Rubrica a cura di Fabio Lotti
Il menestrello di Notre Dame di Patrizia Debicke e Alessandra Ruspoli, Delos Digital 2021.
Dopo L’enigma del fante di cuori, ambientato a Londra nei primi del Settecento, ecco ancora madre e figlia impegnate in un secondo lavoro, sempre nello stesso secolo, questa volta a Parigi (ma Londra è comunque vicina e vi incontreremo personaggi già conosciuti).
Inizio frenetico dal punto di vista amplessuale (mio conio). Siamo al Palais Royal durante una cena privata del duca d’Orléans, Reggente di Francia per il piccolo re Luigi XV, dove il conte Francois Jules de Beauvilliers se la spassa mica male. È giovane, bruno, alto, slanciato, atletico, occhi blu e naso nobile leggermente aquilino. Insomma ha tutto per attirare il gentil sesso che se lo vuole coccolare. Sarà uno dei personaggi principali a contrastare il terribile Menestrello di Notre Dame che lascia dietro di sé una scia di morti insieme ad una filastrocca. Ed ecco arrivare il terzo morto strangolato, ovvero il Visconte de Jouet anch’egli, come i due precedenti, amico del duca d’Orléans.
Una bella gatta da pelare per il nostro dongiovanni chiamato a far luce sull’accaduto dall’Abbé Dubois, consigliere del Reggente. Intanto deve recarsi in Inghilterra a conoscere suo nonno, il duca di Langley, di cui non ha saputo niente per trent’anni e di cui è erede. E qui avrà un contatto, fra gli altri, con il conte Donagall, che da tempo dirige la rete inglese di spionaggio del re Giorgio I ed è venuto in possesso di una certa filastrocca. Con lui sarà esaminata la situazione generale del momento: in certi ambienti francesi si vede di malavoglia il Reggente, “l’invidia serpeggia fomentata dalla Spagna”, “il cardinale Alberoni è una loro creatura e Cellamare, il loro braccio destro a Parigi”. Bisogna fermare il Menestrello e una possibile congiura. Intanto i nomi delle vittime potrebbero trovare, secondo l’interpretazione della filastrocca, richiami nella stessa Cattedrale…
Per smascherarlo al ritorno in Parigi, tra l’altro con il titolo di Lord Spau, occorre qualsiasi appoggio, anche una sua amante o l’aiuto di un particolare “ragazzo”, insieme a qualche idea sottile, magari un diversivo come quello di fingersi traditore durante la Grande-Nuit al castello di Sceaux della duchessa du Maine. Basterà?… perché il Menestrello è davvero astuto e ribatte colpo su colpo.
Una filastrocca, nel solco di una consolidata tradizione del romanzo poliziesco (mi viene subito in mente S.S. Van Dine), dà il via a questa storia complessa che si interseca perfettamente nella politica e sociale del tempo costellata di spie, doppiogiochisti, intrighi, tranelli, travestimenti, passaggi segreti, veleno e tradimenti. In un ambiente reso perfettamente credibile dalla sapienza delle due autrici tra feste, festini, pranzi, cene, balli e incontri focosi.
Si gode e si respira appieno l’atmosfera del Settecento nei più piccoli particolari, sia per quanto riguarda l’esterno e l’interno, gli adornamenti, le vesti, la cucina e gli stessi personaggi, di alto o basso lignaggio, vengono sbalzati efficacemente con le loro caratteristiche, compresi i tic e le manie, rimanendo scolpiti nella memoria. Giallo classico e spy-story a braccetto con i dubbi, le incertezze, i ripensamenti, l’assillo, il movimento, gli scontri, i feriti, i morti e la paura caratteristici dei due generi letterari. Storia vera, fantasia e finzione che lasciano spazio anche a certi momenti grotteschi ed esilaranti di vita quotidiana tali da indurre al sorriso (mi vengono subito in mente il cerusico e il carrettiere). Con l’inevitabile domanda che assilla il lettore lungo tutto il racconto “Ce la farà il nostro Francois a sventare il complotto e scoprire l’identità del crudele Menestrello?” Una vera partita a scacchi fra i due dove in gioco è la stessa vita.
Il seme dell’odio di Virginia Perdue, Il Giallo Mondadori 2021.
