Rubrica a cura di Fabio Lotti
Questa volta non ho portato libri da leggere sulla tazza. Avevo il corpo sciolto.
P.S.
Ricordatevi che una cazzata al giorno leva il medico di torno. A meno che non arrivi il coglionavirus…
La ragazza che guardava l’acqua di Giorgio Faletti, La nave di Teseo 2019.
Quando uscì Io uccido, che ebbe un successo strepitoso (vendute oltre cinque milioni di copie), molti criticarono aspramente l’autore e alcuni gettarono solo fango su di lui. A me il libro piacque e mi piace pure leggere anche alcuni racconti come questo.
Ha il collo lungo, le zampe palmate, il corpo affusolato e vive in una caverna sottomarina di un lago di montagna. Da lì può osservare il mondo esterno, gli abitanti che lo frequentano e sentire le vibrazioni dei loro sentimenti. Nessuno lo può vedere, forse solo i bambini, e può essere avvertito dai cani come era successo in passato. Fino all’arrivo della ragazza che emana vibrazioni diverse. Piange. E si accorge di piangere anche lui. C’è qualcosa che li accomuna, che li fa sentire vicini. La ragazza ritorna, conosce un ragazzo con il cane Delos. Lui si chiama Marcel. Nasce un’amicizia. Anzi l’amore. Ma ecco sopraggiungere lo sfruttatore da cui era fuggita e allora sono insulti e botte. E qui entra in azione questo essere misterioso e solitario….
Racconto breve, intenso, fatto di suggestioni, colori, sensazioni. Di atmosfera leggera che diventa improvvisamente cruda. Che cosa avrà voluto rappresentare l’autore con questo particolare personaggio? Forse la nostra coscienza che si deve ribellare di fronte al male?
La morte di Belle di Georges Simenon, Adelphi 2020.
“Il corpo era steso al centro della camera sul tappeto verde, con gli occhi aperti e la bocca spalancata, e sotto l’abito di lana azzurra, sollevato fino a metà del ventre, si potevano vedere il bustino e le giarrettiere nere con le calze ancora agganciate. Più in là, per terra, appallottolate come un fazzoletto, le mutandine color rosa pallido.”
Trattasi di Belle Sherman ospite nella casa di Spencer Ashby, professore di storia alla Crestview, sposato con Christine, membro della comunità dei puritani del Connecticut. Due personalità in netto contrasto, essendo il primo un pantofolaio piuttosto chiuso in se stesso, mentre la moglie è aperta alla vita sociale e a mantenere buoni rapporti con tutti. Ed è stato proprio Spencer, impegnato a lavorare con il tornio, l’ultimo a vedere Belle viva. Ecco, allora, che arrivano i guai…
Anche perché Belle è una ragazza coi fiocchi dalla vita sentimentale piuttosto movimentata. Possibile che il nostro professore non abbia sentito nulla? Possibile che non si sia accorto di niente? Possibile che non abbia avuto qualche mira sulla ragazza? Domande, dubbi, tormenti che scavano nella sua psiche e che riportano a galla un passato doloroso: un matrimonio non proprio convincente (“Nessuno dei due avrebbe potuto dire che cosa li avesse convinti al grande passo”); il ricordo di un lontano “osceno turbamento” ma, soprattutto, il tremendo suicidio del padre donnaiolo. Si sente accusato e accerchiato dalla polizia e da tutti, perfino dalla moglie anche se non lo dice apertamente. Il sospetto incombe minaccioso su di lui. Viene esonerato dalla scuola, in chiesa è fissato dal pastore mentre martella “La morte de’ peccatori è orribile”, un cugino lo apostrofa al bar perché si fa vedere in giro e una M maiuscola compare all’improvviso dipinta sulla facciata della casa, ad indicare che lì c’è Murderer, un assassino. Arrivano gli incubi. È stanco, svuotato, rassegnato. Ma chi è l’assassino?…
Una discesa angosciosa nella psiche umana.
Ah l’amore l’amore di Antonio Manzini, Sellerio 2020.
Santo Stefano, 26 dicembre 2014. La rottura di coglioni è il ritornello preferito di Rocco Schiavone, vicequestore ad Aosta, che ora si trova in ospedale dopo essere stato ferito in uno scontro a fuoco con conseguente perdita di un rene.
