Letture al gabinetto di Fabio Lotti – Agosto 2020

Firmato Cardosa di Carlo Parri, Il Giallo Mondadori 2020
Dopo Il metodo Cardosa, Mondadori 2012, e Cardosa e il codice Modigliani, Mondadori 2018, letti con soddisfazione, mi sono buttato anche su questo.
Roma 2015. “Ruggero Abate era stato ucciso, secondo il medico legale, tra le dieci e trenta e le undici del giorno precedente. Un colpo d’arma da fuoco, con foro d’entrata a livello dell’orbita sinistra e foro d’uscita a livello della linea nucale superiore”. Con una pistola, la Desert Eagle, di provenienza israeliana. Strano, molto strano per il vicequestore aggiunto Leonardo Cardosa avere usato una potente arma da fuoco per un semplice omicidio del capo di una piccola casa editrice. Mah… Intanto al caffè Greco un grog doppio come il suo mito Maigret che risolveva sempre. E avrebbe risolto anche lui. Primo incontro con “il decano dei giornalisti di nera romana” Matarò, che avrà la sua bella parte nella vicenda, e scambio di vedute.
Al centro certi libri misteriosi sull’alchimia e la scomparsa dell’ultimo manoscritto che conterrebbe stupefacenti rivelazioni esoteriche. È sparito anche l’autore, un certo Giulio Gaburri, nell’area archeologica del Cairo. Urge mettere in moto i due cervelli del nostro Cardosa e ricercarlo insieme a Matarò, che fa un po’ da spalla, a Imbaba e Al-Qaràfa dove la miseria esplode dappertutto. E il ritrovato Gaburri potrà finalmente spiegare il segreto di certe fotografie della Madonna di Foligno di Raffaello trovate nascoste dietro un armadio del fu editore.
Dunque un caso particolare, un caso assai complesso dove entrano in gioco i servizi segreti israeliani, la mafia stessa e un certo Amerikano piuttosto scaltro. Dove Cardosa fa a modo suo sfruttando tutti i mezzi, leciti e illeciti, per giungere alla soluzione. Coadiuvato da un gruppo di collaboratori forte e coeso (ognuno con i propri risvolti di vita) e i soliti scontri con chi sta più in alto (vedi il questore) e anche con altri apparati della polizia (vedi il capo della sezione M dei servizi). Intorno alla vicenda i fatti personali, il ritorno di fiamma con il magistrato Caterina Lamanna, ricordi, letture, citazioni, qualche buona mangiata, qualche buona bevuta, qualche breve momento di distensione con la sua armonica a bocca suonando Blowin’ in the Wind e il Natale in Sicilia dalla sorella e dal padre irto di pericoli. Inoltre dubbi su dubbi, minacce, scontri, feriti, uccisioni, spunti critici su una Roma dove tutto è guasto: la scala mobile del parcheggio, gli ascensori, i display degli autobus, le biglietterie automatiche, i distributori del caffè e, dunque, perché dovrebbero funzionare le telecamere quando ce n’è bisogno?
Una miscela di misteriose, arcane aspettative, di astuzie, intrighi, inganni, complotti e cruda realtà. Un lavoro assai duro per i due cervelli del Nostro.