“Osservandolo in viso lei notò, con un piccolo moto di sorpresa, quanto fossero marcati i suoi tratti: la mascella sporgeva e formava un mento quadrato e tenace; il bel naso dritto si protendeva con arroganza. In un istante lui le divenne terribilmente estraneo, separato dagli anni che non avevano condiviso. Si scostò leggermente. Avrebbero dovuto aspettare: non si conoscevano affatto. Infatti si erano incontrati appena una settimana prima ed erano sposi già da due giorni.” I dubbi di Edith verso il marito Axel cominciano ad aumentare quando le sembra di vedere qualcuno spingere una roccia contro di lui che minimizza l’accaduto. E quando vengono seguiti da uno strano uomo dopo una veloce corsa in automobile, lo stesso, non aveva il minimo dubbio, che aveva spinto la roccia giù dallo scoglio. Senso di pericolo, paura, angoscia. A tutto questo si aggiunge un’altra amara scoperta, ovvero che Axel ha adottato Carl, un bambino avuto da una precedente relazione con la signorina Luisa Furness che ora lo reclama e dovrà esserci un confronto in tribunale. Bambino che vive con la sorella Cristina e il nipote di suo marito, lo zoppo Homer. Uno strano nipote che instilla dubbi nella sua mente, cerca di metterla in guardia, occhio a non ammalarsi con Axel, meglio fuggire, perché non è un dottore ma “soltanto un ciarlatano”. A cui si aggiunge anche il giudizio drastico del dottor Norris che lo definisce, addirittura, “macellaio”.
Dunque assistiamo ad uno scavo a fondo, impietoso e struggente all’interno di Edith, un continuo voltare e rivoltare nell’animo della protagonista che sente di dover difendere Axel, comunque sempre sicuro di sé, e nello stesso tempo di cercare in ogni modo la verità. Cosa ha nascosto della sua vita? Chi lo minaccia anche a colpi di pistola? Chi può volere la sua morte? Ed ecco che arriva un suicidio (?) e poi un altro a rendere tutto più indecifrabile e deve vedersela pure con David Mac Kellar, avvocato di Luisa Furness.
Il lettore è coinvolto sin dall’inizio in questa sconcertante esperienza, rimane sempre sul chi vive aspettando che accada qualcosa di nuovo ad ogni volger di pagina. L’odio si aggira infido lungo tutto il racconto. Ma l’amore, il sentimento d’amore può avere posto in questa tragica storia? Vedremo…
Per I racconti del giallo ecco Capsicum di Marco Marinoni.
Una morte. Quella di Elena Cipressi, trentasette anni, dovuta ad un vasto edema polmonare. Stava prendendo un integratore a base di capsaicina che potrebbe avere provocato la sua dipartita. O no? Anche perché le tracce sul lenzuolo indicano chiaramente che non era stata sola. E poi sono spariti gioielli e un suo diario. Lavoro per il commissario Di Vincenzo. I sospettati sono diversi tra cui qualcuno che viene, però, ucciso. Allora ci vuole proprio una Sfinge che parli al commissario… Bella lettura senza tanti fronzoli.
Per La storia del premio Tedeschi si ricordano i vincitori degli anni 1986, 87 e 88: Nino Filastò, Domizia Drinna e Giorgio Bert.
Sherlock Holmes. L’uomo che morì due volte di Luca Sartori, Il Giallo Mondadori 2021.