Ma a smuovere la noiosa e stressante vita ospedaliera (non basta la lettura di qualche libro di Stephen King e compagnia bella) ecco arrivare una strana morte. Quella del ricco imprenditore Roberto Sirchia, che ha subito un intervento analogo al suo ma ci ha rimesso la pelle per un errore di trasfusione di sangue. Solo un caso di malasanità, una incosciente distrazione o c’è dietro la mano di un omicida? Anche perché si scoprirà, strada facendo, che il riccone era pieno di debiti e aveva firmato una straordinaria assicurazione sulla vita. Ghiotta occasione per il nostro vicequestore che sguinzaglia tutta la sua squadra e, addirittura, esce di nascosto dall’ospedale per indagare di persona! Partendo dall’incontro con la moglie e il figlio del morto. Tanto per tastare il terreno. Poi via alla fabbrica di Sirchia, facendosi passare per un graduato della Finanza e si scopre uno scontro tra padre e figlio che voleva ingrandire l’azienda..
Al centro della scena il nostro Rocco, vedovo di Marina con la quale sembra ancora colloquiare “Lo sai qual è il problema, Rocco? Hai paura di lasciarti amare. Tutto qui.” Un tipo tosto (con le sue debolezze) e se c’è da menar le mani si menano senza alcun problema e si fa pure qualche bella tirata di tabacco e marijuana. Contrastato dall’alto (un classico) che la famiglia Sirchia è potente e aiutato da un gruppo di personaggi, ognuno dei quali presenta un carattere e un vissuto del tutto particolare. Chi se la spassa con due sorelle e una cugina, e chi è troppo timido per esternare il proprio sentimento. Dubbi, tormenti, battute, sberleffi, prese per il culo (vedi il “coinquilino” della camera dell’ospedale), insieme a momenti di pathos (un’ombra si aggira nei dintorni) e lirica delicatezza. Lo sforzo è notevole, qualche passo in avanti, qualche scoperta, continui, assillanti pedinamenti e qualcuno che ha sostituito l’etichetta del sangue…
Poi alla fine, sia dell’anno 2014 che della storia…
Ah, l’amore, l’amore!
Blog Killers di Cristina Aicardi, Nico Donvito, Caterina Falconi, Manuel Figliolini, Elio Freda, Cecilia Lavopa, Giuseppe Pastore, Isabella Saffayè, Lorenzo Strisciullo e Aniello Troiano, I Buoni Cugini editori 2018.
Una bella idea davvero quella di invitare certi blogger a scrivere racconti sul tema “Almeno un morto” nelle varie sfaccettature della letteratura poliziesca. In tutto dieci che rappresentano, come scrive Giuseppe Previti nella prefazione, “l’ennesima conferma di una passione infinita verso questo genere letterario”. Merito della casa editrice, dello stesso Previti e della curatrice Monica Bartolini.
Avevo già scritto “Veniamo a qualche breve spunto…” con l’idea di appuntare i fatti salienti dei racconti prima di buttar giù la recensione quando, dopo un po’, mi sono stancato (appartengo alla congrega degli sfaticati nati il 1° maggio) e ho deciso di non interrompere più la lettura ma di gustarla lentamente. Ed è venuta fuori una ricca miscela di idee, invenzioni e soluzioni tipiche di ogni giallo, thriller o noir che si rispetti. Partendo dalla famiglia. Dalla violenza e dal male che si annida dentro l’universo familiare, come quella orrenda maschilista sulle donne e sugli altri elementi più deboli sin dall’infanzia. Con tutte le conseguenze possibili sulla loro vita presente e futura che possono portare anche al delitto. Violenza o mancanza di amore da parte degli adulti e a volte degli stessi figli che non vedono l’ora di rinchiudere i propri vecchietti in una casa di riposo. Se a ciò si aggiunge anche quella sociale il quadro che ne deriva risulta davvero raccapricciante. D’altra parte almeno un morto è indispensabile in questi racconti, e dunque l’istinto omicida deve pur venire fuori da qualche sanguinosa fessura.