Sherlock Holmes. Il delitto impossibile di M.J.H. Simmonds, Il Giallo Mondadori 2020
Giugno 1884. “Sherlock Holmes, alla disperata ricerca di un caso o di una qualsiasi altra sfida intellettuale, era lo specchio personificato di quel tempo orribile. Sembrava un sosia di se stesso, sempre cupo, triste e scontroso”, annota il solito Watson. E dire che sono passate solo tre settimane da quando ha risolto in soli sei giorni sei crimini e, addirittura, accennato ad un settimo di cui nessuno si è accorto. Ovvero: l’assassinio di una fioraia, un vetturino disonesto in libertà, un furto di gioielli, una contesa testamentaria, alcune morti sospette e un allibratore ucciso davanti alla porta di casa. Sei casi con al centro il nostro Holmes a destare continue sorprese a Watson e all’ispettore Lestrade attraverso il suo infallibile fiuto e il suo acutissimo “occhio”. Tra una boccata di pipa e l’altra e un’occhiata, quando ci vuole, alla sua biblioteca. Capita anche che siano tutti e tre insieme a svelare il mistero.
Dunque, dicevo, Holmes a giugno “langue in uno stato di scontrosa apatia”, magro, il viso scavato, mangia e beve a stento, avvicinandosi sempre di più “alla schiavitù della siringa”. Ed ecco, fortunatamente, l’arrivo dell’ispettore Gregson a chiedere aiuto per un caso impossibile. Nella residenza campagnola di Bedhurst Hall, piena di ospiti, è stato assassinato il proprietario James Harrison. Strangolato con una corda che però non si trova. Nessuna arma del delitto e nessuna prova. Porte e finestre ermeticamente chiuse. Un caso da leccarsi i baffi per il nostro Holmes. Primo passo l’analisi del morto e del luogo in cui è avvenuto l’omicidio. Poi il colloquio con i testimoni: il colonnello E. Fauwkes, il reverendo St John Beekey, il signor J. Banks Wells e consorte, l’esimio R. Wulf Fessington e consorte, il dottor E. Pace e consorte, la signora C. Fairchance, il signor J. Wergeld e il professor J. Seaworthy. Dal quale si ricavano un bel po’ di notizie sul defunto e sugli aspetti particolari dei testimoni. Con Watson pronto ad ascoltare ma anche a dire la sua. Le domande alla fine sono sempre le stesse: “Come ha fatto l’assassino ad uccidere? Dove si trova la corda usata per lo strangolamento? Chi ci guadagna di più dalla sua morte? Chi eredita la sua tenuta?” Intanto occorre sapere cosa contiene il testamento. Ma anche su questo nasceranno delle problematiche…
Comunque facile sospettare l’assassino perché sta fuggendo. Occorre solo svelare la sua vera identità e acciuffarlo mentre sta per imbarcarsi su una nave. Però tra accusarlo e dimostrare la sua colpevolezza ce ne corre, se non arrivasse a proposito il colpo di scena finale creato magistralmente da Sherlock. Tuttavia manca ancora un tassello, ovvero il mistero di come sia avvenuta l’uccisione. A meno che… a meno che Watson, come succede spesso con una delle sue battute innocenti, non faccia accendere la lampadina al suo grande amico. All’interno, durante un momento di pausa, il racconto Il mistero della chiesa di Croxham dove viene fuori, addirittura, come arma omicida il Botafumeiro…
Facilità di scrittura, pochi tocchi a creare un personaggio, a delinearne il carattere, a sviluppare un’ambiente e un’atmosfera particolari, a creare una storia complessa che affonda le radici in un passato lontano, sia nel tempo che nello spazio, dall’Inghilterra all’Africa. Per rendere autentico il romanzo l’autore, come segnala il nostro Luigi Pachì, “ha effettuato ricerche approfondite su svariati aspetti della società vittoriana: linguaggio, ferrovie, spedizioni, vestiti, architettura e molto altro.” Una bella lettura.
Per Sotto la lente di Sherlock abbiamo Cultura sociale e storica attraverso Sherlock Holmes di Luigi Pachì che mette in rilievo come le avventure del Grande Detective sono occasione di svago ma anche un accrescimento della nostra “conoscenza storica e sociale del periodo a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900”. Seguono notizie dettagliate sull’autore.