18 ottobre 1890. Salotto del 221B di Baker Street. Inizio nel più classico dei classici con Sherlock che indovina subito il problema di salute della moglie di Watson dalla sua semplicemente eccelsa osservazione e deduzione. E, poco dopo, anche il passato di un nuovo cliente, ovvero del dottor Arthur James Bunbury, ex soldato in Afghanistan come Watson, che porta un caso del tutto particolare. Nella sede della Medical Society di Londra, di cui è segretario da molti anni, dopo le consuete riunioni del lunedì, qualcuno entra dentro e si diverte a disegnare “ridicoli baffi” sul volto di alcuni dipinti che rappresentano i suoi fondatori. Desidererebbe che Sherlock e Watson provassero a sorprenderlo sul fatto. Caso strano e, per questo, assai interessante…
Anche perché ci scappa il morto, il farmacista John Templeton, ucciso da un proiettile sparato dalla finestra di un albergo di fronte alla sede della società. Occorre setacciare la stanza da cui è partito il colpo e avvertire la polizia. Da una serie di altrettante geniali osservazioni viene fuori il nome del “secondo uomo più pericoloso di Londra”, ovvero di Sebastian Moran, “tiratore micidiale”, l’unico che può avere colpito Templeton da quella distanza. Occorre fare una visitina in casa sua. Al momento opportuno, per esempio venerdì quando deve andare al raduno dei soldati appartenenti alla prima brigata del Bangalore di cui aveva fatto parte. Dopo aver fatto uscire, con un arguto espediente, il domestico nepalese che vive con lui. Per Holmes basta un travestimento e una particolare inserzione sul giornale… Si scopre poi che Moran ha una complice, la donna velata. Che sia la fantomatica Irene Adler che già l’aveva beffato due anni prima? Ed ecco un altro morto ammazzato che era stato visto insieme a lui…
Il caso si fa davvero complesso, anche perché arrivano a Sherlock dei messaggi cifrati scritti a macchina che chiedono il suo aiuto. Occorre decifrarli e capire chi è il mittente e il motivo per cui si nasconde. Dietro tutto questo c’è di mezzo qualcosa di enorme importanza, un attentato alla Regina Vittoria in un momento storico particolare “L’impero britannico, quello prussiano e quello russo si squadrano l’un l’altro come lottatori in procinto di combattere e bramano lo stesso osso come cani famelici. L’equilibrio politico e militare è talmente precario che basta un evento da poco per spezzarlo.” Parola di Sherlock… e il tutto verrà fuori dalla scoperta dell’uomo dei messaggi cifrati, con la sua storia personale rocambolesca spiegata nei minimi particolari fino alla sua conoscenza di Sebastian Moran. Ora si sa che questi colpirà, dove colpirà, ma non “come” colpirà. Anche se Sherlock ha già una mezza idea, una trappola che potrebbe comportare un rischio mortale.
Il Nostro è sempre lo stesso, capace di trarre scoperte importanti anche da insignificanti particolari, con Watson spesso imbambolato e lasciato in sospeso, oppure messo in ansia anche da certi momenti di un “mutismo inesplorabile” dell’amico. Comunque continui scontri e battute fra i due in una Londra del momento, capitale lussuosa dell’impero ma anche ricettacolo di tanta bruttezza sociale. La vicenda è ricca di personaggi misteriosi, segreti militari, spie e contro spie, messaggi cifrati, travestimenti, cambi di identità, addirittura falsi attentati, erbe velenose e c’è chi muore, addirittura, due volte…
L’autore dispiega tutta la sua enorme, sofisticata conoscenza del canone e del momento storico in cui si svolgono i fatti in maniera davvero convincente.
Per chi vuole saperne di più consiglio vivamente l’esauriente articolo “Sovrapposizione tra il grande gioco storico e quello degli apocrifi sherlockiani” in “Sotto la lente di Sherlock” del nostro Luigi Pachì.
Il crimine del secolo di Anthony Abbot, Polillo 2021.
La vicenda è narrata in prima persona da Tony Abbot, segretario di Thatcher Colt, capo della polizia di New York. Una vicenda clamorosa che si meritò ampiamente il titolo di “crimine del secolo”. Al dunque. In una barca alla deriva nell’East River vengono trovati due cadaveri: una donna uccisa con un colpo di pistola al cuore e poi quasi decapitata, e un uomo colpito in fronte. Si scopriranno essere, addirittura, il parroco di una chiesa episcopale e la sua bella corista che fa pure da segretaria. In più si trova una lettera d’amore tra un “lui” e una “lei” e anche un gatto con le zampe macchiate di sangue, mentre non c’è traccia di sangue sulla barca. Inoltre mancano un orecchino della donna, l’orologio e l’anello dell’uomo.
Un bel caso complicato per Thatcher Colt che fuma continuamente la pipa e desidera ispezionare anche la barca perché “potrebbe essere importante quanto i cadaveri stessi.” E l’esame porta alla scoperta di altri interessanti particolari fra cui una foglia che sembra diversa da quelle degli alberi che crescono a New York. E poi, non c’è dubbio, i due sono stati uccisi in un altro luogo e poi messi sulla barca. “Il suo volto forte e militaresco” è esultante.
Con ragione. L’albero particolare esiste e può portare vicino all’abitazione di qualcuno che potrebbe essere coinvolto nel duplice omicidio. Intanto si scoprono i nomi degli uccisi, il reverendo pastore Timothy Beazeley e Mrs. Evelyn Saunders.