Altro elemento importante l’amore (mi viene in mente Ah, l’amore l’amore del sopracitato), il sesso, i festini, la baldoria e il tradimento che provocano inevitabilmente situazioni angosciose per chi lo subisce e, inevitabilmente, un finale tragico per chi lo ha prodotto. Anche se non sempre tutto fila liscio come l’olio, perché a volte il Caso ci mette lo zampino (mi ricorda qualcuno…), persino due volte, e alla fine addirittura nelle vesti di un tappeto sgualcito…
La scena si può svolgere in qualunque luogo, spesso in ospedale dove già aleggia per le stanze l’ombra della morte (qui si può anche tirare il calzino scivolando sul borotalco) e nascere da un vero e proprio incubo. Vedi il tizio che si risveglia dentro un freezer (giuro) in una baita di montagna (chi ce l’ha infilato?) mentre qualcuno sta preparandogli la fossa. Oppure il terribile assassino che uccide seguendo le indicazioni di due alieni (arigiuro!) usciti da un ripetitore telefonico. E se non è pura e cruda realtà, allora si tratta, comunque, di pura e cruda allucinazione (siamo sempre in ospedale).
Non manca, non poteva mancare il serial killer, personaggio pazzesco di mille avventure tutto preso dall’odio viscerale per le donne e nello stesso tempo appassionato di fiori (che carino!). E le donne? Hanno almeno una parte nefasta in questa tregenda di sangue? Certo che ce l’hanno. Come quella che se ne va in crociera con il figlio armata di tutto punto per far fuori la vittima predestinata. E non c’è bisogno di pistole e coltelli. Alla donna basta il veleno e un po’ di sorriso a tirar su l’angosciato lettore in questa valle di lacrime.
Il tutto costruito con gli ingredienti essenziali tipici di questi particolari racconti: brivido, paura, panico, alternarsi di sequenze temporali e di personaggi ognuno con le proprie caratteristiche, il passato penoso e tragico che si riversa nel presente, l’uso delle frasi in corsivo, i tentativi di depistare il lettore, il famoso colpo finale a sorpresa. Eccetera, eccetera.
Davvero una bella iniziativa e un bel libro.
I Maigret di Marco Bettalli
Gli scrupoli di Maigret del 1958
Giallo psicanalitico o meglio psichiatrico: in un contesto un po’ malinconico (la Parigi ai primi di gennaio subito dopo le feste, la signora Maigret che preoccupa il commissario con i primi acciacchi della vecchiaia: tutto sommato, la parte migliore del romanzo…), Maigret è alle prese con un dilemma non facilmente risolvibile: il distinto Xavier Marton, responsabile di trenini elettrici in un grande magazzino parigino venuto nel suo ufficio per comunicargli l’intenzione della moglie di ucciderlo, è un uomo equilibrato e padrone di se stesso o un pazzo?
Il commissario prende molto a cuore la questione, anche se l’inesistenza di qualsivoglia reato dovrebbe impedirgli di agire; alla fine, l’uomo morirà davvero, un po’ per caso, dopo che sarà venuta alla luce una torbida storia di una specie di menage à trois tra lui, la moglie e la cognata appena giunta dall’America. Tutta la faccenda non regge molto, Maigret fa cose strane (una telefonata a un luminare di psichiatria è tra le cose più insensate mai fatte dal commissario durante un’inchiesta, per non parlare del librone di psichiatria sottratto al gran capo e portato a casa per leggerlo) e appare tormentato da una questione che non riesce minimamente a catturare il lettore.
Probabilmente Simenon – da sempre interessato alla medicina e alla psichiatria in particolare – era influenzato dalla malattia mentale della seconda moglie, i cui sintomi sembra si stessero rivelando nei mesi in cui scrisse il romanzo.
Maigret e i testimoni recalcitranti del 1959
Con questo romanzo, Simenon inaugura una serie di inchieste “crepuscolari”.
Maigret si sente vecchio e stanco (in realtà ha solo 53 anni, ma è a soli 2 anni dalla pensione: in polizia si va via presto); soprattutto, avverte ormai il profondo distacco che lo separa dalle giovani generazioni. Particolarmente sentito (ne sentiamo parlare in questa inchiesta, e il motivo riapparirà puntuale nelle prossime) è il problema della riforma avvenuta in Francia in quegli anni – devo supporre – che dava molto più spazio e potere ai magistrati inquirenti, riducendo la polizia a “braccio” esecutivo degli ordini emanati dai procuratori. Maigret e i testimoni recalcitranti, più che crepuscolare, è ferale e forse non per caso è ambientato in un piovoso inizio di novembre, subito dopo il giorno dei Morti. Ne è protagonista una famiglia di industriali una volta ricchi e ormai avviati verso una decadenza rovinosa, con patetici tratti di infinita tristezza. Asserragliati nella loro casa polverosa, cercano di far quadrato contro tutti anche quando uno dei membri della famiglia viene ucciso in circostanze poco chiare: si verrà a sapere che l’omicidio è in realtà una legittima difesa, poiché era l’ucciso a voler compiere un delitto. Plumbeo, deprimente, ma bello.
Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)
Mistero siciliano di Annalisa Stancanelli, Mursia 2020.
In questo thriller, la costa siracusana fa da splendente cornice a Villa Nirvana, pericoloso e orrendo covo travestito da resort extralusso dove si pratica impunemente il traffico di bellissime donne, gestito da una mente criminale che gode della sponsorizzazione, dell’accordo e dell’appoggio delle Famiglie mafiose del Mandamento Sicilia sud orientale. Un covo molto discreto, dotato delle più sofisticate attrezzature e protetto da guardie armate e da imponenti e mortali sistemi di sicurezza. Un covo/resort che offre a carissimo prezzo, a una ristrettissima e selezionata clientela miliardaria, voluttà orgiastiche ed estreme con escort bellissime abbigliate solo con biancheria luccicante, perizomi in oro zecchino 22 carati, non certo quella frivola robetta dorata pubblicizzata da Amazon. Un covo in cui domina la figura misteriosa del vero protagonista di questo thriller, noto con il nome di battaglia di Morfeo. Morfeo, un satanico mix tra il classico cattivo alla James Bond, sfegatato culturista, narcisista, con la passione delle macchine di lusso e i gadget spettacolari dell’eroe (persino un sottomarino), una sadica puntina alla Diabolik e superbe capacità scenografiche alla Fantomas (unico neo, che la narrazione supera con disinvoltura, l’eccezionale e poco occultabile statura). A fargli ala un branco di belve, un esercito di biechi, crudeli ed esecrabili torturatori/esecutori così perversi da non far rimpiangere le peggiori aberrazioni tanto di moda nei secoli passati.
Ma torniamo a Mistero siciliano. Un romanzo che potremmo definire corale, suggerendo al lettore di mettersi d’impegno per districarsi nella pletora di personaggi, con i loro diversi compiti, che, se si sta poco attenti, si potrebbe far fatica a seguire. Siamo in Sicilia, la trama spazia tra Siracusa e dintorni, proprio in quella parte dell’isola troppo spesso piagata dalla speculazione edilizia, poco lontano dalla necropoli di Grotticelle, densa di reperti archeologici tra cui l’architrave romana che annuncia la presunta Tomba di Archimede. Proprio in un cantiere, durante la costruzione di una fastosa villa con annessa piscina, si apre una voragine. Potrebbe annunciare il ritrovamento di un antico tesoro o l’ingresso di una sepoltura millenaria. Immediatamente viene convocata in loco la squadra archeologica capitanata dal dottor Marco Graziano. Ma la possibilità che si tratti della vera tomba (mai rinvenuta) di Archimede sta per innescare una caccia al tesoro mortale. Tutti, compreso il camaleontico Morfeo, ambiscono a possedere gli antichi e preziosi reperti archeologici.
Al vicequestore Gabriele Regazzoni, buon amico di Graziano, impegnato a fare luce sull’omicidio di una bellissima escort con un fantasmagorico abito da sirena, ritrovata morta sulla spiaggia dell’Ognina, verrà affidato anche l’incarico di far luce sul caso di un poliziotto aggredito da un “fantasma” all’ingresso della presunta tomba di Archimede. Ma qualcosa fa sì che le menti criminali siano sempre un passo avanti alla polizia. Riusciranno Regazzoni e Graziano, districandosi tra i loro complessi e convulsi problemi familiari, a incastrare e mettere all’angolo la machiavellica testa bramosa di potere che ha architettato e ora tenta di completare la sua nefasta opera?
A esaltante palcoscenico di una catena di omicidi e indagini criminali si erge potente e splendida la visione di Siracusa, città antica e bellissima che affonda le sue radici storiche nelle ardite leggende e il cui ventre oscuro potrebbe celare ancora tanti incredibili ed eccezionali misteri.