L’ira funesta di Paolo Roversi, Rizzoli 2013
Avevo lasciato Paolo Roversi a Milano alle prese con il giornalista free lance Radeski, il suo vespone giallo e il Buk Labrador “dagli occhi liquidi” e me lo ritrovo ora in un paesino della Bassa a tirar su un nuovo personaggio, anzi, nuovi personaggi. Intanto il paesino è Piccola Russia, governato da incalliti comunisti e composto da una Polisportiva (la Poli), la caserma dei carabinieri, l’ex cooperativa ora in disuso, la farmacia, il negozio di alimentari, un’osteria. Intorno “le fattorie, le porcilaie e i loghini dell’aperta campagna”. A vigilare su tutto il maestoso Po.
Qui abitano le classiche figure di paese che non si sono mosse di un passo insieme a quelle che ritornano dopo tanti anni dall’America o dalla Germania con le loro straordinarie esperienze e i loro mitici ricordi. Qui abitano soggetti strampalati come il Gaggina “un ragazzone di centotrenta chili, alto come un trattore” che va fuori di testa e mette in subbuglio il paese. E qui abita pure Omar Valdes, il comandante della stazione dei carabinieri (quattro in tutto) “carattere ruvido e di poche parole” con la passione spudorata per la pesca, specie del pesce siluro (vedi Il male quotidiano di Massimo Gardella, Guanda 2012), un mostro baffuto pesante anche più di cento chili. Finito lì, il Valdes, “per colpa di faccende vecchie e sepolte”, lui di Cagliari dove vivono l’anziana madre e la sorella. A questi si aggiunga una giornalista che fa le cose sul serio riguardo agli sbarchi e alla vita degli emigranti che arrivano su Lampedusa e come ricompensa viene spedita anche lei nella Bassa (mai dire la verità). Chiaro che nasce qualcosa di friccicarello con il nostro maresciallo che un po’ di situazioni ormoniche fanno sempre bene.
Quando il giallo arriva con l’assassinio di Giuanìn Penna (quello ritornato dall’America), sbudellato da una spada, l’imputato principale sarà il Gaggina che minaccia tutti con una katana da samurai e si è asserragliato in casa con due ostaggi (il giornalista e il regista di paese) e la nonna pluriottantenne prodiga dispensatrice, a suo tempo, di delizie amorose. Ma c’è qualcosa che non quadra in tutta la faccenda e allora si deve ricercare nel passato. È lì la chiave di volta per scoprire il movente di un delitto inatteso.
Questo noir un po’ serio, un po’ leggero, un po’ ironico, un po’ grottesco, un po’ pulp, un po’ sociale, si inserisce tra i prodotti genuini di quella banda di mascalzoni (vedi anche “Sugarpulp”) che hanno preso di mira la Bassa con le loro storie strampalate che divertono e a volte (non sempre) fanno riflettere più dei mallopponi seriosamente impegnati. La trama giallistica è fragiletta e risaputa (pure certi personaggi sono gli stessi da una vita) ma quello che conta è il tratteggiare un universo di paese fatto di rapporti consolidati dal tempo, di frizzi, lazzi, battute, prese per il culo, storie eclatanti rimaste nella memoria comune e che riemergono con l’evolversi della vicenda. E insomma il libro va letto con quello spirito goliardico con il quale è stato scritto. Altrimenti cambiate canale.

I Maigret di Marco Bettalli

La furia di Maigret del 1947
Un Maigret archetipico per quanto riguarda il disprezzo assoluto (da cui il titolo, reso in italiano anche con La collera di Maigret, da non confondersi con il titolo simile del n. 60), la frattura insanabile tra i ricchi – debosciati, corrotti, inaffidabili, semplicemente e irrimediabilmente cattivi – e la povera gente, cui il commissario, nonostante la sua ascesa sociale grazie alla brillantissima carriera, si sente di appartenere. Maigret è – ancora una volta – in pensione nella sua casetta a Meung-sur-Loire in una caldissima estate: la descrizione della vita dei coniugi ormai ritirati, con cui si apre il romanzo, è tra le più belle che Simenon ci abbia proposto. La storia in sé, incentrata su una di quelle figure di “mostri” assoluti che – guarda caso – appartengono sempre alla classe degli arrampicatori, i piccoli borghesi ambiziosi e senza scrupoli (questo è addirittura un ex compagno di classe di Maigret!), è cupa, violenta, ambigua, con moglie e cognata rese schiave, figli che scoprono l’orrore della famiglia e si suicidano, con l’onere/onore di fare giustizia affidato alla vecchia e volitiva Bernadette, vedova del capostipite, che assisteva da anni allo scempio della famiglia. Bello, intenso, anche se in qualche misura eccessivo. Piccola nota: Maigret fa uccidere due splendidi alani con polpette avvelenate e “non era fiero di quello che aveva fatto”: tutto qui, l’animalismo deve ancora essere inventato!