Ora l’interrogatorio di Elizabeth Curtainwood Beazeley, sposa del pastore da dodici anni, e poi tocca alla famiglia dei Saunders. Dunque interrogatori a non finire e scontri con il procuratore Merle Dougherty che la fa troppo facile, mentre per Colt mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. E vediamo anche cosa si può sapere dalle segretarie del parroco prima e dopo Mrs Evelyn. Soprattutto da quella successiva chiacchierona che snocciola un sacco di fatti… e poi si scopre che l’orologio e l’anello del morto sono stati trovati proprio nel cassettone di Mrs Beazeley. Particolare rilevante ma arriva l’avvocato Powell a difendere lei e la famiglia. Fioccano le domande: chi girava come un fantasma nella chiesa? chi desiderava la morte dei due? La moglie del pastore, suo fratello o il padre violento della ragazza? Oppure, oppure… ma guarda un po’…
Il nostro Colt vive da scapolo in un vecchio edificio di cinque piani vicino allo Sherman Square Hotel con Arthur e Celia, gli amabili domestici giamaicani. L’intero terzo piano è occupato da un’immensa biblioteca di testi criminologici. Scontri con il procuratore già citati e momenti di dubbio e incertezza instillati in chi racconta la storia e anche su se stesso “A volte temo di essere l’investigatore più ottuso e fallace di tutta la dinastia di idioti che è pur sempre presente nelle fila della nostra polizia.” Ma alla fine… Anche se il caso rimase insabbiato, come sappiamo sin dall’inizio. Perché?…
I Maigret di Marco Bettalli
Maigret si confida del 1959
Bel Maigret, grazie anche a un montaggio originale: il commissario ricostruisce – raccontandolo dopo cena all’amico Pardon – un caso del passato, in cui l’imputato era stato condannato a morte per l’omicidio della moglie.
Maigret non era mai stato convinto della colpevolezza di Josset (così si chiamava il protagonista, che di fatto lo incrocia in un solo interrogatorio di tre ore) e, in effetti, nessuna prova “regina” era stata mai trovata: solo una serie di indizi, che nel clima forcaiolo di quei tempi bastavano e avanzavano, anche perché l’opinione pubblica era decisamente contraria all’imputato (oggi, credo in qualunque paese civile, non ci sarebbero stati dubbi sull’assoluzione dell’imputato).
Profonda meditazione sull’impotenza del giudizio umano e sull’impossibilità di raggiungere la verità: Maigret, durante l’interrogatorio, non sa se chi gli sta davanti è colpevole (50 e 50, si spinge a dire alla moglie in una rara confidenza), né lo saprà mai. Ma un po’ di tempo dopo, un delinquentucolo gli riferirà per puro caso che la moglie di Josset era stata uccisa da uno dei suoi tantissimi amanti (tipica proiezione simenoniana: la donna bella, intelligente e ninfomane), dando corpo, anche se non una sicurezza assoluta, ai dubbi di Maigret che un innocente fosse stato ucciso ingiustamente.
Maigret si mette in viaggio del 1958
Anche se effettivamente osserviamo Maigret viaggiare molto (Montecarlo, Losanna, sempre in aereo, mezzo per ricchi: Ryan Air era ancora di là da venire…), il vero titolo del romanzo dovrebbe essere Maigret e i ricchi. Perché quasi ogni pagina è dedicata a descrivere la vita di un pugno tra quelle poche migliaia di persone che, nel mondo, possono definirsi miliardari e che conducono tutti la stessa vita, si ritrovano negli stessi posti, dormono negli stessi alberghi, mangiano le stesse cose e soprattutto bevono lo stesso whisky (e bevono davvero tanto!). Simenon ne fa una casta a parte, più patetica che invidiabile: nella vita comune non saprebbero cuocersi un uovo, hanno sentimenti falsi, si scambiano le donne tra di loro (e riservando a Maigret che chiede: “ne era innamorato?” occhiate di commiserazione), insomma non fanno nulla di interessante. Non è un caso che, risolto finalmente il caso, all’assassino (uno di loro, possiamo dire, di quelli però “aggregati”, che in realtà vivono dei soldi degli altri e temono ogni momento di essere sbattuti fuori), distrutto e quasi piangente nel suo ufficio, Maigret metta la mano sulla spalla: sarà un criminale, ma ai suoi occhi è finalmente ridiventato un essere umano. Piacevole, ma un po’ troppo monotematico e, se vogliamo, un poco “razzista” nei confronti dei poveri miliardari…
Spunti di lettura della nostra Patrizia Debicke (la Debicche)
Una donna in guerra di Roberto Costantini, Longanesi 2021.