Mistero siciliano è un romanzo che si compiace di mischiare un intreccio giallo dai toni sanguinari del thriller a colte e dettagliate descrizioni storiche ambientali che riescono a travalicare i tempi. Indimenticabili i riferimenti all’Orecchio di Dionisio (o di Dionigi), l’impressionante grotta artificiale (lunga 65 m, alta 23 m) situata nei pressi di Siracusa, con una pianta a forma di S e un ingresso paragonabile al condotto uditivo dell’orecchio umano (donde il suo nome, che più voci attribuiscono alla seicentesca visita in loco di Caravaggio), fu usata nell’antichità classica come prigione. La sua particolare e caratteristica risonanza dette probabilmente origine alla leggenda che fosse stata voluta e fatta costruire dal tiranno Dionigi per spiare i segreti dei reclusi.
La storia del ritrovamento della tomba di Geronimo o Jeronimo, l’ultimo imberbe tiranno di Siracusa che regnò appena un anno, è di fantasia ma non stona. Azzardato ma non spiacevole poi l’accostamento dei manufatti e delle opere matematiche legate al passato greco ai manufatti egizi che l’autrice confessa aver inserito dopo una sua visita al favoloso Museo Egizio di Torino.
Un caso troppo complicato per l’ispettore Santoni di Franco Matteucci, Newton Compton 2021.
I libri di Matteucci non si leggono soltanto, ma si vivono di persona. Fin dall’inizio ci si sente parte della trama. Fin dalle prime pagine siamo impegnati nel tentativo di restare incollati alle terga del tutore delle legge, l’ispettore Marzio Santoni. Oddio, con un po’ di fiatone: gli anni passano e dovremmo disporre di ben altra tempra e allenamento per tener dietro alle avventure, sia investigative che amatorie, del nostro biondo e lungocrinito Lupo Bianco, lucida testa d’investigatore, olfatto sopraffino, mente ben allenata che si lascia guidare dall’istinto e dubita delle coincidenze. Ma, ormai viziati dalla consuetudine delle precedenti letture, godendo ben presto dei vantaggi di un’acclimatazione e di un buon adattamento, già dalle prime pagine cominciamo a individuare i profumi e a cogliere l’aspetto intimo di un vasto ambiente montano, descritto con la cura e l’attenzione di chi lo conosce davvero e lo ama. Lupo Bianco, ormai inamovibile ispettore locale (la meritata promozione a vice questore lo allontanerebbe inesorabilmente da Valdiluce), è un bell’uomo, alto, robusto, legato alla sua valle come una entità fiabesca. La sua radicata appartenenza al paese fa sì che talvolta (non sempre) riesca persino a incrinare la connaturata e testarda omertà dei suoi stravaganti concittadini. Santoni, che oltre alla natura ama gli animali, ha costruito negli anni una pseudo famiglia fatta dal riccio Arturo, dal topo Mignolino, dal pipistrello Puppy e dal branco di formiche addirittura capaci di prevedere il tempo che farà. Dal precedente capitolo della serie, la famiglia si è allargata con la felice adozione di Romeo, un bastardello rimasto orfano, autoelettosi segugio delle squadra.