Maigret e l’affittacamere del 1951
Di nuovo nella primavera parigina, una storia originale che si svolge tutta nei dintorni e all’interno di una pensioncina di rue Lhomond, tenuta dalla morbida, infantile, allegra signorina Clément, presso cui il commissario, orfano momentaneamente della signora Maigret, si trasferisce per alcuni giorni, circondato dalle attenzioni lievemente ambigue della padrona e da un largo campionario di figure un po’ marginali che Simenon è maestro nel rendere con pochi tratti. Lo scopo è cercare di spiegare il misterioso ferimento del fidatissimo Janvier, colpito nei paraggi da una pallottola mentre sorvegliava un ladruncolo di scarsa importanza. Il ritmo è lento, la lettura molto piacevole; la trama si rivela come sempre complessa, con l’entrata in scena di una cinquantenne ormai paralizzata ma ancora in grado di mantenere due relazioni, una con il marito amato ma quasi sempre assente, una con una vecchissima fiamma, improvvisamente ritornata a riempire la sua vita ormai vuota. Tutti, compreso il colpevole, per caso quasi assassino di un poliziotto, si rivelano persone fondamentalmente per bene, con un Maigret sottilmente sotto tono, rarefatto, ma in realtà acuto nel venire a capo di una situazione apparentemente senza sbocchi.

Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)

La memoria del lago di Rosa Teruzzi, Sonzogno 2020
È la quinta puntata della Saga delle Miss Marple dell’Ortica, così ribattezzate dalla smaliziata penna della Smilza, cronista in carica alla Città, il quotidiano d’assalto più letto nelle portinerie milanesi. Dunque, le Miss Marple, al secolo Jole, stravagante nonna e madre cultrice dello yoga e del libero amore, che, benché passata la sessantina gira abbigliata in hippy look; Libera, sua figlia, la bella rossa che somiglia come una goccia d’acqua a Julianne Moore. Tutte e due rigorosamente single per ideale scelta mentale e nella vita di tutti i giorni spesso costrette sugli attenti dalla rispettiva figlia e nipote Vittoria, venticinquenne poliziotta, perfettina di carattere, poco discorsiva e sempre sulla difensiva. Oddio magari la si può anche capire. Provate un momento a mettervi nei suoi panni. Insomma, Vittoria deve confrontarsi giorno dopo giorno con una nonna decisamente sopra le righe e una mamma un po’ svagata e nostalgica (anche se per ottime ragioni), costretta a guadagnarsi da vivere con il suo lavoro di fioraia, specializzata in bouquet da sposa.
In una sera di fine estate (un’estate decisamente più calda e afosa del solito), un vecchio e sottile dossier, ingiallito dal tempo, proveniente dagli archivi della polizia, mercé l’occhio vigile e l’aiuto dell’amica giornalista Irene Milani, atterrerà sul tavolo del laboratorio di Libera, la fioraia del Giambellino. Una cartellina verde con dentro i documenti di un lontano caso di cronaca – legato agli anni del dopoguerra, una giovane donna, una madre trovata morta sulla ripida scarpata del lago di Como. Una storia trascurata e poi archiviata in fretta dalle autorità. Una morte imputata a un incidente, ma aleggiano sinistri dubbi sul caso. Le carte contengono anche la testimonianza e i dubbi di un vice parroco di montagna, che addirittura aveva inoltrato un esposto alla questura facendo nomi e cognomi. Esposto tuttavia poi ritirato. Tarcisio Planetta e suo figlio un tempo innamorato di Ribella infatti, tirati in causa dal prete, interrogati in merito dalle forze dell’ordine, avevano esibito degli alibi. Ma chi erano mai i funzionari che avevano coperto e garantito per loro? Qualcosa non quadra perché parte di quanto scritto sul rapporto di polizia, su quei fogli ingialliti, è stato cancellato con grossi freghi di inchiostro nero. Libera legge tutto, sconvolta e inquieta: quella faccenda la tocca molto da vicino. La donna morta era Ribella Gheitz, sua nonna, la mamma di Iole e moglie del nonno Spartaco. Quali brutti misteri nasconde la sua famiglia? E perché Tarcisio Planetta, il ricco e sfrontato contrabbandiere poi diventato stimato industriale milanese, prima della morte di Ribella l’aveva minacciata ad alta voce nell’osteria? C’è abbastanza roba perché la fioraia milanese si senta obbligata a trasformarsi di nuovo in detective…