Oggi Aba Ice è prigioniera in un luogo di montagna degli Appennini centrali, scelto dalla Cia e dai suoi capi. Dentro di lei forse non esiste più confine tra Aba, moglie e madre, e Ice, spia in servizio attivo dei Servizi Segreti italiani. In poco tempo tutto è cambiato mettendola di fronte a scelte e azioni decisive che hanno cambiato il futuro di molti, e forse anche il suo.
Aba Abate, figlia di Adelmo, generale dei carabinieri dei servizi segreti italiani che le ha impartito un’educazione severissima, è una donna che vent’anni prima ha scelto di sposare Paolo, uomo colto, tranquillo e che lavora con profitto in pubblicità, pur crogiolandosi nel sogno di diventare un famoso scrittore.
Aba è madre di due ragazzi, Francesco e Cristina, diciassette e quindici anni, due adolescenti viziati e, come tanti dei loro coetanei, assillati da problemi e conflitti con se stessi e gli altri. Francesco traballa in quasi tutte le materie a scuola e sogna solo il rugby, Cristina invece, la testarda matematica della famiglia, sembra sempre in contestazione, soprattutto con la madre e in guerra con la bilancia.
Da lontano Aba governa saviamente questo quadretto di economia domestica, tramite l’imperturbabile saggezza di Rudica, cuoca cameriera e vero nume tutelare. Ma dopo vent’anni circa di abili menzogne, strane partenze repentine, impossibili funamboliche giravolte, in un guscio lavorativo fatto di falsità e ossessionato dalle continue pressanti telefonate familiari, vent’anni in cui è riuscita miracolosamente a coordinare la sua doppia vita, qualcosa all’improvviso si spezza. Troppo tutto insieme: a casa e sul lavoro. Poi l’attentato a Roma in cui è morto colui che Aba considerava un altro padre: poteva evitarlo? Incoercibile senso di colpa. Non è certo da lei farsi prendere dall’insicurezza esistenziale, lei che ha sempre saputo gestire la sua vita in modo chirurgicamente asettico. E invece ora non ne può più. Tutto si sovrappone e a casa una brutta crepa domestica si trasforma nella goccia che fa traboccare il vaso e rimette in discussione ogni scelta fatta finora. Sapere che suo marito la tradisce, con la sua migliore amica, farà tremare le sottili fondamenta, le poche certezze che credeva valide e sulle quali i finora aveva basato la sua esistenza.
Da tempo la spaventosa pericolosità della posta in gioco la costringe a mettersi in gioco in prima persona e sperimentare sulla sua pelle quanto sia difficile coabitare nella sua doppia identità. Le pesa quella di “Ice”, la spia che tiene sempre pronta in ufficio una valigia con dentro un cambio completo e una parrucca. Doppia identità che la costringe a sopportare orari folli, interminabili riunioni combattive, decisioni azzardate, contatti con pericolosi personaggi e improvvisi, indispensabili voli a bordo dei “Falcon 900” in dotazione ai Servizi.
Con un’ampia impostazione narrativa, Costantini ha optato per un thriller che spazia e affronta una serie di tematiche controverse e attuali come quelle degli attentati, del terrorismo, delle cronache degli sbarchi e delle controverse e sempre mutevoli politiche collegate a scambi e scelte internazionali ai panni domestici della doppia vita di una moglie tradita e madre… Un romanzo in cui Costantini rispetta i tempi di un fil rouge logico e progettuale con il quale ha saputo costruire la storia di una donna in guerra. Questo tragico e misterioso secondo capitolo è una perfetta spy story, in cui Aba Ice si barcamena a mantenere il difficile e sottile equilibrio tra vita privata e azione. Ma dobbiamo leggere, meditare, pazientare, aspettare perché Una donna in guerra di Roberto Costantini è la seconda puntata di una trilogia: solo tra un anno riusciremo a scoprire come va a finire.
Gli occhi di Sara di Maurizio de Giovanni, Rizzoli 2021.