È il 12 agosto quando arriva quella telefonata, con la disperata richiesta di aiuto da parte del dottorino, il sostituto fresco fresco del dottor Franzelli, l’anziano ex medico (da poco ha scelto la pensione) condotto di Valdiluce. Franzelli, a dire del sostituto, sta morendo avvelenato, ha rifiutato il prete, l’erculeo e subdolo Don Piero, e invece ha chiesto di Marzio Santoni. Vuole parlare solo con lui. Ma un malaugurato incidente, un camion per traverso che ha interrotto la strada costringendo il nostro eroe ad abbandonare la sua fida vespa bianca e a tagliare per otto chilometri in salita per i boschi, lo farà arrivare troppo tardi alla vecchia baita del dottore. Ugo Franzelli ormai è morto. E il suo segreto finirà chiuso con lui nella tomba. A meno che Marzio Santoni, coadiuvato dal suo impagabile assistente Kristal Beretta, che carbura divorando la vasta gamma dei cioccolatini Ferrero, riesca a scoprire quale fosse l’inconfessabile mistero nascosto dall’anziano ma ancora mandrillesco amico Franzelli con l’hobby della pittura. Mistero che potrebbe essere il vero e unico movente che ha spinto l’assassino a uccidere. Ma cosa diavolo è accaduto in quella baita isolata tra gli Appennini? Nella disordinata vita in cui Franzelli mischiava strane frequentazioni, abuso di afrodisiaci e droghe fai da te, per sanare i malanni degli abitanti del paese, ne aveva anche appreso tanti segreti. Appoggiato al suo cavalletto da pittore c’è un quadro con il ritratto abbozzato di un giovane, circondato dalle bocche dei cannoni sparaneve della stazione sciistica. Potrebbe essere il ritratto dell’assassino? Nella baita, troppo pulita per le abitudini del suo padrone, il vaghissimo sentore di una pietanza mischiato a quello di agrumi di un famoso detersivo confonde l’ispettore Santoni. Sarebbe la prima volta che la sua straordinaria capacità olfattiva è messa all’angolo e fatica a districarsi. L’indagine butta male all’inizio, andando a confondersi subito tra rivelazioni incrociate e scambi di accuse in decine di piste, con le Mirtillaie a fare da cassa di risonanza. Le Mirtillaie, il gruppo semisatanico di anziane del luogo che sanno tutto di tutti e comunicano tra loro via Internet (nulla sfugge ai loro occhi e orecchi fini ma ingombranti). Non basta, perché tutti i potenziali testimoni hanno qualcosa da nascondere e tengono ostinatamente la bocca chiusa.
Santoni, pur con la sua valida squadra di collaboratori – il suo vice Kristal Beretta, impavido pilota della Suzuki Samurai, in coppia con il segugio canino Romeo e con l’irrinunciabile supporto del maresciallo Pieretti a capo del team della scientifica – si trova a fronteggiare un caso terribilmente intricato, in cui ogni ricostruzione si rivela un insanabile pasticcio, mentre ogni minuscolo ingrediente potrebbe essere un indizio.
A complicare vieppiù il quadro della situazione è arrivato a Valdiluce un gruppo di tosatori di pecore maori (la globalizzazione ci insegna che oggi i mestieri migrano con le stagioni. Quando in Italia è tempo di tosare le pecore, in Nuova Zelanda è pieno inverno, ragion per cui i maori seguono il lavoro e il guadagno…). Il gruppo fornirà aiuto alla squadra di Valdiluce, di teste e soprattutto braccia, molto utili se c’è da battersi con gli assassini. Ma il loro aitante e possente capo, Mikaere, riuscirà a insidiare il cuore di Ingrid Sting, la ormai traballante fidanzata di Lupo Bianco Santoni?
Le letture di Jonathan
Cari ragazzi,
oggi vi presento La ragazza che guardava l’acqua di Giorgio Faletti, La Nave di Teseo 2019.
Una vera sorpresa, un libro diverso dal solito. Partendo dal protagonista, un essere strano, misterioso. Vive in una caverna in un lago e riesce a percepire le vibrazioni degli esseri umani, è sempre solo e nessuno lo vede, ad eccezione di un bambino e di un cane. Un giorno una ragazza si ferma sulla riva del lago e inizia a piangere. Qualche giorno dopo arriva un ragazzo con cui si mette a parlare e se ne innamora. Allora iniziano a frequentarsi fino a quando il ragazzo deve andare in città. A questo punto arriva lo sfruttatore precedente della ragazza che comincia a picchiarla e a offenderla sul pontile. L’essere sente tutto e si mette ad osservare curioso. Non resiste alla tentazione di difendere la ragazza, quindi sale in superficie e afferra tra le sue fauci l’ uomo che si dimena terrorizzato.
Cosa vorrà rappresentare questo essere? Forse la nostra coscienza?…
Le letture di Jessica
Cari ragazzi,
oggi vi presento Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, EL 2016.
Praticamente una scommessa dell’inglese Phileas Fogg che è sicuro di fare il giro del mondo in ottanta giorni. Un viaggio lungo, lunghissimo, partendo dalla stazione di Londra insieme con il nuovo servitore Passepartout. E poi Brindisi, Bombay, Suez, Hong Kong. E gliene capitano di tutti i colori. Verrà anche arrestato. E ancora via verso San Francisco e New York dove vengono assaliti dagli indiani che rapiscono Passepartout. Insomma il viaggio è lungo e pericoloso.
Ce la farà a vincere la scommessa?…
Un saluto da Fabio, Jonathan e Jessica Lotti