Un conto aperto con il passato di Luigi Guicciardi, Damster 2020
Torna il Commissario Cataldo con Un conto aperto con il passato. Il giallo parte da una macabra scoperta, lo scheletro semimummificato saltato fuori durante i lavori di demolizione di una fatiscente cartiera della periferia di Modena. Uno scheletro che, dopo i primi approfondimenti di Cameroni, l’antropologo forense, apparteneva a una ragazza tra i diciotto e i ventidue anni. Le indagini per far luce sulle circostanze della sua morte e identificarla vengono affidate al commissario Cataldo. Ben presto scoprirà che la cartiera, fino a quando era diventa inagibile e il suo perimetro recintato, era il posto preferito di ritrovo per un gruppo di bikers, ragazzi e ragazze liceali di buona famiglia. La cartiera, frutto di un’eredità famigliare, è stata venduta di recente e si pensa che l’acquirente voglia farci un ipermercato. Ma ben presto il commissario Cataldo dovrà dividersi in due: il giovane e brillante proprietario della Delta, l’azienda farmaceutica più nota in città, un pilastro della grossa borghesia imprenditoriale modenese, viene assassinato sulla porta di casa sua. Questo secondo omicidio apre un ampio ventaglio di ipotesi: concorrenza, relazioni industriali, traffici di sostanze pericolose e proibite imputato da molte voci alla Delta, contrasti con i sindacati dopo il licenziamento di un sindacalista e, come se non bastasse, anche le minacce degli animalisti. E Cataldo non può trascurare la vita privata del morto, che sembra avesse un’amante sconosciuta. Intanto la scoperta dell’identità della giovane vittima della cartiera, in virtù soprattutto di una catenina e una medaglietta ritrovate vicino al corpo, gli dirà che aveva appena superato l’esame di maturità e che la sua morte risale a nove anni prima. Il commissario Cataldo deve chiedere aiuto a un vecchio collega e andare a cercare nel passato gli amici, i legami e i potenziali testimoni di allora. Un diffacile salto a ritroso nel tempo che lo obbliga a numerosi, sfiancanti e a prima vista inutili interrogatori, soprattutto nel giro dei compagni di scuola. Mentre le due indagini del commissario Cataldo, apparentemente senza nessun legame tra loro, lo costringono a impegnarsi in un doppio binario investigativo, altre persone verranno uccise. Il gioco cambia, si oscura, si allarga e lo forza a un continuo avanti e indietro tra presente e passato, tra gli uomini di oggi e i ragazzi di ieri, nella più classica atmosfera della nebbia modenese che ben riesce a celare invidie, gelosie, abbandoni, tradimenti, ricatti, vendette, sete di potere, voglia di carriera a ogni costo…
Una storia vecchio stile, un giallo classico dove ci sono i delitti, chi indaga, i personaggi e gli indizi messi ad arte da scoprire. Ancora una volta una scrittura, quella di Guicciardi, sempre fluida ed essenziale per una trama scorrevole che si crogiola di in un sottofondo profondamente umano e melanconico.