Ce l’aspettavamo implacabile e pronta a ferire questa drammatica quarta puntata. Eravamo in attesa e con il cuore in gola dalla fine del terzo capitolo, Una lettera per Sara, quando Maurizio de Giovanni aveva introdotto la febbricola di un povero bambino e un Pardo semi maniacale quasi di nascosto, per non avere scrupoli, faceva fare delle analisi… E da quando in quella sera di pioggia Viola gli disturbava la cena, raggiungendolo stravolta al ristorante con quel foglio di carta con l’intestazione del laboratorio di analisi…
E ora anche noi sappiamo tutto, la spaventosa e tragica verità. Ora anche noi sappiamo che Massi morirà, questa è l’implacabile condanna dettata da una diagnosi crudele: un nefroblastoma violento e avanzato, un tumore di Wilms. Le dimensioni e l’attuale ritmo di crescita non lasciano speranze. Cosa puoi sperare quando un tumore di dieci centimetri per sei ha subdolamente infiltrato il rene sinistro, la vescica e i linfonodi paravertebrali di un bambino di dodici chili e ottantaquattro centimetri? Tradotto in parole povere, semplici, tragiche ma comprensibili significa che oltre a non essere operabile, non è curabile. Non esiste terapia e la diffusione letale della malattia ha già imboccato un cammino senza ritorno. Unico minimo conforto, la pet therapy con Boris, il gigantesco bovaro bernese. Per Massi buono, però. Molto buono…
Per il resto invece presto sarà solo il nulla. Ineluttabile, definitivo. E il dolore che, anche se condiviso, è sempre disumano e insopportabile. Possibile tuttavia che un lampo di incertezza nello sguardo della primaria offra una sponda forse irraggiungibile a sua nonna Sara, che non intende rinunciare a battersi per salvare la vita del piccolo Massimiliano.
Può succedere che qualcosa di inatteso possa far tornare a galla lontani segreti, riaprire porte del passato che sembravano ineluttabilmente sigillate? Succede. E in un lampo Sara, la donna invisibile e impenetrabile, si trova catapultata indietro nel tempo. A quel giorno in cui ha incrociato per la prima volta due occhi straordinari e indimenticabili, occhi che oggi riemergono con prepotenza da quell’oscurità. Occhi diversi, che Sara ricorda bene e che tanti anni prima aveva voluto dimenticare, occhi che avevano intimorito e ingelosito persino il vero uomo della sua vita, il suo capo e compagno.
Napoli, 1990. Era caduto il muro di Berlino, gli stati satelliti dell’URSS entravano in crisi, il mondo intero pareva sgretolarsi e in Italia erano esplose le contestazioni sotto l’egida dei movimenti studenteschi.
A Napoli la città era in subbuglio per la visita del pontefice, l’innovatore rivolto ai giovani che voleva cambiare i polverosi valori della cristianità, papa Wojtyla, il papa polacco Giovanni Paolo II. Tutto è pronto per riceverlo e la città è schierata a festa. Il pontefice deve tenere una conferenza all’ Università…
Nel 1990 Sara Morozzi, detta Mora, ha 27 anni e da poco è stata inserita, per le sue peculiari caratteristiche – volontà d’acciaio e una straordinaria capacità di leggere a distanza le parole sulle labbra delle persone e interpretare il linguaggio del corpo – come membro attivo della più segreta unità dei Servizi comandata da Massimiliano Tamburi. A lei e a Bionda, la sua bella e giovane collega Teresa Pandolfi, verrà affidata una missione molto delicata. Seguire un gruppo di studenti romeni contestatori. Hanno le competenze e le possibilità, potrebbero trasformarsi in pericolosi terroristi. E proprio durante un pedinamento Sara incrocia per la prima volta quello sguardo, quegli occhi. Occhi come i suoi. Occhi che tradiscono un misterioso dolore e rivelano sincera umanità. E sono indimenticabili occhi che la vedono, la fotografano e l’accuseranno.
In una trama concepita con la minuzia e la perfezione di un meccanismo a orologeria, Maurizio de Giovanni va a frugare in certi sporchi segreti della memoria collettiva di un Paese, cogliendo occasione per riportare alla luce pericolose ambiguità. E non si tira indietro neppure davanti ai drammatici intrighi che hanno sporcato la storia italiana più recente. Anzi alza la saracinesca e racconta i segreti, le passioni e le scelte di una giovane Sara. E persino di quella volta in cui Sara non voleva ubbidire agli ordini…
Così Sara oggi, ex agente della più segreta unità dei Servizi, si ritrova a fare i conti con quanto fece e non fece la Sara di allora. Oggi quella stessa donna, diventata una nonna dai capelli grigi, resa anonima dalla mancanza di trucco, dovrà trovare il modo di riagganciarsi ai ricordi di quella lontana stagione per parlare, giustificarsi, spiegare e farsi credere, per riuscire almeno stavolta a riscrivere il destino al contrario.
Un saluto da Fabio, Jonathan e Jessica Lotti
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