotta in due punti. Quell’uomo, che scopriranno si chiama Erik, ha gli occhi color dell’acqua e viene dalla Svezia. Ed Erik, irrompendo in quel mondo di Kiona, cambierà completamente la sua esistenza e il suo modo di pensare offrendole una diversa dimensione affettiva e intellettuale…
Liza Marklund, che fa partire la sua storia in una terra lontana, quasi un ideale poster vacanziero di un’agenzia di viaggi, sceglie per protagonista una nativa, una persona semplice ma non ignorante, un donna acculturata come molti sanno esserlo in quei paesi dominati dalla cultura anglosassone. Alla giovane affida il difficile compito di battersi anche con le astruse questioni legate all’economia globale. Una bella storia, un appassionante concentrato di mistero, denaro e violenza. Un’ottima caratterizzazione dei personaggi e una straordinaria ambientazione accompagnano tutta la narrazione di un libro intelligente e intrigante che costringe il lettore a entrare nei meandri del noir strettamente collegato alla fiscalità internazionale.
Caccia all’uomo di Robert Crais, Mondadori 2020
Los Angeles, California: quando Devon Connor, mamma single, si rende conto che suo figlio, il diciassettenne Tyson, adolescente timido, ansioso, troppo tecnologico e poco sociale, tanto che ha dovuto iscriverlo a una scuola alternativa, da mesi sfoggia camicie da urlo, indossa un guardaroba firmato che sostiene trovato al mercatino delle pulci (ma la giacca da tremila dollari, a suo dire recuperata dagli abiti di scena di un set cinematografico, invece è stata comprata proprio dal figlio nel negozio di lusso e pagata in contanti), comincia a preoccuparsi. Quando al polso di Tyson compare un Rolex Daytona da 40.000 dollari, che lui dichiara un falso comprato anche quello al mercatino delle pulci, la poveretta va in tilt.
Teme che il ragazzo abbia imboccato una brutta strada, maneggia troppi soldi e potrebbe essere coinvolto nel giro della droga o peggio. Allora decide di ingaggiare l’investigatore privato Elvis Cole per scoprire cosa stia combinando. Elvis Cole, reduce decorato dal Vietnam, ex vigilante, esperto di arti marziali (soprattutto Wing Chun, Tae Kwon Do e Tai Chi), accetta di fare un primo giro esplorativo e annusare la situazione. Per cui prende il numero di serie del Rolex, salta sulla mitica decappottabile Chevrolet Corvette Stingray “Jamaica Yellow” del 1966, e comincia a muovere le sue pedine. Chiede lumi a una vecchia amica, proprietaria di un famoso negozio di orologi di Santa Monica, e la verità è che si tratta di furto!
Anzi, di tanti furti. Con altri due ragazzi, più o meno suoi coetanei, Tyson ha organizzato e portato a termine una serie di abili e fortunate ruberie di alto bordo. Roba da migliaia di dollari. I tre complici hanno arraffato di tutto, purché fosse commerciabile: abiti, gioielli, oggetti di elettronica, laptop. Che poi esibiscono o vanno a rivendere nel mercatino delle pulci del grande parcheggio recintato sul lato meno appetibile di Main Street, a qualche isolato dalla spiaggia di Venice.
Ragazzate per farsi belli? Per impasticcarsi o frequentare locali alla moda? Una scelta sbagliata che sta per portare a una conclusione mortale perché, evidentemente, i ragazzi hanno rubato qualcosa di molto pericoloso a qualcuno, anche più pericoloso, che non ci sta, anzi ha dato incarico a due spietati killer, i più efficaci su piazza, di recuperare quel qualcosa a ogni costo. Killer che stanno per individuare i loro bersagli e colpire. Quando Alec, uno dei tre adolescenti della banda, viene ucciso in un incidente automobilistico simulato, la faccenda si fa critica. Cole cerca di far convincere Tyson da sua madre ad andare alla polizia e costituirsi e invece lui e Amber spariscono.
Elvis Cole coinvolge nel caso il suo fidato amico e socio Joe Pike, ex marine che sa bene il fatto suo: bisogna ritrovare i ragazzi e metterli al sicuro. Ma la faccenda scotta e di ora in ora diventa sempre più complicata e rischiosa…
Stringente, convincente e intrigante fin dalle prime pagine, (potremmo dire “alla Crais”, sempre apprezzato per il suo coinvolgente ritmo narrativo) Caccia all’uomo è l’ultimo romanzo di Crais – scrittore di fama internazionale, stranamente poco apprezzato in Italia e pubblicato con miope parsimonia – della celebre serie interpretata dall’accoppiata investigativa Elvis Cole e Joe Pyke. Accoppiata sempre privilegiata dall’autore che, per la figura dell’investigatore privato, si è ispirato a suo padre, eccellente poliziotto americano. La serie del ciclo Cole/Pike ha visto ben diciassette romanzi fino al 2017 (l’ultimo, il diciottesimo, è uscito negli Stati Uniti nel 2019 e non è ancora tradotto), ma per la quale Crais ha sempre respinto trasposizioni cinematografiche o televisive. Infatti, nonostante abbia cominciato la sua fortunata carriera lavorativa come sceneggiatore, ha sempre rifiutato di cederne i diritti dichiarando: “Elvis Cole è nato solo per la carta stampata. È un personaggio vivo e credibile solo quando raggiunge e tocca la mente dei miei lettori. Insomma qualcosa di speciale che ognuno può immaginare come vuole. Se gli regalassi il volto di un attore sarebbe sciupare qualcosa di privato e personale tra me e loro. E avrei paura di deluderli”.
Le letture di Jonathan
Cari ragazzi,
oggi vi presento Polposaura affamata… coda stritolata! di Geronimo Stilton, Piemme 2013.
Nel villaggio di Pietropolis il famoso marinaio Pirat Ruk deve partire per tornare a casa nelle isole Piratrucche con una grandissima barca che ha costruito. Però non vuole lasciare tutti gli amici che ha conosciuto, quindi Geronimo e la sua famiglia si ritrovano ad accompagnarlo in questo viaggio lungo e pericoloso. Infatti incontrano molti pericoli tra cui un mostro marino lungo e grandissimo che sta per ribaltare l’intera barca, un polpo femmina gigante che vuole divorare Geronimo e due tigri dai denti a sciabola che si sono nascoste nelle cabine.
Alla fine tutto finisce bene, Geronimo e i suoi amici riescono a salvarsi per un pelo… Che emozioni!
Le letture di Jessica
Cari bambini,
oggi vi presento Il pesciolino d’oro dei Fratelli Grimm, Giunti 2018.
Un giorno un pescatore, che vive in una vecchia capanna, pesca un pesciolino d’oro che lo prega di lasciarlo libero perché è un principe vittima di un incantesimo. Il pescatore lo accontenta ma quando arriva a casa viene sgridato dalla moglie. Deve ritornare dal pesciolino d’oro e chiedergli in cambio una bella casetta. E così avviene. Ma la moglie non è mai contenta. Dopo la casetta vuole un castello, poi diventare regina di tutto il paese, poi imperatore, poi papa, infine diventare come Dio. La accontenterà ancora il pesciolino d’oro, oppure…? Io la strozzerei.