La selva degli impiccati di Marcello Simoni, Einaudi 2020
Anno Domini 1463, autunno del Medioevo o, come lo definisce la Storia, verso la fine dal Basso Medioevo, a Saint Philibert, Beaune, Borgogna. Un’accusa di commercio con il demonio e di eresia seguiti dal linciaggio di Maitre Flamand, parroco del villaggio, danno il via a una straordinaria storia, ammantata da una colta ed eccezionale ricostruzione storica ambientale. Siamo in Francia, siede sul trono Luigi XI, figlio ed erede di Carlo VII, il sovrano di Giovanna d’Arco, colui che riuscì a farsi incoronare re a Reims e riconquistare Parigi. Risuonano ancora paurosamente gli echi di quella spaventosa epoca legata alla fine della Guerra dei cent’anni con l’Inghilterra. Guerra che, dopo aver insanguinato la Francia, raso al suolo fiorenti città, isterilito intere contrade, armando i francesi gli uni contro gli altri, aveva scatenato le mostruose scorribande di eserciti di banditi, belve pronte a schierarsi senza pietà con l’una o l‘altra fazione. Nel 1463, Carlo VII è morto da due anni e Luigi XI ha eletto Tours a sua residenza e capitale di Francia a scapito di Parigi, ma Parigi, governata dal prevosto (o magistrato generale con tutti poteri) che sarà il fulcro e il cardine del romanzo, resta sempre la capitale morale e intellettuale del paese, con la sua celeberrima roccaforte universitaria nella città: La Sorbonne. E il protagonista di La selva degli impiccati è François Villon, il poeta maledetto, colui che fece della poesia la sua bandiera. Uno dei piú celebri ribelli della storia, un assassino, un ladro, un violento, un dannato folletto, un imprendibile mascalzone, l’uomo due volte condannato a morte di cui la storia era persino arrivata a dubitare l’esistenza. Si diceva che Villon, il ladro poeta, tutto volle, tutto osò, quasi volesse cancellare per sempre i propositi di onestà inculcatigli da mastro Guillaume Villon, suo padre adottivo, di tutti i suoi buoni e savi insegnamenti e quelli di anni presso la Sorbonne. François Villon, colui che ha lasciato in ricca eredita ai posteri la sua grande capacità di cantare il mondo trasformandolo in versi. Ma ora, nel 1463 a Parigi, chiuso in un pozzo dello Châtelet per volere del Prevosto, il feroce Jacques de Villiers, François Villon, sottoposto ai gelidi rigori dell’inverno, si sente ormai attorno al collo la corda del patibolo quando gli viene concessa la grazia. Tuttavia la sua vita avrà un prezzo molto salato, perché dovrà accettare di essere bandito da Parigi per ben dieci anni. E, come se non bastasse, un altro fatale impegno l’aspetta. In cambio della riconquistata libertà dovrà anche, sia pur pagato con dieci sonanti reali d’oro, accettare di trasformarsi in un traditore e una spia e stanare dal suo nascondiglio Nicolas Dambourg, il fantomatico capo dei Coquillards, una banda di fuorilegge ritenuta ormai sciolta e di cui il ladro poeta avrebbe fatto parte in passato…
La selva degli impiccati è una storia di potere, soprusi, crudeltà, ma anche riscatto e capacità di rivincita. Una storia che ci costringe a leggere con il fiato sospeso ben quattrocento pagine. Scrivo questa recensione con lo splendido sottofondo musicale della bella versione della Ballade des pendus di Louis Bessières, interpretata da Serge Reggiani. La ballata degli impiccati (Ballade des pendus) ha ispirato anche un altro grandissimo cantautore francese, Leo Ferrè. La canzone francese infatti ha un’antica e cospicua tradizione di testi poetici messi in musica. Ma anche Bob Dylan, più volte nelle sue poesie, ci rimanda al grande mito di François Villon.

Le letture di Jonathan

Cari ragazzi,
oggi vi presento L’impero della fantasia di Geronimo Stilton, Piemme 2019.
Geronimo sta leggendo un libro di fantasia e ad un tratto ci si ritrova dentro. Incontra la sua amica Floridiana che gli dice che l’impero della fantasia sta per essere invaso dall’esercito degli invisibili. Per salvare l’impero Geronimo deve partire per un’isola insieme a un cavaliere, un drago, una tigre e una principessa. Floridiana aveva dato a quest’ultima una maschera che le avrebbe indicato la strada giusta. Lungo il viaggio per l’isola incontrano molti amici: una volpe avara, ma anche simpatica; una tartaruga vecchia e saggia e una ranocchia vivace e chiacchierona. Ma anche molti pericoli: un ragno gigante, un serpente a tre teste, un lago di fuoco, un pesce fornace, un mostro alato e un gigante di roccia. Ce la faranno a salvare l’impero della fantasia?…
Questo libro mi è veramente piaciuto perché parla di fantasia, ci sono dei personaggi buffi e divertenti e delle situazioni particolari e difficili da risolvere. La fantasia è importante per tutti, soprattutto per noi ragazzi.

Le letture di Jessica

Cari bambini,
oggi vi presento Aldin magico orsetto di Tony Wolf, Dami editore 2019.
Questa è la storia magica di Aldin, un orsetto prodigioso. Guardate come è straordinaria la sua casa! Si vede subito che è abitata da un vero mago, di quelli con il cappello a punta e la bacchetta magica. Con un incantesimo Aldin ha trasformato una vecchia pianta in una specie di castello. Tutto è incantato nella sua casa abitata da esseri ed elementi fantastici: la bacchetta fatata, il cappello delle stelle, le pozioni, Jet la scopa volante, il mantello dell’indovino, lo scrigno dei tesori, la sfera di cristallo, il grande libro degli incantesimi. E poi c’è la cucina magica e tanti, tanti amici e una bella gara di magia! Riuscirà Aldin a vincerla? Per saperlo dovete solo leggere il libro!

Un saluto da Fabio, Jonathan e Jessica Lotti

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